A proposito di “condensazione cattolica”
redazione | Il 07, Lug 2012
Editoriale di Bartolo Ciccardini
A proposito di “condensazione cattolica”
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Il dibattito che il Corriere della Sera va pubblicando sulla presenza cattolica nella politica italiana mostra una grande incertezza, se non addirittura una vera e propria confusione, sull’obiettivo da proporsi. In uno degli ultimi interventi Agostino Giovagnoli, per non parlare di “partito”, di “movimento prepolitico”, di “mondo cattolico”, ha usato addirittura il termine di “condensazione cattolica”: “La condensazione cattolica potrebbe spingere per la creazione, insieme a personalità e componenti del mondo laico, di un nuovo soggetto, certamente molto diverso dal PPI e dalla DC”. Definizione da cui si evince un’ampia ed indeterminata alleanza politica la cui caratteristica è quella di non rassomigliare alle esperienze precedenti.
Perché questa incertezza che sconvolge perfino il vocabolario? Forse è necessario precisare la natura dei precedenti storici, che non si vogliono ripetere o riprodurre, ma che tuttavia sono ben presenti come termini di riferimento.
1) Fare o non fare un partito?
Il primo nodo da sciogliere è quello riassunto nel dilemma: “Fare un partito o non fare un partito?”.
In realtà la presenza politica dei cattolici si è manifestata nella società italiana con la creazione di un partito solo in due occasioni precise, a causa di precise esigenze storiche. La prima, quando Don Luigi Sturzo fu finalmente autorizzato a creare un soggetto politico, il Partito Popolare Italiano, quasi a segnare la fine di una posizione antinazionale dopo la partecipazione dei cattolici allo sforzo bellico della Prima Guerra Mondiale. La seconda, quando la partecipazione di cattolici con un loro soggetto politico (la D.C.) risultò necessaria di fronte al pericolo che l’unità nazionale si rompesse per le conseguenze della guerra, con l’affermarsi di una egemonia comunista.
Tuttavia è da ricordare che una presenza politica si era esercitata anche senza l’esistenza di un soggetto politico. Dal 1874 al 1904 i movimenti di cooperazione sociale ed economica, inquadrati nella “Opera dei Congressi”, avevano partecipato alla trasformazione della società italiana nazionale pur professando addirittura il “non-expedit”, ossia la non partecipazione al voto, per il mancato riconoscimento della conquista italiana di Roma. Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi e la condanna dei democratici cristiani che ne erano diventati egemoni funzionò un molto semplice legame federativo chiamato Unione Elettorale. Dopo l’avvento del suffragio universale del 1912, l’Unione Elettorale concluse un patto con i giolittiani per votare i loro candidati che avessero accettato alcuni punti programmatici proposti dai cattolici. Con questo patto furono eletti 260 deputati, ed è giusto dire che senza avere un vero e proprio soggetto politico, tuttavia i cattolici erano capaci di influenzare il programma governativo e di determinare le sorti della maggioranza. Noi abbiamo sempre deplorato “il Patto Gentiloni” come una sorta di “svendita” del programma dei cattolici alla destra liberale, anche se Giolitti non era affatto la destra. Tuttavia dobbiamo riconoscere che questo tipo di influenza fu un grandissimo risultato rispetto all’attuale irrilevanza dei cattolici.
2) Ma, a ben guardare, la DC era “un partito”?
Ma anche il secondo episodio di partecipazione alla vita politica con un soggetto politico creato dai cattolici, come la DC, non è così definitivo come lo si immagina. Nel periodo di incubazione precedente alla Costituente, la gerarchia cattolica tenne i contatti con la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, ma anche con i cristiano-sociali di Gerardo Bruni ed addirittura con i comunisti cattolici di Rodano ed Ossicini (e con questi attraverso Monsignor De Luca e Giulio Andreotti).
Ed anche quando fu fatta la scelta preponderante in favore della Democrazia Cristiana, essa non fu l’espressione di tutti i cattolici e soprattutto non fu la sola ed unica espressione. Gli episodi di distinzione fra mondo cattolico e Democrazia Cristiana furono diversi e principalmente due: uno, sull’esperimento di recupero della la destra in un fronte anti-comunista nelle amministrative di Roma del 1952 (che portò addirittura ad una crisi profonda nella Gioventù di Azione Cattolica); l’altro nella opposizione di una parte importante della stessa gerarchia cattolica all’esperimento di centro-sinistra. In quella occasione il Cardinal Ottaviani coniò la definizione di: “Comunistelli di sacrestia”.
