Chi dice Terrone è solo un coglione La sperequazione inflazionata di un termine offensivo come nota caratteristica di un popolo fiero
Sui media spopola il termine “Terrone”. Usato dai razzisti del centro Nord
Italia in modo dispregiativo nei confronti degli italiani del Sud Italia ed
usati dai deficienti meridionali come caratteristica di vanto.
Così è sempre, così è stato a Pontida il 22 aprile 2017. Sono più di 1500 e
molti di loro vestono la t-shirt “terroni a Pontida” o anche “terroni del
Nord”. Sono accorsi a Pontida, in provincia di Bergamo, da tutta Italia, ma
soprattutto da quella Napoli che l’11 marzo 2017 aveva ospitato Matteo
Salvini, leader della Lega Nord che proprio qui a Pontida ha la sua
roccaforte. «Abbiamo espugnato Pontida, questa terra considerata della Lega
Nord. Siamo qui per raccontare che per noi non esistono i feudi della Lega
Nord e del razzismo, vogliamo costruire ponti e lo facciamo con questa
festa, che richiama l’orgoglio antirazzista e terrone», ha spiegato Raniero
Madonna di Insurgencia a “La Stampa”. E mentre il sindaco di Napoli Luigi De
Magistris invita sui social i “terroni” a unirsi da Lampedusa a Pontida si
pensa al bis. Il clou del concertone è la canzone “Gente d’ò Nord”, brano
che i 99 Posse hanno firmato con una serie di altri artisti che insieme
hanno inciso un doppio cd con il nome di “Terroni uniti”. “C’è tantissima
gente. E’ un bel posto – ha concluso Luca O’Zulú dei 99 Posse – perché non
farlo diventare da simbolo della Lega a sede del Concerto Nazionale
Antirazzista Migrante e Terrone?”.
Un contro-concertone del Primo Maggio gratuito e dal sapore terrone con 10
ore di musica, interventi e colori degli artisti del Sud, scrive “La
Repubblica” il 26 aprile 2017. In scena in piazza Dante, dalle 14 a
mezzanotte, il festival dell’orgoglio antirazzista e meridionale che ha
iniziato il suo tour a Pontida lo scorso 22 aprile. E in programma c’è una
già terza tappa: Lampedusa. L’annuncio è arrivato dalla voce del sindaco de
Magistris, durante una conferenza stampa che dal Comune si è spostata in
piazza Municipio. “E’ un progetto talmente bello – ha detto il sindaco – che
lo riteniamo un progetto della città: ogni primo maggio si dovrà tenere
nella capitale del Mezzogiorno un concerto che abbia come obiettivo i sud
del mondo, i diritti, la solidarietà, l’antirazzismo, il lavoro e la lotta
per la liberazione dei nostri popoli”. Un Primo Maggio “terrone” perché “i
terroni difendono il proprio territorio dai rifiuti, dalla malavita, dallo
sfruttamento, dalla finanza predatoria”. Ed è proprio sul palco del Primo
Maggio che i Terroni Uniti continueranno il loro tour dopo Pontida, perché
“a Napoli la festa dei lavoratori diventa la festa ribelle dei lavoratori a
nero, dei lavoratori sfruttati, della manodopera dell’informale, delle
vittime clandestine del caporalato”.
Interverranno anche gli scrittori “Terroni uniti” come Maurizio de Giovanni
e Antonello Cilento. Una maratona di musica e impegno sociale che avrà come
tema il lavoro, la difesa dei diritti dei lavoratori, dei disoccupati e
delle vittime del caporalato, e l’orgoglio meridionale.
Che figure di merda…più che terroni si è coglioni. Se già da sé ci si chiama
terroni, cosa faranno chi li vuol denigrare?
«Non è un reato dare dei terroni ai terroni, indi per cui i terroni sono
terroni, punto. Arrivano dalla Terronia, terra di mezzo», diceva al
telefono, parlando di un calabrese, una delle campionesse della Capitale
Morale, quella Maria Paola Canegrati che smistava affarucci e mazzette per
appalti nella Sanità, per circa 400 milioni di euro, a quanto è venuto fuori
sinora. Naturalmente, lady Mazzetta, non sa che, invece, dire “terrone” con
l’intento di offendere, è reato: ci sono sentenze, anche della Cassazione.
