Acqua diga del Menta, la soddisfazione di Legambiente "Raggiungere comunque gli obiettivi di qualità dell'acqua nei corpi idrici imposti dall'Unione Europea"
Nel giorno del benvenuto in città all’acqua della diga del Menta, Legambiente Reggio Calabria si dice convinta che se è legittimo festeggiare un avvenimento lungamente atteso dai cittadini è anche doveroso ricordate, senza coprire con l’enfasi trionfalistica del momento, la storia tormentata e controversa, per tanti aspetti indecente, che ha segnato il percorso che oggi arriva a compimento. Una storia iniziata con un progetto degli anni ‘60, avviato nel 1979, che fin dall’inizio abbiamo tenacemente contrastato – con giuste ragioni, non solo ambientali, che orgogliosamente ancora oggi rivendichiamo – e che vede la sua (fortunatamente parziale) realizzazione dopo ben mezzo secolo di progettazioni, varianti, aperture e chiusure di cantieri, finanziamenti e rifinanziamenti, sprechi, illegalità, episodi oscuri, indagini e processi della Magistratura e perfino morti per mano della ‘drangheta. Una storia infinita che tra molti episodi scandalosi, polemiche e controversie, anche legali (è degli anni ‘80 la dura lotta giudiziaria aperta dalle associazioni ambientaliste), ha portato alla realizzazione di un invaso per circa 18 milioni di metri cubi di acqua, che però rimarrà vuoto per gran parte dell’anno e pieno solo per i suoi due terzi.
Certo è un bene – l’avevamo detto per tempo – che quest’opera, una volta avviata, non sia rimasta, come altre, una incompiuta e che si sia aperta la sospirata possibilità per i cittadini di accedere al diritto all’acqua. Ma il sospiro di sollievo non toglie nulla alla rivendicazione antica e alle ragioni di una lotta contro questa opera e ai timori tutt’ora non completamente fugati di contraccolpi soprattutto in termini di alterazioni dell’assetto territoriale e ambientale di una vasta area. A noi ambientalisti di questi lunghi anni di lotta, rimane, soprattutto, l’orgoglio di avere impedito, con l’impegno tenace e il supporto di numerosi esperti – tra cui ci piace ricordare quello del compianto professor Giuliano Cannata – che venisse realizzata la seconda parte devastante del progetto. Questo prevedeva l’utilizzo, per il completamento dello schema idrico, di altri tre bacini sui torrenti Amendolea, Aposcipo e Ferraina con un complesso sistema di adduzione, chilometri di gallerie e condotte sotterranee, deviazione dei corsi d’acqua. La nostra tenace lotta ha impedito altri incommensurabili scempi annunciati a causa di una ipotizzata captazione e deviazione innaturale di queste fiumare che avrebbe alterato irrimediabilmente il regime delle acque con conseguenze disastrose sull’intero territorio dalla montagna fino alle zone vallive e costiere.
Ben venga quest’acqua che dovrebbe finalmente dissetare la città: ma essa non laverà gli scempi ambientali perpetrati nel cuore dell’area più pregiata, vincolata come riserva integrale, del Parco Nazionale dell’Aspromonte (i 1.270.000 metri quadri di bosco tagliato, le tonnellate di cemento e asfalto riversate), né le ulteriori devastazioni sui territori collinari attraversati dai sistemi di adduzione dell’acqua in città, né le conseguenze dell’impatto climatico della diga con l’aumento di più del 21% dell’umidità dell’aria o l’aumento dei sali che renderanno inutilizzabili i terreni coltivati e la progressiva desertificazione del territorio.
E il “fiume” dei circa 500 miliardi spesi e in parte dissipati (65 miliardi di vecchie lire doveva essere il costo iniziale!)? La costruzione della diga fu giustificata negli anni ‘80 dalla necessità di “dare risposte in tempi brevi (sic!) alla grande sete di Reggio e del suo comprensorio” dando invece il via a una “attesa messianica” lunga, esasperante e vergognosa di cui naturalmente nessuno verrà mai a chiedere scusa, triste esempio di uno Stato “muratore e sprecone”, che ha bruciato una mole enorme di risorse finanziarie, territoriali e ambientali.