Ma la stessa DC non fu un gruppo politico organizzato militarmente e diretto da un gruppo dirigente compatto e chiuso. La DC fu un gruppo federativo di associazioni sociali, economiche e di categoria diverse che avevano profonde radici nella società. Nel gruppo parlamentare DC esistevano ufficialmente gruppi di deputati organizzati della Coldiretti, delle Acli e della Cisl, degli Artigiani e della Giac, ancor prima che si formassero le correnti di partito.
Tutto questo vale a spiegare che non esiste una formula “partito” univoca e valida per tutti i tempi, neppure quando ci rifacciamo ad episodi storici ben consolidati.
3) E’ impensabile che dei sindacati promuovano i partiti?
Per di più la lunga esperienza della organizzazione alla politica che va sotto il nome di partitocrazia, ha certamente sollevato molti dubbi sulla funzionalità ed insostituibilità dei partiti come sono organizzati in Italia.
Quindi, si comprende la ragione profonda per cui Bonanni dice: “Non vogliamo fare un partito, perché lo faremmo uguale a quelli che ci sono già. Io resterò leader del sindacato”. (frase pronunciata nel Convegno delle sette organizzazioni cattoliche del mondo del lavoro: Acli, Cisl, Coldiretti, Confartigianato, Confcooperative, Compagnia delle Opere, Movimento Cristiano Lavoratori tenutosi il 25 Giugno presso i padri gesuiti della Gregoriana).
A noi non sembra affatto scandaloso che organizzazioni sindacali o organizzazioni di natura economica promuovano un partito. Nelle due più antiche ed ininterrotte democrazie, in Usa e Gran Bretagna, il partito di sinistra è emanazione del sindacato.
Ma la reticenza ad esprimersi chiamandosi “partito” ha un altro significato. Da un lato risponde all’esigenza cattolica di non dividersi sui problemi contingenti ed opinabili; dall’altro alla diffidenza, che non è solo cattolica, di usare degli strumenti che si sono molto logorati nella situazione storica italiana. Ed infine anche da un’esigenza molto forte di voler operare assieme a movimenti laici che abbiano valori vicini a quelli proposti dai cattolici. Questo riecheggia in qualche modo la intuizione profonda di De Gasperi, quando sosteneva l’alleanza con i partiti democratici laici, con una frase molto decisa e precisa: “Noi cattolici, mai da soli!”.
4) Esistono valori civili propri ai cattolici, anche senza un partito?
Comunque si chiami la “condensazione cattolica”, essa ha l’esigenza di avere uno spazio prepolitico. In fondo essa appare necessaria proprio per la crisi della società civile. Non è possibile che la società italiana sia dominata da movimenti distruttivi di antipolitica fondati sulla indignazione e sulla barbarica demolizione.
Non è possibile che gli elementi di austerità, di moralità e di responsabilità siano travolti da un’ondata antipatriottica, antidemocratica, corrosiva ed irresponsabile. Aver lasciato il libero campo alla Lega ed ai “grillini”, a causa dell’assenteismo e dell’astensionismo dei cattolici delle parrocchie, è stato un errore che ha prodotto frutti avvelenati. Vedere allo sbando i valori delle società costruite dalla operosità delle azioni caritative dei cattolici, è un’immagine da post-terremoto. Vedere le terre lombarde e venete, ricco frutto della operosità sociale dei cattolici, non a caso patria di Papi indimenticabili, in mano a negatori dei valori civili essenziali ci dice quanto sia pericolosa l’assenza dei cattolici dalla vita politica.
È per questo che la nuova “condensazione cattolica” non può essere fatta soltanto dai vertici delle benemerite associazioni, ma deve coinvolgere i valori caritativi delle parrocchie.
5) Comunque non si può non fare politica, anzi, urge fare una nuova politica
Un movimento cattolico dovrebbe operare direttamente per alcuni valori civili generali: dovrebbe pretendere fortemente una onesta legge elettorale; un comportamento austero e responsabile degli incaricati della “cosa pubblica”; una generale e vera applicazione della sussidiarietà, che prima ancora di dettato costituzionale è dettato morale. E questo si può sostenere ed animare nell’azione civile e sociale.