Ma a lei deve sembrare un’ingiustizia! «Che cazzo ti devo dire, se adesso è
un reato dare del terrone a un terrone, a ‘sto punto qui io voglio diventare
cittadina omanita»…., scrive Pino Aprile il 22 febbraio 2016.
«Io litigioso? È vero, ma sono migliorato… Mi chiamavano terun, africa,
baluba, altro che non incazzarsi…» Dice Teo Teocoli in un intervista a Gian
Luigi Paracchini il 22 luglio 2016 su “Il Corriere della Sera”.
Gli opinionisti del centro Italia “po’ lentoni” (lenti di comprendonio,
anche se oggi l’epiteto, equivalente a “Terrone”, da rivolgere al
settentrionale è “Coglione”) su tutti i media la menano sulla terronialità.
Cioè l’usare il termine “terrone” come una parola neutra. Come se fossero un
po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di
tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in
faccia per la vergogna. Su di loro io, Antonio Giangrande, ho scritto un
libro a parte: “Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni,
illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la
Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di loro,
oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una litania
che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia polenta
o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di comprendonio.
Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della pagina
Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una
“Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente
dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a
sentirsela tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio
comunitaria che prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si rincorre il Sud come passato, si vince se il Sud è vissuto
oggi come consapevolezza di non poterne fare a meno. Accettare di essere
comunque meridionale e non terrone a qualunque latitudine. Il treno porta
giù, un altro mezzo ti può portare in qualunque altro luogo senza farti
dimenticare chi sei e da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice al Sud
quando ti chiedono chi sia la tua famiglia. È un’espressione meravigliosa:
si appartiene a qualcuno, si appartiene anche ai luoghi che vivono dentro di
te.
Essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è
viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Ciononostante i nordisti, anzichè essere grati al contributo svolto dagli
emigrati meridionali per il loro progresso sociale ed economico, dimostrano
tutta la loro ingratitudine.
Il Terrone visto dai Polentoni, scrive Gianluca Veneziani. Dopo Vieni via
con me è la volta di Sciamanninn, la versione terrona del programma di
successo condotto da Fazio e Saviano. Anche in questo programma ci saranno
degli elenchi. Ma non riguarderanno né i valori di destra, né quelli di
sinistra, e tantomeno i 27 modi di essere gay. Avranno a che fare,
piuttosto, con le caratteristiche tipiche di un meridionale. A stilare la
tassonomia ci penserà un padano. Ecco allora il dodecalogo del terrone visto
da un uomo del Nord. Terrone è:
Barbuto. Pregiudizio in voga soprattutto nei confronti delle donne. Si
perpetua l’idea che le donne meridionali abbiano i baffi. Il pelo nell’ovulo
riecheggia lo stato selvaggio e ferino del nostro Meridione.
Barbaro. Il terrone è considerato un ostrogoto. Per due ragioni: è rozzo,
incurante di ciò che tocca e vede. E, quando apre bocca, non lo capisce
nessuno. Credono che parli ostrogoto.
Barbone. Il meridionale è pensato come un mendicante, uno che questua soldi
e vive a scrocco altrui. Magari un finto invalido che si mette agli angoli
delle strade durante il giorno e la sera va a ballare con i soldi ricavati
dall’elemosina.
Borbone. Pregiudizio storico. Il sudista è ancora assimilato alla vecchia
dinastia pre-unitaria. Contribuiscono al cliché i cosiddetti neo-borbonici
che, con grande tempismo, si fanno sentire adesso che l’Italia deve spegnere
150 candeline.
Lo sfaticato, che non vuole lavorare. Terrone non indica più la provenienza
geografica, ma un’attitudine lavorativa. È terrone non chi viene dal Sud, ma
chi sgobba poco. Il fannullone, il perdigiorno, chi lavora con lentezza.
Fatto curioso, se si pensa che i terroni vanno al Nord, appunto, per
lavorare. Ma il pregiudizio resta. Terùn, va a lavurà!
Il cafone, il tamarro, il che cozzalone. Fare una “terronata” significa fare
una pacchianata, qualcosa di kitsch e di trash. Anche se chi la fa è un
brianzolo, il nome “terrone” gli si appicca addosso.
