Analisi sulla definizione del modello di città metropolitana Ecco le riflessioni del sociologo Mimmo Petullà
Sulla proposta d’istituzione dell’area metropolitana, bisogna prestare un’attenzione – del tutto particolare – alla complessa problematica della gestione integrata dei servizi delle aree direttamente interessate. La sfida, a questo proposito, risiede nel non creare strutturali discrepanze tra gli indirizzi economici – nella fattispecie quelli incalzati da concorrenziali e funzionali rincorse alle concentrazioni di energie e di benessere – e il perseguimento del bene comune, che deve equamente includere il più ampio contesto socio demografico. Sottovalutare tale aspetto significherebbe infragilire – in modo ulteriore – quelle fasce di popolazioni già mortificate rispetto all’accentuato centralismo geografico dei comuni coinvolti. Non è più sopportabile, d’altronde, identificare la periferia con l’eterna marginalizzazione delle sue dignitose potenzialità. Anche per tale motivazione di fondo, tutte le future iniziative di governance metropolitana dovrebbero sollecitare – andando di là di ogni ritualità mediatica e costruzione discorsiva – una visione molto più condivisa e razionalizzata dello sviluppo, che è possibile pensare non solo attraverso la dominante presenza delle strutture strettamente politiche e istituzionali, ma prevedendo anche la mobilitazione di percorsi di democrazia rappresentativa dei cittadini stessi. Che ben venga, di conseguenza, la promozione dell’intercomunalità – che in ogni caso non può essere l’appendice del suo capoluogo – ma a condizione che essa passi dall’attivazione di pratiche partecipative dal basso, capaci d’incoraggiare i cittadini a non percepirsi passivi destinatari di buoni propositi. Pertanto, nelle animate danze – da poco apertesi per l’istituzione della città metropolitana – è da considerare come impraticabile, finanche inconcepibile, l’idea di lasciare in secondo piano il confronto con la società civile, unitamente alle peculiarità storiche e culturali dei luoghi di appartenenza, a meno che nei processi decisionali del nuovo ente territoriale non si voglia correre il rischio di porre un problema di deficit di riconoscimento democratico. D’altra parte, è tempo di abbandonare le rappresentazioni semplicistiche e approssimative della società civile stessa, che non è da considerare come una sorta di confuso segmento urbano, ma piuttosto come un’identitaria rete del sapere, che ha il diritto di stare dentro il processo di metropolizzazione, al punto da incidere – ovviamente sin dall’inizio e nelle scelte strategiche – sull’insieme del suo coordinamento e funzionamento. In questa direzione di senso, si auspica che nella surriferita e avviata pianificazione territoriale possa essere possibile chiarire anche il ruolo dell’associazionismo, che – sembra importante ricordarlo – non è solo quello rimandante a categorie produttive, ma anche quello portatore d’inclusione degli interessi sociali dei più deboli. Si rende alquanto opportuno, per questo motivo, creare soluzioni organizzative atte a raccogliere – o incoraggiare – le istanze che provengono dal differenziato, articolato e insostituibile valore aggiunto del terzo settore, magari coinvolgendo le realtà cooperazionistiche presenti nel territorio della provincia.
Mimmo Petullà