A proposito di Rosa e Olindo…
Mirella Maria Michienzi | Il 20, Nov 2010
Scopo della società è di rieducare e non di punire con acredine e crudeltà
di MIRELLA MARIA MICHIENZI
A proposito di Rosa e Olindo…
Scopo della società è di rieducare e non di punire con acredine e crudeltà
di MIRELLA MARIA MICHIENZI
Caro Direttore,
Le scrivo a proposito dei due coniugi di Erba, Rosa ed Olindo.
Al di là dell’orrore che si prova davanti a simili tragedie, si rimane ancor di più sconcertati – almeno io lo sono – dalla pena inflitta.
No, il mio non è buonismo; mi rendo conto perfettamente della gravità del fatto, ma, nel contempo, nel vedere in tv quei due visi, mi rendo anche conto delle loro limitatezze.
Noi, italiani, che spesso vediamo infliggere per delitti orrendi pene banali in rapporto al fatto commesso.
Noi, italiani, che con le varie amnistie ed altro vediamo soggetti inquietanti e pericolosi in semi-libertà.
Poi, noi, italiani, davanti a due soggetti chiaramente sub-normali ci accaniamo con la ferocia che di solito ha il forte soltanto sul debole.
Noi, uomini, ci dobbiamo limitare nel nostro campo d’azione che è “la legge dell’uomo sulla terra”.
E la società civile non si deve preoccupare soltanto di reprimere i delitti, ma, soprattutto, di prevenirli, di educare e di rieducare, mettendo al primo posto la dignità umana. (Anche ad Erba, prima del fatto di sangue, c’erano state tante avvisaglie di malessere tra i vicini. In quel caso dove si trovava, dov’era la Legge?).
Se l’uomo non agisce così commette egli stesso un crimine, accanto ad un altro crimine, arrogandosi ed ergendosi a figura superiore.
Nei riguardi di Rosa e Olindo, al di là dell’ergastolo, trovo oltremodo disumano l’isolamento.
A Rosa e Olindo non interessa quanto staranno in carcere; a loro interessa soltanto potersi vedere.
Da una parte due persone limitate che si tengono per mano, dall’altra una società sadica che tragicamente si ritiene superiore e civile, ma che, in realtà, non riesce a porgere una mano a chi è estremamente debole. Una società che per un processo involutivo diviene barbaramente feroce e li colpisce proprio nel loro punto più fragile: il bisogno di vedersi e di tenersi per mano.
Ma come si fa a giudicare le barbarie di una persona quando noi stessi ci comportiamo barbaramente?
Sarebbe utile a tutti, Avvocati e Giudici compresi, rileggere l’opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene.
Tradotto in tutte le lingue – dopo la Bibbia fu l’opera più divulgata – diffuso in centinaia di edizioni, discusso e meditato, rivissuto da uomini di ogni nazione e di ogni cultura, il messaggio di Beccaria lievitò nelle coscienze, mutò il costume, fino a divenire patrimonio inconscio di tutta l’umanità.
Da quest’opera nacque un movimento travolgente che costrinse i prìncipi riformatori a migliorare il sistema carcerario e ad abolire la pena di morte.
Si pervenne alla giusta idea che le pene, inflitte dall’uomo, debbano essere motivate dalla tutela della società, ma anche dal fine di rieducare e non di punire con acredine e crudeltà.
Si fa così leva sulla speranza di poter trarre fuori quello che di buono c’è in tutti noi, più o meno profondamente. Le idee illuministiche di Beccaria è bene che siano riportate alla memoria, affinché l’uomo d’oggi non agisca con arido desiderio di vendetta – dettato quasi da un ritorno all’oscurantismo – ma ricorrendo sempre ai lumi della ragione.
In ogni periodo di crisi sociali e politiche, in cui ci si sente quasi legittimati ad accrescere le pene, la voce di Beccaria resta sempre viva ad ammonire che le pene oltre il limite non hanno mai reso migliore l’umanità.