Chi a colazione chiede cornetto ed espressino. Il barista lo guarda
perplesso, senza capirlo. In Padania si dice brioche e marocchino. Occorre
adeguarsi. Altrimenti vieni scambiato per un terrone o, peggio, per un
marocchino.
Chi, il venerdì sera, fa il pendolare Nord-Sud e torna a casa in cuccetta,
mentre i lumbard escono per fare l’happy hour Il terrone fugge dal Nord nel
fine settimana: il sabato e la domenica va a consacrare le feste altrove.
Chi il lunedì mattina torna con lo stesso treno a Nord. Con un bagaglio
però, pesante il doppio, perché la mamma lo ha caricato di tutte le sue
delizie fatte in casa. Quella che si chiama “roba genuina”.
Chi al rientro in ufficio, offe ai colleghi specialità tipiche del suo Paese
(magari le stesse che la mamma gli ha sbattuto in valigia). Una mia collega
di Cava de’ Tirreni ci ha offerto mozzarelle di bufala campane. È stata
festa grande, quel giorno.
Chi è legato alla terra, come dice il nome. Ama la terra, nel senso dei
campi da coltivare: ama la terra, nel senso della propria terra; e ama la
Terra, con la t maiuscola, perché il terrone è soprattutto un terrestre.
Anche se qualcuno lo considera un extraterrestre.
Chi è legato al cielo. Il terrone è umile, cioè vicino all’humus, alla
terra. Ma degli umili è il regno dei cieli.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2010.
C’è sempre, però, chi è più terrone di un altro.
L’infelice battuta di Mandorlini. Il suo Verona giocò e vinse quella finale
playoff contro la Salernitana, conquistando la serie B. Nel dopo partita si
lasciò andare a frasi poco carine (Ti amo terrone…), che scatenarono una
disgustosa rissa in sala stampa. E quando Agroppi, opinionista Rai, lo
bacchettò in televisione invitandolo a chiedere scusa per aver offeso il
Sud, replicò in modo beffardo: «Tu sei fuori dal mondo». Mandorlini,
ravennate di nascita, ha giocato in sei squadre, Ascoli quella più a Sud. E
allenato dodici club, più giù di Bologna non è mai sceso. Spesso
comportamenti e dichiarazioni sono state tipiche del leghista, il suo
capolavoro resta la festa promozione in B, ottenuta contro la Salernitana.
Saltellava e ballava con i tifosi gialloblù cantando «Ti amo terrone»:
festival del razzismo puro. Travolto da critiche e polemiche, fece
spallucce. Qualche mese più tardi ci pensò un napoletano, Aniello Cutolo, a
rispondergli per le rime a nome di tutti i terroni: giocava con il Padova,
derby veneto a Verona, gol pazzesco del partenopeo da venticinque metri e di
corsa ad esultare in faccia a Mandorlini: «Ti amo coglione».
“Ti amo terrone, ti amo terrone, ti amo”. Ve lo ricordate quel coro di
Mandorlini? Beh di certo in pochi lo avranno dimenticato. Per questo ieri ne
abbiamo scritto. E’ il simbolo di questo Paese dove in uno stadio si canta
la Marsigliese per ricordare le vittime degli attentati di Parigi, poi un
minuto dopo in quello stesso stadio si consente a quegli stessi tifosi di
inneggiare il solito coretto “Vesuvio lavali col fuoco”. Certo, se poi un
allenatore del Verona, che lavora in una città ad alto tasso di razzismo,
soffia sul fuoco anziché cercare di educare la propria tifoseria, allora la
battaglia è proprio persa. “Ti amo terrone”, “Lavali col fuoco”, “Napoli
colera”. Per quanto tempo ancora vogliamo andare avanti in questo modo?
Fatecelo sapere. Lo capiremo quando anche stavolta, l’ennesima, non arriverà
nessuna sanzione realmente incisiva verso chi canta queste schifezze
insopportabili.
Giovani padani: “Siamo invasi dai terroni” , scrive Daniele Sensi su
“L’Unità”. «Non è giusto, siamo invasi! Ovunque ti giri sei sommerso da ‘sti
qui che vogliono comandare loro, mi fanno venire la nausea», sbotta una
novarese. «Troppi, ce ne sono troppi, meglio con contarli», ribatte un
utente di Mondovì. «Ce ne sono tanti, ma molti dei loro figli crescono
innamorati del territorio in cui sono nati e cresciuti», replica un
magnanimo iscritto ligure. Ennesimo dibattito su immigrazione e presunte
invasioni islamiche? No. Il sito è quello dei Giovani Padani, e l’oggetto
della discussione è quanti siano i meridionali residenti nel nord Italia.
