Cerca l’anima gemella e non la trova, tribunale condanna agenzia matrimoniale in Gran Bretagna Troppi pochi uomini negli elenchi: l’impresa dovrà risarcire una manager per 13mila sterline. Lo “Sportello dei Diritti”: prestare sempre attenzione perché in questo settore la truffa o l’inadempimento contrattuale sono dietro l’angolo
Cercare l’anima gemella non è mai facile, e ai tempi di internet
c’è chi ancora ricorre alle agenzie matrimoniali per trovare il
partner della propria vita. Un’attività che dovrebbe richiedere
professionalità e correttezza secondo quanto anche stabilito da un
tribunale inglese che con una sentenza esemplare ha deciso di
condannare un’impresa britannica a risarcire una donna manager di
Londra per ben 13.100 sterline, oltre 14.600 euro, a titolo di
rimborso per quanto corrisposto e per i danni subiti per essere stata
ingannata. L’agenzia, secondo quanto stabilito il giudice, le
avrebbe infatti erroneamente promesso di disporre di un numero
«considerevole» di uomini che potessero corrispondere ai suoi
desideri, un’affermazione rivelatasi poi non veritiera. Tereza
Burki, questo il nome della donna d’affari, 47 anni e madre di tre
figli, aveva deciso di fare ricorso ai servizi della “Seventy
Thirty” nel 2013, dopo il divorzio dal marito. Cercava «un uomo
sofisticato», possibilmente attivo nel settore finanziario, con uno
«stile di vita agiato», che fosse «disponibile a viaggiare
all’estero» e, soprattutto, desiderasse avere dei figli perché lei
ne voleva un quarto. Richieste «per niente modeste», ha sottolineato
il giudice Richard Parkes dell’Alta Corte di Londra, per le quali
però la donna si era rivolta appositamente a un’agenzia
«esclusiva»: prometteva «la crème de la crème» dei single
disponibili. E aveva tariffe… importanti. Per i suoi servizi Burki
aveva infatti sborsato ben 12.600 sterline (circa 14mila euro al
cambio di allora). Senza riuscire a trovare un marito. Come riporta il
Guardian, ora il giudice ha stabilito che Seventy Thirty ha ingannato
la 47enne quando le ha assicurato di avere un numero «considerevole»
di uomini facoltosi iscritti. Il numero reale dei suoi membri di sesso
maschile si è infatti rivelato di 100 in totale: «In nessun modo»
definibile come «considerevole», ha sottolineato il giudice. I
criteri di individuati dalla donna, ha aggiunto, avrebbero del resto
ridotto ulteriormente questo numero. Il tribunale ha accordato alla
47enne il rimborso del prezzo versato di 12.600 sterline oltre a 500
sterline per danni. Tuttavia, la signora Burki, ha dovuto subire la
beffa di dover pagare a sua volta 5mila sterline all’agenzia: il
giudice ha riconosciuto infatti che la donna ha diffamato la Seventy
Thirty in una sua recensione su Google del 2016. Al di là del caso
che è diventato di pubblico dominio in Gran Bretagna e non solo, per
Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti
[http://www.sportellodeidiritti.org/]”, lo stesso costituisce
l’occasione per invitare coloro che ricercano il proprio partner a
prestare la massima attenzione ai soggetti cui ci si rivolge. Occorre,
infatti, adottare tutte le cautele a partire dall’individuazione
delle imprese cui ci si affida e cui si mettono in mano dati sensibili
assai importanti e spesso molto delicati oltreché il nostro denaro,
specialmente adesso che la gran parte di queste aziende operano in
rete ed è difficile interloquire fisicamente coi loro addetti. In
questo settore, è noto, la truffa o quantomeno l’inadempimento
contrattuale o ancora la possibilità di rimanere completamente delusi
o con un pugno di mosche in mano sono dietro l’angolo.