Arte ritrovata: giovani calabresi riscoprono proprie radici L'esperienza della cooperativa "Nido di Seta" nel racconto della taurianovese Nelly Dogali
di Nelly Dogali
Questa storia tratta di un posto, della sua arte ritrovata e dell’amore. Perché di amore per la propria terra di tratta quando torni a casa, quando non ti rassegni ad un governo che ti vuole impiegato a metà o ad un Paese che ti vuole iper-preparato in teoria e senza lavoro in pratica. Così nel 2013 Miriam Pugliese, Domenico Vivino e Giovanna Bagnato, che nella vita stavano facendo tutt’altro, avviano una cooperativa che si chiama Nido di Seta a San Floro nel catanzarese. Loro sono del posto e sanno bene che San Floro tra il 1300 e il 1700 è stata capitale europea della seta e decidono di riprendere questa tradizione quasi dimenticata e di farne uno stile di vita. Così parte la loro formazione personale che non ha bisogno di altri esami all’università: volano in Thailandia, incontrano il ministro del tessuto in India, e passando per Francia e Messico tornano di nuovo a San Floro per imparare il mestiere da chi non l’aveva mai accantonato: gli anziani di San Floro e dei villaggi attorno.
Comincia il loro progetto che è insieme tradizionale e innovativo: si parte da un vecchio gelseto di 3000 alberi preso in gestione dal comune e dalla voglia di farcela. I tempi dell’allevamento dei bachi da seta e della lavorazione sono molto lunghi, specialmente per la realtà di oggi che viaggia veloce, ma la produzione di Nido di Seta non può essere altro che manuale e artigianale. Completamente ecosostenibile, come tutte le altre produzioni della cooperativa: oltre ad essere produttori con certificazione biologica, Miriam, Domenico e Giovanna si dedicano all’agricoltura biologica a chilometro zero nel pieno rispetto della stagionalità degli alimenti. Qui si producono handmade anche confetture, liquori e tisane. E naturalmente i tessili: i loro tessuti pregiati coinvolgono una rete di artigiani sul territorio che costituisce una vera e propria filiera della seta formata per il 90% da donne. Un team che produce foulard, sciarpe, ma anche tessuti per confezionare abiti da sposa e abiti da cerimonia. Le matasse vengono tinte con bagni di colore e tramite la tecnica dell’eco-printing realizzata tramite pigmenti naturali derivati dalle piante spontanee di cui la Calabria è ricchissima: utilizzano tra gli altri pigmenti anche uva, cipolla di Tropea e margherita del tintore. La cooperativa non potrebbe essere più green: è a rifiuto zero e utilizza energia proveniente da fonti rinnovabili.
Ma prima viene un nuovo sguardo per guardare la propria terra: forse bisogna andare via per riuscire a vederne il valore. Tornare indietro e riscattarla perché merita più ritorni e più giovani pronti a mettersi in gioco. Solo così un gelseto abbandonato diventa una cooperativa visitata da turisti provenienti da tutto il mondo. Solo così potremo usare le innovazioni e le conoscenze imparate fuori per far rivivere la tradizione dei nostri nonni. Ci hanno chiamato in tanti modi, ma generazione boomerang forse è il primo che non mi dispiacerebbe.