Che senso ha parlare di Sinistra se non si è di Sinistra? Dal Psi, passando per il Pci, arrivando al Pd, dove la gloria e la dignità sono stati svenduti per trenta denari. Tra lacrime e sangue radical chic
Prefazione “La situazione politica in Italia è grave ma non è seria” (Ennio Flaiano)
Se è vero come vero nella concezione aristotelica che l’uomo è un animale politico, è pur vero che dovremmo seguire di più i consigli di Cervantes, sulla politica fatta dall’onestà. Ma si sa di quest’ultimo, visto poi il personaggio che ha creato potrebbe sembrare un folle visionario, ma è pur vero che la realtà che noi oggi abbiamo davanti, ha le caratteristiche di una politica moderna, intesa come quella di attraversare tutti i partiti per il famoso carro degli italiani di Flaiano. E così non è altro che la deriva delle idee e delle condizioni di differenza tra le varie nomenclature repubblicane della politica che per essere tali, hanno vissuto una storia di lacrime e sangue che non è quel “immenso mattatoio” in cui Hegel definiva la storia degli uomini, ma ci siamo quasi.
E quel mattatoio è rappresentato principalmente dalla storia della sinistra italiana, un susseguirsi di secoli tra sangue, lacrime e come qualcuno nel secondo millennio asserì, anche di merda (riferendosi a tutta la politica in genere).
Eppure oggi si parla di sinistra senza esserci una sinistra, ma solamente dei rimasugli di scorci di ideali sparsi qua e là, in attesa di quel vento così definito modernista che li spazzi via.
Quando Norberto Bobbio scrisse nel suo memorabile saggio pochi anni prima di morire sulla dicotomia “Destra e Sinistra”, intriso di una lettura interessante e dedicato specialmente ai giovani del terzo millennio, quelli che già vecchi per antonomasia ma cretini e ignoranti per condizione. Cresciuti a pane, smartphone, creme depilatorie e tatuaggi, ma che hanno in sé la passione di intraprendere un percorso politico (non per sistemarsi lavorativamente e quindi diventare dei “parassiti” da uffici politici come molti loro ex coetanei), solo che dovrebbero iniziare a leggere, partendo dai visionari come Don Chisciotte per finire agli amanti della libertà di pensiero senza corde, com’era il Cyrano de Bergerac di Rostand, dove il brutto ma libero e intelligente, combatté distinguendosi, contro la maschera della bellezza ma vuota o colma di stupidità. Tra sentimenti e bellezza, tra giustizia e amore per la vita, tra la libertà di una parola d’amore portata dal vento e l’intensità veemente di quella “licenza che tocca”.
La libertà è la libertà delle idee, delle lacrime che si versano per degli ideali, di quella condizione che serve per rinnovare e non per preservare un qualcosa che già negli anni è stato un fallimento di per sé. Perché la bellezza della giustizia, delle cose giuste, è verità. Essa ci rende liberi e ci consente che il futuro che affronteremo sarà composto da onori e orgoglio, e mai da pentimenti e rancore.
La sinistra dovrebbe fare la sinistra, quella della gente, degli ultimi di quelli che caratterizzano gli elementi nella sua dottrina fatta di movimenti rivoluzionari. Dell’utopia egualitaria, quella che ha come tendenza di rendere anche i diseguali, eguali.
Ricordando le parole di Carlo Rosselli, dette quasi un secolo fa, ma di una modernità disarmante, la sinistra, il socialismo, “è in primo luogo rivoluzione morale, e in secondo luogo trasformazione materiale”, ci voleva dire che tale valore non si decreta dall’alto, ma come se costruissimo un edificio di morale e libertà, partendo tutti i giorni dal basso, attraverso le coscienze e la cultura, intesa come condizione di crescita umana, intellettuale per la conquista della libertà sociale.
Oggi, in alcuni dialoghi con i “giovani” quelli già “vecchi” per le influenze sbagliate, invece di porre in essere le loro idee, tendono ad affiancarsi a quei vecchi arnesi e residui bellici della politica che indossando un abito nuovo, pronunciano sempre parole vecchie e desuete, da incantatorie geriatrici di serpenti ai quali non crede più nessuno (se non appunto i “giovani vecchi” senza coraggio e ignavi ai cambiamenti). Altrimenti si rischia di fare la fine del professor Toti del Pirandello con Giacomino, il quale alla fine, si adegua alle “devianze morali”, e da uomo paterno qual è stato l’anziano professore si rivela come un invadente della vita altrui perché chi ha beneficiato, non sa cosa fare e rischia di restare impelagato in mezzo a degli steccati ideologici e di vita che mai muteranno. E che si ritrova ad essere “sensatamente” avvisato…quindi, dico ai tanti giovani di ragionare con la loro testa, perché questo è un mondo cattivo, molto cattivo che ha bisogno di una forza socialista. “Pensaci, Giacomino! Pensaci”.