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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 22 OTTOBRE 2024

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Alla scoperta della cittadina di San Ferdinando Continuano i viaggi di Approdonews tra i borghi della Piana di Gioia Tauro

Alla scoperta della cittadina di San Ferdinando Continuano i viaggi di Approdonews tra i borghi della Piana di Gioia Tauro
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di Domenico Caruso

Un po’ di storia

La moderna cittadina di San Ferdinando si estende lungo il litorale tirrenico calabrese. Avendo il terremoto del 1783 creato laghi e paludi nella Piana di Rosarno, il re borbonico Ferdinando per alleviare la calamità e la disoccupazione autorizzò il progetto di bonifica proposto dal generale Marchese Vito Nunziante, al quale nel 1818 concesse in feudo le terre malsane.

Così l’avv. poeta Pasquale Rombolà recita:

 «Nunzianti avìa m’asciuca li pantani, / avìa mu sbocca la hjumara a mari: / Rusarni a quarta parti di li terri / avìa u ’nci duna, ’mbeci di dinari». (Da: “Casetti si chiamò”).

La difficoltà iniziale del generale fu la mancanza di mano d’opera che provvide chiamando contadini e braccianti dai paesi vicini. Alloggiati in baracche e in un’antica Torre Aragonese ricostruita, essi vennero colpiti dalla malaria essendo troppo vicini al fiume Mesima.

Il Nunziante, allora, fece costruire le abitazioni sulla riva del mare dando origine al villaggio “Le Casette” che ebbe un vasto incremento demografico.

 «“Casetti” si chiamò ’sta nova sedi / pi’ tantu tempu ’stu nomi ’nci ristau; / genti stranera dhà mintia lu pedi, / e mentri la malaria s’arrestau». (./. Rombolà)

Avendo poi bisogno di muratori, Nunziante ottenne dal governo di potersi avvalere dei galeotti e dei contadini al confino nelle isole per delitti, i quali si riabilitarono con il lavoro. L’opera durò dal 1830 al 1962.

Il piccolo borgo, divenuto villaggio, con regio decreto del 28 ottobre 1831 venne aggregato al Comune di Rosarno e, in onore del Re, fu denominato San Ferdinando.

«Quant’era bellu lu paisi mio, / quanta tranquillità! Chi paci ’nc’era! / Oggi, mancu li cani, è ’nu pizzìo / di tanti foresteri e pari fera». (./. Rombolà)

 Alla morte del generale Vito Nunziante, avvenuta il 22 settembre 1836 a causa della malaria, il titolo di marchese passò al primogenito Ferdinando; da questi al nipote Vito (1836-1905) ed a sua moglie, la marchesa Francesca Nunziante Pignatelli.

Per la sua generosa opera, il Ministro dell’Interno conferì a Vito un attestato di pubblica benemerenza.

Scrive P. Rombolà:

«Chista è la storia di San Ferdinandu, / amici cari, o voi chi la leggiti, / si ’ncunu autri cosi va dicendu / tutti dhi fissarii non li criditi».

Con la legge regionale del 28 novembre 1977 il paese fu elevato a Comune autonomo.  Il patrono è San Ferdinando, che si festeggia il 30 maggio.

L’attività principale del centro è basata sull’agricoltura (in particolare sugli agrumi) e sulla pesca, ma non manca chi lo preferisce come ideale soggiorno turistico.
La fine di Murat

Gioacchino Murat era stato eletto nel 1808 re di Napoli dal cognato Napoleone.  Alla caduta di questi nel 1815, perso il trono, tentò di riconquistarlo sbarcando a Pizzo con alcuni fedeli. Ma venne arrestato e condannato a morte da un tribunale militare. Era il 13 ottobre e come riporta Charles Gallois in Murat (F.lli Melita – La Spezia, 1990): «Il plotone gli è a pochi passi. “Amici miei, puntate al petto e rispettate il viso”. Apre con brusca mossa la camicia sul petto e grida ancora: “Attenzione! Son io che comando! Caricate!… Puntate!… Fuoco!…”.
I soldati sono commossi, due colpi partono senza sfiorarlo. Nessuna grazia!… Ricominciamo!…  Fuoco!…”.

Questa volta dieci colpi detonarono insieme: sei palle lo hanno colpito. Si mantiene ritto un istante, poi piomba al suolo fulminato. Il suo corpo è adagiato in una cassa fatta con tavole sconnesse; due giorni dopo è sotterrato nella cattedrale di Pizzo».

L’incarico di occuparsi di Murat, durante la prigionia, venne affidato al generale Vito Nunziante, fondatore del paese di San Ferdinando. Questi trattò il sovrano con ogni riguardo: gli procurava la migliore sistemazione nel carcere, s’intratteneva a lungo e cenava finanche con lui nella cella. Murat, per mezzo di Nunziante, fece recapitare alla moglie Carolina una lettera di addio.

Tale comportamento apparve sospetto ai Borbone, ma fu lo stesso generale a chiedere di essere giudicato per cui, alla fine, oltre alla piena assoluzione fu insignito del titolo di marchese e nominato tenente generale.

Termino con la figura dell’avv. Pasquale Rombolà (1918 – 1991), al quale nel 1988 ho dedicato le pagine 141/147 del mio libro “Storia e Folklore Calabrese”:

Da: Calabria mia

Terra mia bella, di sbrendori anticu,
Cristu cchiù bella no’ ti potìa criari:
lu suli ti calìa comu ‘nu ficu,
t’abbasanu e t’abbraccianu ddu’ mari.

Ed ancora:

Tu, cuntegnusa ‘nta lu to’ doluri,
arridi sempri ad ogni foresteri;
pingiri non ti poti ‘nu pitturi
ca hai culuri di milli maneri.

L’incanto che manifesta ad ogni mutar di stagione spinse i popoli vicini a trovare rifugio in essa:

La to’ bellizza fici gula a tutti,
li Greci “Mamma Randi” ti chiamaru.

Gli uomini illustri che la resero grande sono davvero numerosi:

Milone, Ibicu, autri vincituri
quanti doni a la casa ti portaru!
Pitagora, Zaleuco, Alcameuni
‘ssa testa sempri d’auru ‘ncurunaru.

Non posso dimenticare, fra le tante storie che l’amico Rombolà mi ha raccontato, il proverbio: “Tri su’ li bellizzi di la Chiana: Polistina, San Giorgi e Radicina”.

Ma son belli anche gli altri paesi!

(12 – continua)