Il nostro ragionamento porta a concludere che il problema di fondare un partito non è il problema reale. Si può ottenere un grande risultato politico senza avere necessariamente la struttura di un partito che comporterebbe altri gravi problemi e rischi data la crisi degenerativa del sistema politico fondato sui partiti. Lo stesso elettorato, stanco e scontento, potrebbe essere indotto a non cogliere il fatto nuovo se esso si manifestasse nella veste dei partiti tradizionali o in qualche modo somigliante ad essa.
Stabilito questo (e quindi accertata la ovvietà del “non faremo un partito” di Bonanni, che non è un rifiuto della politica, ma è solo un rifiuto dei vecchi strumenti) dovremo anche accertare se la Cisl (e gli altri) sono disposti a realizzare una “condensazione” che non solo faccia politica, ma promuova addirittura una politica nuova.
6) Due problemi: le priorità programmatiche e la formazione della classe dirigente
1. Leggo di una bellissima iniziativa, chiamata OL3 (http://www.ol3roma.it) delle Acli di Roma, in linea con il XXIV Congresso delle Acli, di cui abbiamo lungamente parlato (ed accuratamente informato) iniziativa che si ispira a “quelli di Todi”. Nel momento della esposizione programmatica della iniziativa vengono messi in priorità assoluta la difesa della vita, dall’inizio alla fine, il matrimonio fra uomini e donne [1]. Sono valori che anche noi riteniamo debbano essere difesi, ma che non vorremmo fossero usati come un cartellino rosso per escludere ogni contatto con le forze culturalmente laiche, che hanno in comune con noi aspirazioni democratiche di giustizia e di eguaglianza, seppur inficiate da una valutazione diversa sul modo di intendere la vita e la sessualità. Sentiamo in questa enfasi pregiudiziale uno sbocco obbligato nell’appoggio a forze di conservazione che strumentalmente accettano la impostazione cattolica, anche quando propongono sistemi politici e comportamenti in aperto contrasto con una “politica buona”. È l’atteggiamento che ha portato all’appoggio del berlusconismo, con la tolleranza dei suoi esempi poco austeri, delle sue esternzionizioni blasfeme, sopportando l’assoluta mancanza di provvedimenti in favore della famiglia, della giustizia e dell’uguaglianza, sazi e contenti per qualche sua dichiarazione omofobica. Ma dietro c’è qualcosa di ancor più pericoloso: c’è sottintesa quella condanna ai “comunistelli di sacrestia” che partì veloce e spedita nei confronti dei cattolici democratici, che auspicavano il ritorno dei socialisti nel quadro democratico o quella mortificazione data a De Gasperi per aver rifiutato l’appoggio insincero dei fascisti per salvare Roma dal comunismo.
Un dato base sull’esperienza storica degli ultimi venti anni è senz’altro questo: che l’arroccamento dei cattolici porta all’astensionismo, alla irrilevanza ed alla rovina italiana.
2. La formazione della classe dirigente. Comunque si chiamerà la “condensazione cattolica” avrà bisogno assoluto di due cose: una la partecipazione di base delle “fanterie parrocchiali” sottratte all’astensionismo; l’altra di una classe dirigente nuova, proveniente da esperienze sociali, dallo studio e dal mondo del lavoro. Non essendoci più i partiti a formare le classi dirigenti, sarà necessario studiare una strategia ed un percorso praticabile. Si tratta della crescita nelle comunità locali, attraverso liste civiche, consiglieri comunali, organizzatori di base, rappresentanti di interessi civili e di cittadinanza, sindaci. Questa classe dirigente veniva chiamata dagli studiosi del fenomeno dei partiti il “partito degli eletti”, nel senso del partito di coloro che riscuotevano un consenso per il lavoro sociale svolto. Un’altra formula che ebbe un momento di popolarità fu l’idea del “partito dei Sindaci”, vale a dire di una grande alleanza politica dei rappresentanti della società viva e paziente, che non avevano più un rapporto con le istituzioni italiane per il furto commesso da una legge elettorale impresentabile. L’idea e la speranza del “partito dei Sindaci” fu subito oscurata dalla reazione superstiziosa degli zelanti della “partitolatria”. Ma è un itinerario da rivisitare, ristudiare e tenere pronto.
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