Caso Cucchi, il Pm chiede 12 rinvii a giudizio e una condanna a due anni di reclusione
redazione | Il 26, Ott 2010
La condanna è stata chiesta per il direttore dell’ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria che ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato
PAOLO MONTALTO
Caso Cucchi, il Pm chiede 12 rinvii a giudizio e una condanna a due anni di reclusione
La condanna è stata chiesta per il direttore dell’ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria che ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato
PAOLO MONTALTO
Per la procura di Roma ci deve essere un processo per la morte di Stefano Cucchi, il geometra di 21 anni morto il 22 ottobre dello scorso anno all’ospedale romano ‘Sandro Pertini’ una settimana dopo essere stato arrestato per vicende di droga.
I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, infatti, hanno chiesto al gup Rosalba Liso di disporre il rinvio a giudizio di 12 persone: sei medici e tre infermieri dell’ospedale romano che ebbero in cura Cucchi, nonché tre agenti di polizia penitenziaria.
Un tredicesimo imputato, il direttore dell’ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato; i pm hanno sollecitato per lui una condanna a due anni di reclusione.
Le accuse che vengono contestate, a vario titolo e a seconda delle posizioni, sono quelle di lesioni aggravate, abuso di autorità nei confronti di arrestato, falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento e omissione di referto.
In particolare, gli agenti penitenziari sono accusati, tra l’altro, di avere picchiato Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida. Medici e infermieri, invece, per i magistrati romani avrebbero abbandonato il paziente incapace di provvedere a se stesso, omettendo anche «i adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza che nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità e non comportavano particolari difficoltà di attuazione essendo per altro certamente idonei ad evitare il decesso di paziente.
Ci sono stati tentavi di depistaggio delle indagini che hanno complicato la vicenda. Tanti hanno accusato i carabinieri di aver picchiato Cucchi ma non sono stati trovati riscontri a questo dato ha detto il pm Loy nel corso della sua requisitoria all’udienza preliminare – Ci sono state tante persone che hanno sostenuto, riferendo affermazioni apprese da altri, che Stefano avrebbe affermato di essere stato picchiato da carabinieri e sono stati tanti quelli che hanno avuto in consegna Stefano. Dalle indagini però non è stato trovato alcun riscontro oggettivo. Gli stessi agenti penitenziari hanno detto che quando presero in consegna Cucchi non riscontrarono nessun elemento di stranezza sul suo viso o sul suo corpo. Uno dei verbali relativi a un sopralluogo alle celle con un testimone chiave che inchioda gli agenti penitenziari è anche finito a conoscenza della stampa benché secretato. Per questo c’è aperto un procedimento per rivelazione del segreto d’ufficio. Tentativi di depistaggi con testimoni ‘dubbi’ e lettere, anche anonime, si sono riscontrati nel corso delle indagini.
Stefano non doveva essere portato all’ospedale Pertini, stante le molteplici fratture che aveva; avrebbe dovuto essere portato al pronto soccorso del nosocomio e non nella struttura protetta dello stesso dedicata ai detenuti, ha aggiunto il pm Barba, il quale ha ripercorso dettagliatamente tutti i passaggi della vicenda. Tutto si muove per l’esigenza di mettere le carte a posto per non far trapelare nulla di quanto accaduto – ha aggiunto Barba – La malattia di Stefano viene trattata come una mera pratica burocratica. Sono evidenti le inadempienze del personale del Pertini: ciò che viene segnato nella sua cartella clinica è in aperto contrasto con quanto riscontrato dai medici del Fatebenefratelli e del carcere di Regina Coeli. Stefano viene isolato dal resto del mondo: non gli viene neanche concesso di parlare con il suo avvocato, benché lo avesse chiesto, né vengono informati i genitori delle sue condizioni di salute.
Sulle contestazioni, il messaggio chiaro: Abbiamo contestato agli agenti penitenziari il reato di lesioni e non di omicidio preterintenzionale – ha aggiunto il pm Loy – perché riteniamo non vi sia alcun nesso causale tra la morte e le lesioni subite.
Il lavoro fatto dai pm noi lo apprezziamo ha detto Giovanni Cucchi, padre di Stefano, al termine della requisitoria dei pm – Alla prima udienza del processo presenteremo una richiesta affinché sia effettuata una perizia definitiva per accertare le cause della morte di Stefano. Ci sono elementi determinanti chiari che a nostro parere indicano quello che è successo. Nella consulenza dei tecnici del pm non si legano i fatti l’uno all’altro. Non ci sono nessi causali, insomma. Bisogna ripartire dalla perizia per valutare l’operato di chi è coinvolto in questa vicenda e ha responsabilità per la morte di mio figlio.
Sul fatto che la famiglia Cucchi si appresta a presentare una richiesta di perizia definitiva, sono intervenuti anche i rappresentanti della pubblica accusa. Non è necessaria un’ulteriore perizia hanno sostenuto – perché tutti gli aspetti della morte di Cucchi sono stati esaminati con chiarezza dei medici legali, senza lasciare dubbi. Non è necessario intestardirsi sul punto. È vero che Cucchi va in ospedale perché è stato picchiato, ma muore perché non è stato curato. Ha perso 15 chili in cinque giorni e ciò non può essere stato determinato dalle lesioni, che hanno invece una mera valenza occasionale e non causale con il decesso. C’è stato un disinteresse totale dei medici e degli infermieri. Il loro comportamento evidenzia profili di imperizia riconducibili alla colpa che però presupporrebbe la presa in carico del paziente. Invece nel caso di Cucchi, questi non è stato preso in carico e non è stata presa una posizione di garanzia nei suoi confronti da parte dei medici. È stato messo in una stanza e nessuno se ne è occupato. Non si abbandona un paziente nelle sue condizioni, quando invece sarebbe bastato poco per salvarlo. Questi sono comportamenti dolosi. Ci troviamo di fronte ad una situazione pazzesca in cui un paziente è lasciato da solo nel suo letto senza che venga fatto nulla.
Adesso la parola passa agli avvocati di parte civile, e nel corso delle prossime udienze spazio ai difensori degli imputati.