Un paese democratico come l’Italia non può permettersi delle strutture penetenziarie fuori da ogni regola di civile convivenza
Carceri, viaggio all’inferno
Un paese democratico come l’Italia non può permettersi delle strutture penetenziarie fuori da ogni regola di civile convivenza
ROMA – In alcune delle 206 carceri italiane la direzione non riesce a fornire più di un rotolo di carta igienica al mese per ciascun detenuto. Gli altri devono comprarli a proprie spese. A Messina invece i carcerati hanno provveduto a realizzare con delle lenzuola un divisorio di fortuna per isolare i sanitari dal resto della loro cella. Metterle sul materasso equivarrebbe a farle sporcare, almeno nel penitenziario di Brescia. visto che diverse celle da 10 posti dispongono solo di 9 brande. L’ultimo arrivato dorme su un letto poggiato in terra. La carenza di risorse e personale, unita all’inadeguatezza di molte strutture, è uno dei tratti distintivi che accomunano, da Nord a Sud, i 206 istituti di pena del Belpaese.
Di questo e molto altro racconta “Giustamente – Se vuoi conoscere la civiltà del tuo paese devi visitare le sue carceri”. La video inchiesta, realizzata da Valentina Ascione e Simone Sapienza, con la regia di Pasquale Anselmi, propone un viaggio all’interno di 8 penitenziari italiani: Messina, Palermo Ucciardone, Giarre, Favignana, Sassari, Brescia, Perugia e Padova. Un lavoro frutto di tre mesi di riprese, tra agosto e ottobre.
Immagini spesso rare, come quelle girate all’interno della fortezza di Favignana, già definita «una tomba» nell’800 da Alexander Dumas. Sull’isola siciliana le celle sono a livello seminterrato, si affacciano all’interno del vecchio fossato della struttura. Qui in molti internati scontano il cosiddetto “ergastolo bianco”, un vecchio retaggio della legislazione fascista che mantiene in cattività persone che hanno già scontato la loro pena ma sono ritenute socialmente pericolose. In teoria la loro condizione non dovrebbe equivalere a quella dei detenuti, nella pratica la distinzione rimane sulla carta. Il documentario fa da apripista al nuovo network di giornalismo partecipativo, .