Non si tratta solo di un divertito passatempo: lamentando la mancanza di
dati ufficiali («Purtroppo nessuno ha mai pensato di fare un censimento
etnico in Padania, poiché siamo tutti “fratelli italiani”»), sul forum del
movimento giovanile leghista con cura e dovizia vengono incrociate fonti
diverse per tentare di fornire una risposta all’inquietudine che pare
togliere il sonno ad alcuni simpatizzanti. Così, ricorrendo ad una
terminologia allarmante e servendosi del censimento del 2001, delle analisi
di alcuni studiosi dialettali e di quelle relative alle migrazioni interne
del dopoguerra (con una certa approssimazione dovuta all’impossibilità di
conteggiare con precisione i «meridionali nati al nord da genitori immigrati
o da matrimoni misti padano-meridionali») alla fine, tenendo comunque conto
«del tasso di fecondità dei centro-meridionali in base al quale è possibile
stimare 3 milioni di discendenti meridionali nati in Padania, compresi i
bambini nati da coppie miste», il verdetto è di «9 milioni di individui, tra
centro-meridionali etnici e loro discendenti puri o misti». Una stima al
ribasso secondo un utente milanese che arriva a denunciare, nelle
statistiche, «la mancanza dei clandestini, cioè di quelli che sono qui di
fatto ma non hanno domicilio o residenza padane». Dati eccessivamente
gonfiati, al contrario, per un altro giovane lombardo, perché «credo proprio
che il meridionale al nord, specie se sposato con una padana, figli meno
rispetto al meridionale che sta al sud». Una ragazza di Reggio Emilia,
invece, pare poco interessata a parametri e variabili: «Non so quanti siano,
non mi interessa il numero, so solo che sono troppi e che stanno rovinando
una zona che era un’isola felice. Girando per strada difficilmente si
incontra un reggiano! Purtroppo stiamo diventando una minoranza e i
meridionali la fanno da padrone».
La Lega, si sa, ha oramai ampliato il proprio bacino elettorale, pertanto
pure un simpatizzante salernitano si inserisce nella conversazione, e, quasi
invocando clemenza («Io sono meridionale ma amo la Lega e odio i terroni che
vengono qui al nord per spadroneggiare e per rompere i coglioni»), finisce
col cedere allo stesso meccanismo di autodifesa visto attivarsi durante la
recente campagna mediatica e politica anti-rom, quando, per riflesso, non
pochi cittadini rumeni quasi si sono messi rivendicare distinzioni etniche
dai loro connazionali residenti nei campi nomadi, poiché nel gioco
all’esclusione c’è sempre chi sta un po’ peggio: «Certi meridionali non
possono essere espulsi perché italiani, ma, se si potesse fare una bella
barca, sopra ci metterei i meridionali che non lavorano e gli
extracomunitari, che sono più bastardi dei meridionali». Qualche nordico
animatore del forum non indugia nel mostrare comprensione e solidarietà al
fratello salernitano, e si affretta a precisare come sia possibile ravvisare
differenza tra “meridionali” e “terroni”, spiegando che «terrone è colui che
arriva e pensa di essere nel suo luogo di origine, e si comporta di
conseguenza, tanto che nemmeno si offende se lo chiami terrone». Per taluni,
addirittura, il luogo di origine non c’entra proprio nulla, perché «non è la
provenienza che fa l’individuo, e nemmeno il sangue o il colore della pelle,
ma unicamente l’atteggiamento». L’insistenza dei più ostinati («Se ne dicono
tante sui cinesi ma sicuramente li rispetto più di certi meridionali o
marocchini o slavi perché almeno lavorano e si fanno i fatti loro») incontra
obiezioni dalle quali emergono ulteriori sfumature d’opinione tra i giovani
padani, quelli più “cosmopoliti”, coinvolti nella surreale disamina, tanto
che tra essi diviene possibile distinguere tra filantropi («Di meridionali
ne conosco tanti e tanti miei amici sono meridionali, per me un meridionale
è colui che è venuto e lavora onestamente»), progressisti («Esempi di
integrazione con il passare degli anni si fanno più frequenti, sono esempi
da non snobbare ma anzi da far diventare casi di scuola: piano piano li
integreremo»), e possibilisti («Un meridionale che lavora e interagisce con
gli altri vale quanto un settentrionale»). Su tutti, però, inesorabile cade
il richiamo ad un maggior pragmatismo da parte dei realisti: «Siete in
ritardo di 40 anni, c’è bel altra gente che invade le nostre città,
purtroppo!». Trascorso qualche giorno, sul forum viene avviata una nuova
discussione: «Un test per capire a quale sottogruppo della razza caucasica
apparteniamo». Un test scientifico, affidabile, perché «per una volta non ci
si basa sul colore della pelle, dei capelli e degli occhi, ma sulla forma
del cranio».
Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani, scrive Francesco
Romano su “Onda del Sud”. Trento: “Terrone di merda”. Operaio reagisce
all’insulto con un pugno: licenziato. Al centro della discussione fra l’uomo
e il caporeparto un ritardo dopo una pausa. Il giudice ha dato ragione
all’azienda. “Il Gazzettino.it” di Trento ha riportato la seguente notizia:
– Il caporeparto dell’azienda trentina per la quale lavorava lo ha appellato
“terrone di merda” e lui, un operaio di origini meridionali, ha reagito
all’insulto con un pugno. Per questo è stato licenziato. Al centro della
discussione c’era il presunto ritardo dell’operaio dopo una pausa. Al
termine dell’accesa discussione, il caporeparto avrebbe mandato via
l’operaio dicendo “terrone di merda”. L’operaio avrebbe così reagito
sferrando un cazzotto contro il collega, raggiungendolo di striscio. Dopo
dieci giorni è arrivato il licenziamento in tronco. Da qui la causa
intentata dall’operaio. La sentenza di primo grado del giudice del lavoro di
Trento ha dato ragione al caporeparto in quanto «non è possibile affermare
anche nei rapporti di lavoro la violenza fisica come strumento di
affermazione di sé, anche quando si tratti della mal compresa affermazione
del proprio onore». Un concetto ribadito dalla sentenza d’appello che
ribadisce come «la violenza fisica non può mai essere giustificata da una
provocazione rimasta sul piano verbale». Questo è quello che accade nel
profondo Nord. Se non è mobbing questo, che cos’è. “Non siamo noi razzisti,
sono loro che sono napoletani” era una vecchissima battuta comica di
Francesco Paolantoni. La violenza certamente non ci appartiene ma forse è
arrivato il momento di rivoluzionare il significato delle parole. Passare da
negativo ad uno positivo. Questa è la cultura leghista che si è affermata al
Nord. Dobbiamo subire la discriminazione dell’emigrazione e ci è impedita
l’integrazione in questa nazione proprio quando ci apprestiamo a festeggiare
i 150 anni dell’unità d’Italia.
Mutuiamo il titolo del libro di Lino Patruno “Alla riscossa Terroni” e
“Terroni” di Pino Aprile per farne un motivo di orgoglio meridionale che
deve portarci ad invertire una tendenza che data 150 anni. Non rivendichiamo
un passato di benessere del Meridione, rivendichiamo un presente migliore
per un Sud messo alle corde.
I terroni nascono anche a Gemonio e nelle valli bergamasche, scrive
“L’Inkiesta” il 6 aprile 2012. Leggendo le cronache, ma, soprattutto,
vedendo le immagini, relative al marciume che sta venendo a galla dai
sottoscala leghisti, mi par che si possa dire una grande verità: l’aggettivo
spregiativo “terrone” non si può appioppare solo ai meridionali, ma, con
grande precisione, anche ai miei conterronei nordici. Devo dire la verità.
