Anche i vecchi sognano La "stranierità" della terza età nella riflessione di don Leonardo Manuli
di don Leonardo Manuli
Il tema che mi trovo ad affrontare è molto delicato, è come un addentrarsi in «un paese straniero», cercando di non cadere nella mediocrità, ma sento di essere costretto a riflettere sulla qualità del nostro vivere sociale, a motivo di una sana convivenza civile, della nostra umanità, considerando un’età della vita, la vecchiaia. Un commediografo latino, Terenzio, affermava brutalmente che «la vecchiaia è una malattia», io aggiungerei, «è una allergia nei programmi sociali», nei bilanci comunali, nello stato sociale, negli affetti. Quando si vede con il cuore e si pensa, non si può non tacere, soprattutto se c’è una errata convenzione sociale nel considerare i vecchi “improduttivi”, membri di una “cultura dello scarto”.
Li vedi parcheggiati sulle panchine, qualcuno attende un amico che si avvicina per una chiacchierata, mentre sono rari i circoli dove possono trascorrere momenti di incontro e di gioco, per giunta sfrattati da qualche club perché sono vecchi. A proposito, mi diceva un anziano che addirittura per mandarli via, giocavano meschinamente con la tecnica della toilette chiusa e con dispetti vari per far capire che se ne dovevano andare, perché erano «inquilini scomodi». I vecchi non sono presi in considerazione nei programmi politici, sono emarginati, un peso per l’Inps, irrilevanti, scarti della società, mentre, ecco la banalità «i giovani sono il futuro!», frase passata e ripassata.
Forse quale anima buona leggendo questo articolo, non fermandosi al titolo ma andando al contenuto, inizierà con discorsi da campanile a presentare le iniziative inclusive ma esclusive per alcuni, dove però non si ammette che c’è anche una parte che non si riconosce in alcune proposte dettate dall’alto.
Tempo fa un gruppetto di anziani ha incontrato alcuni amministratori della città per chiedere un piccolo locale per ritrovarsi e poter trascorrere un momento di gioco e di socializzazione, senza ricevere risposta alcuna. Quando una società – e qui includo nel corpo sociale ogni istituzione – è insensibile, è segno di barbarie. A volte ho assistito a luoghi anticamera della morte, case famiglia, ospizi, ma nonostante le cure e il miglior servizio che gli operatori potevano rendere, gli anziani sono abbandonati nella solitudine, perché mancano gli affetti più cari, per non parlare degli ospedali, diventati un’azienda. Questo avviene nelle società occidentali, anche in Calabria, nei nostri paesi, esito della cultura della città e del benessere, e non del villaggio contadino e rurale, dove era impossibile l’abbandono degli anziani.
Quale umanesimo quando gli anziani non sono considerati un bene comune per una vita bella e buona? Quando si osserva, si ascolta e si partecipa, non si può non tenere conto, perché anche gli anziani sognano, raccontano la vita, sanno narrare fatiche, sofferenze, gioie. I segni sul volto sono traccia del “sapersi meravigliare”. La vera scuola è andare a trovarli, non sono fantasmi, non ci si può giustificare come frasi del tipo “non si ha tempo”, “non abbiamo possibilità”, divorati dalla frenesia della vita, dal far quadrare i bilanci, rimuovendo un’età in cui ci renderemo conto della fragilità, della solitudine, della stanchezza. Non fa male un invito all’etica della responsabilità: “mai senza l’altro”, dove occorre coltivare una cultura umanistica, della prossimità, della cura e dell’aiuto, della fraternità e della solidarietà. Un verbo importante della vita, è l’ascolto, non impossibile nella durezza e nella fatica delle contraddizioni del duro mestiere del vivere: «Esiste l’arte del vivere. Perché la vita che viviamo dipende anche, non solo ma anche, dalle nostre consapevolezze, dalle nostre scelte, dalla qualità della convivenza che cerchiamo di edificare insieme agli altri, mai senza gli altri, giorno dopo giorno» (E. BIANCHI, La vita e i giorni, Bologna, 2018, pp. 10-11).
Non possiamo dimenticare che si fa parte di una carovana, l’umanità, e il precipizio o la sanità, dipendono dalle scelte che facciamo, il cui compito, non è tanto “aggiungere giorni alla vita ma vita ai giorni”, parafrasando Enzo Bianchi. I vecchi sono un prezioso patrimonio, per la famiglia, per la società, una biblioteca di libri, dove ci lasciano un’eredità preziosa, di umanità, di tradizioni, di valori, di sogni, se li lasciamo raccontare, ospitare, accogliere, non considerandoli invisibili o «inquilini scomodi».