Pur salutando l’auspicata fine di un incubo, che lascia numerosi problemi aperti, restiamo convinti che i soldi pubblici, in misura peraltro assai minore, potevano essere utilizzati già in quegli anni per soluzioni meno faraoniche e più efficaci. Innanzitutto l’ammodernamento delle reti idriche (solo molti anni dopo l’Amministrazione di Italo Falcomatà intervenne per la realizzazione parziale di una nuova rete acquedottistica, mentre l’Amministrazione Scopelliti puntò sulla disastrosa e inutile costruzione del dissalatore). Nel contempo si sarebbe potuto puntare, piuttosto che sullo sfruttamento irresponsabile delle falde litoranee, che portarono all’infiltrazione di acqua salata, su un prelievo studiato e oculato di acqua dalle notevoli riserve idriche sotterranee dell’Aspromonte e dei bacini imbriferi, su una seria lotta agli usi impropri e furti dell’acqua potabile e ai pozzi abusivi, su un efficiente sistema di depurazione che permettesse il riutilizzo delle acque trattate, per interventi decisivi contro il grave dissesto idrogeologico.
Il nostro non vuole essere uno sguardo prigioniero del passato né vogliamo rovinare la festa a nessuno o disconoscere i meriti di chi, comunque, questa opera ha portato a termine. È un utile esercizio di memoria accompagnato dall’amara costatazione di come le Amministrazioni, nonostante il completamento della diga fosse un evento annunciato da decenni, siano state sostanzialmente inerti, così che la città di Reggio si presenta oggi impreparata. Da qui la domanda: sarà offerta davvero da subito acqua di qualità ad una città che in questi lunghi 40 anni di proclami e di attesa, non ha visto modernizzata una rete idrica che deve ricevere, lo si sapeva, l’acqua del Menta e che ancora oggi disperde circa il 40% dell’acqua immessa (facendo un rapido conto, allo stato attuale più di un terzo della acqua della diga andrebbe perduta) ed è un “colabrodo” soggetto a numerose e malsane infiltrazioni?
È forse utile ricordare ancora una volta che l’acqua oltre ad essere un bene comune, è una preziosa risorsa limitata che va attentamente gestita e di cui ci si deve assumere la responsabilità come amministratori e come cittadini. Il modello di gestione idrica urbana – basato su “prelievo, distribuzione, utilizzo, fognatura, depuratore, restituzione al corpo idrico” – deve essere profondamente rinnovato perché comporta un uso eccessivo di risorse idriche di altissima qualità (chi ha detto che per scaricare un wc si debba usare acqua potabile?), perché produce inquinamento che può essere solo parzialmente ridotto ricorrendo alla depurazione, perché non considera la possibilità di usare le acque di pioggia e le acque grigie depurate, perché non si cura di riutilizzare risorse preziose come l’azoto e il fosforo contenute nelle “acque di scarico” per esempio per l’irrigazione delle colture agricole e del verde urbano.
Allora ben venga l’acqua del Menta, ma con l’impegno di raggiungere al più presto gli obiettivi di qualità dell’acqua nei corpi idrici – imposti dall’Unione Europea entro il 2015 – intervenendo finalmente sull’ammodernamento delle reti idriche, sulla riqualificazione dell’intero sistema di depurazione delle acque reflue e il riuso delle acque trattate, sui prelievi abusivi e gli usi impropri dell’acqua potabile, per un sistema tariffario equo e senza evasori, tale da assicurare vantaggi per gli utenti e copertura dei costi di gestione dell’intero sistema. Infine, una seria campagna di sensibilizzazione per combattere gli utilizzi errati e gli sprechi da parte dei cittadini e per combattere l’uso dell’acqua minerale in bottiglia (finora scelta quasi obbligata) a vantaggio di quella dal rubinetto, con il conseguente aggravio economico e uso di plastica.
A quando, dunque, il sospirato brindisi collettivo con un bel bicchiere d’acqua dei nostri rubinetti per tutti i quartieri della città e i paesi del comprensorio?