Calevo torna al lavoro dopo il sequestro
redazione | Il 02, Gen 2013
Quattro i fermati ma sarebbero coinvolte 7 persone. L’imprenditore: ‘Non conoscevo i miei rapitori. Ho avuto paura’. Prima del blitz, le forze dell’ordine hanno isolato i cellulari e costretto i rapinatori ad uscire di casa
Calevo torna al lavoro dopo il sequestro
Quattro i fermati ma sarebbero coinvolte 7 persone. L’imprenditore: ‘Non conoscevo i miei rapitori. Ho avuto paura’. Prima del blitz, le forze dell’ordine hanno isolato i cellulari e costretto i rapinatori ad uscire di casa
(ANSA) Sono quattro i fermati per il sequestro dell’imprenditore Andrea Calevo, liberato due giorni fa in un blitz di Ros e Sco e oggi gia’ tornato al lavoro.
Ad essere coinvolti, però sono in sette. Uno sta collaborando, si indaga su una ventina di persone. Capo della banda di balordi un 70enne, nonno di un altro dei sequestratori. Con loro almeno due albanesi. ‘Ora mi sento al sicuro’, sono state le prime parole di Calevo.
CALEVO: LA MIA PROGIONIA TRA CATENE E FLESSIONI – “Mi avete fatto rinascere. Grazie”. Poi le lacrime. E’ la frase che Andrea Calevo ha pronunciato al momento della liberazione e testimonia lo stato di segregazione che ha vissuto durante le due settimane del rapimento. “Non avevo la nozione del tempo, riconoscevo il giorno dalla notte dalla temperatura della mia prigione. Sapevo che eravamo alla fine dell’anno, cercavo di sentire i botti, e non udendoli ho pensato di essere in un posto molto isolato. Invece non era ancora san Silvestro”, racconta Andrea che passava il tempo “facendo flessioni e camminando”.
“Mi hanno portato subito lì, dove sono stato trovato, non mi hanno mai spostato. Quando mi hanno preso mi hanno detto di stare tranquillo che mi avrebbero riportato subito a casa. E invece mi hanno portato a Sarzana, e mi hanno messo in quello sgabuzzino”. La stanza in cui è rimasto segregato Calevo era “piccolissima. C’era una rete con un materasso. Io mi alzavo quando pensavo che fosse mattina e mangiavo due arance”.
Andrea racconta di avere avuto paura. “Ho temuto di non tornare a casa, ho pensato anche che mi potessero uccidere. E mi sono spaventato quando hanno cominciato a parlarmi che mi avrebbero potuto vendere a chi mi avrebbe trattato molto peggio”. In effetti i suoi aguzzini non sono stati particolarmente violenti. “Mi hanno picchiato solo una volta, quando non volevo scrivere a mia madre per il riscatto. I rapitori non li vedevo mai. Uno solo mi portava da mangiare. Non parlava molto, ma parlava italiano”.
E le catene? “Un giorno mi sono accorto che la catena che avevo ai piedi era allentata, così mi sono liberato e tornavo a incatenarmi quando li sentivo arrivare, ma loro non si sono mai accorti di nulla”. Andrea non ha mai provato a fuggire. “Temevo che potessero reagire male e quindi non ho cercato di reagire alla prigionia: ho vissuto momenti in cui mi sono senti molto giù e altri in cui ho sperato”. Poi descrive il suo ‘bagno’: “Nella stanza avevo due secchi, uno pieno d’acqua e il secondo che usavo come gabinetto. Per altre esigenze fisiologiche mi portavano un sacchetto che tutti i giorni ritiravano”. C’era una domanda ricorrente che Andrea rivolgeva a chi gli portava da mangiare: “Perché mi avete rapito, non c’è motivo”.