Di Domenico Caruso
Ancora una volta è Natale, ancora una volta il Figlio di Dio si è fatto uomo.
E’ un giorno di tenerezza e di intimità che trova la famiglia riunita al desco per consumare il tacchino, il torrone e il panettone. Siamo ben lontani dal tempo degli avi allorquando, durante la veglia della festa, si preparava un magro cenone con tredici portate scelte fra quelle che le umili condizioni di ognuno poteva permettersi.
Le tradizioni del periodo natalizio coinvolgevano l’intera comunità e in particolare l’ambiente domestico, come rammenta il proverbio:
«Pasca aundi voi e di Natali cu’ li toi».
Gli emigranti si partivano dai luoghi più sperduti e affrontavano pesanti viaggi, pur di raggiungere i propri cari e il luogo natìo. La casa si trasformava in tempio e davanti al camino, accanto al presepe, era tutto uno scambio di affetti e di memorie.
L’attesa del Salvatore viene espressa dal detto:
«Sant’Andrìa (30 nov.) portau la nova
ch’allu sei (6 dic.) è di Nicola,
all’ottu è di Maria,
lu tridici è di Lucia,
lu vintunu San Tomasi canta
ca lu vinticincu è la Nascita Santa».
Gli usi popolari e le cerimonie si protraevano per un mese, fino all’Epifania.
Già la vigilia di S. Nicola (6 dicembre) tutta la famiglia si accingeva a preparare in un ampio tegame, posto sulla viva fiamma della legna scoppiettante, un’abbondante quantità di mais bianco e rosso (“posbìa”) che la sera si lasciava scoperta sul focolare sotto il lucernario aperto. Era questo una finestrella sul tetto, costituita da una tegola che si spostava con un bastone per lasciare passare il fumo. In tal modo, durante la notte, San Nicola poteva comodamente benedire il cibo orinandovi sopra.
L’incanto della Notte Santa riviveva in tutta la sua semplicità e solennità, come dal canto popolare da me raccolto:
Allestìtivi, cari amici,
ca su’ jorna di Natali,
oh chi festa, oh chi trionfali
di gloria Patri!
A li Celi gran festa si faci,
a la Chièsia càntanu ancora
e la terra già ‘ndi odora
di rosi e fiori.
E’ nesciutu lu Redentori,
porta beni, porta vita
e ogni grazia e noi ‘ndi ‘mbita
all’unioni.
Porta grazii pe’ li boni,
pe’ li mali lu so’ aiutu:
tutti quelli chi l’hannu perdutu
lu vannu a trovari.
E lu vaci a ritrovari
cu’ ha lasciatu la bona via:
ca a lu Celu non s’arriva,
c’è lu sigillu.
Non guardati ch’è piccirillu,
ca jè grandi e onnipotenti,
è sicuru ed assistenti
fino alla morti.
Figliu natu di menzanotti,
figliu nudu e povarellu,
omu tantu rispettusellu
è ‘nta la paglia!
E’ copertu cu’ ‘na tovaglia,
è copertu cu’ ver’amori,
la so’ mamma cu’ tanto splendori
lu stringi al pettu.
O divinu me’ Pargolettu,
li Sant’Angeli calaru
e Maria la cumbitaru
a la capanna.
Chida notti chi chiovìa manna,
chida notti desiderata,
l’erbiceda non era nata
e spandìa meli.
Risplendenti chi siti a lu Cielu,
risplendenti chi siti a la grutta,
risplendenti è l’aria tutta
ch’è maiestosa!
E lu voi cu’ l’asinellu
ch’adoravanu lu Gran Santu,
San Giuseppi ch’è vecchiarellu
è veneratu.
Si cogghjru li pasturi
tutti attornu a la capanna,
adoravanu lu Missìa
e la Madonna.
Con un po’ di malinconia, il ciclo natalizio terminava il giorno dell’Epifania come tramanda il detto popolare:
«Filati, cara matri, ca li festi su’ passati –
ma rispundi l’Epifania: – ’Gnura no’, ca ’nc’è la mia!»
Il 6 gennaio in chiesa si pubblicavano le “calende”, vale a dire le statistiche religiose riguardanti i battesimi, i matrimoni e i decessi avvenuti durante l’anno nella parrocchia. Per esortare al ravvedimento, venivano segnalati i casi in cui i fedeli non avevano ricevuto gli ultimi sacramenti.
All’uscita dal luogo sacro, gli amici si scambiavano i saluti e rinnovavano gli auguri per l’anno nascente.
La Befana, durante la notte, portava ai bambini cattivi cenere e carbone e ai buoni un modesto dono: la moderna tecnologia non era neppure immaginabile.
La celebrazione del Natale non dovrebbe esaurirsi nell’angusto spazio temporale, in quanto il Cristianesimo è viva attualità, è la verità che rende liberi, è il nascere di nuovo che Gesù annuncia a Nicodemo.
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito. La Luce è venuta sulla Terra ma gli uomini hanno preferito le tenebre. Difronte all’Onnipotente anche i più diseredati sono importanti, lo Spirito Divino è gratuito come il vento.
Soltanto dall’amore verso il prossimo potremo affermare che ancora è Natale.