Io – nordico e fieramente antileghista da molto tempo – che le storie di
roma ladrona, dell’uccello duro, del barbarossa, dell’ampolla sul diopò
(che, a dire il vero, mi par più una saracca che un rito), di riti celtici,
di fazzolettini verdi come il moccio, erano tutte una rozza e ignorante
presa per il culo per ammansire i buoi e farsi in comodo i sollazzi propri,
ne ero convinto da tempo. Da ben prima che si svegliassero i soliti
magistrati (verrà il giorno, in questo paese dei matocchi, che qualche
rivoluzione la farò il popolo?), bastava un po’ di fiuto per capire che il
sottobosco era questo. Ma le vedete le facce del cerchio magico? Ma avete
presente la pacchianità della villa di Gemonio? E poi, la priorità alla
“family”, come la più bieca usanza del troppo noto familismo amorale, perchè
parlare di “famigghia” era troppo terrone. Ma il dato è che questi sono –
culturalmente, esteticamente e antropologicamente – terroni. Perchè terrone,
per me, non è un epiteto riferibile a una provenienza geografica I.G.P.; è
uno stile deteriore di rappresentarsi, chiuso, retrivo, in cui il dialetto
non è cultura, ma rozzume esibito con orgoglio (e questo vale tanto per i
napoletani, quanto per i veneti), in cui prevale la logica del clan su
quella della civile società, in cui si deve fare sfoggio dell’ignoranza
perchè questo è “popolare”. Terrone è un ignorante retrogrado, cafone,
ineducato. Con il risultato che il Bossi e la family sprofondano, il
terronismo impera e un peloso, stantio e pietistico meridionalismo riprende
fiato. Grazie Bossi, grazie leghisti: avete ucciso non solo la dignità del
nord, ma anche la speranza vera che una riforma moderna di questo paese,
tenuto insieme con una scatarrata, si potesse fare. Ah, dimenticavo. Se
qualcuno mi dovesse dire “parla lui, di ignoranza presentata con orgoglio.
Da che pulpito vien il sermone!”, dico: “Non perdete tempo in analisi: son
diverso e me ne vanto. Si vuol che dica che sono ignorante e delinquente.
Bene lo sono, in un mondo di saccenti ed onesti mafiosi, sono orgoglioso di
esser diverso. Cosa concludere, di fronte a tali notizie di carattere
storico? Questo: trovo triste che i nostri bravi leghisti rinneghino le
proprie radici arabe, albanesi, meridionali, mediterranee. Da loro, così
orgogliosi della Tradizione, non me lo aspettavo. Anzi dirò di più. Buon per
loro avere origini meridionali, perchè ad essere POLENTONI si rischia di
avere una considerazione minore che essere TERRONE.
Secondo Wikipedia Il termine polentone è un epiteto, con una connotazione
negativa, utilizzato per indicare gli abitanti dell’Italia settentrionale.
Origine e significato. Letteralmente significa mangiatore di polenta, un
alimento, questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera dell’Italia
settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta
rappresentava l’alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord
Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) con conseguenze nefaste sulla
salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra. Polentone, come
stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo, e
sta ad indicare una persona zotica un pò lenta di comprendonio (po’
lentone). Il termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra
abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in
contrapposizione all’appellativo terrone: ambedue le parole hanno
connotazioni antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e
culturale. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto in
Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta e dai movimenti goffi e
impacciati.
Analisi dei termini offensivi. Il termine polentone è un epiteto, con una
connotazione negativa, utilizzato dagli abitanti dell’Italia meridionale per
indicare gli abitanti dell’Italia settentrionale, scrive Wikipedia.
Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento, questo,
storicamente molto diffuso nella cucina povera dell’Italia settentrionale.
Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta rappresentava
l’alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord Italia
(Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) purtroppo con conseguenze nefaste sulla
salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra, anche se li ha
salvati da tante carestie alimentari. Polentone, come stereotipo
linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo nell’Italia del
Sud, e sta ad indicare una persona zotica. Il termine si è inserito nella
dialettica campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola,
essendo usato in contrapposizione all’appellativo terrone: ambedue le parole
hanno connotazioni antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità
etnica e culturale, anche se spesso usate solo in modo bonario. Lo stesso
epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per
indicare una persona lenta di comprendonio (tonta) e dai movimenti goffi e
impacciati.
La Padania o Patanìa (lett. Terra dei Patanari, coltivatori di patate) si
estende in tutte le regioni del nord Italia: dalla Val d’Aosta alla Toscana
fino al Friuli Venezia Giulia. È facile collocare geograficamente la Patanìa
vera e pura: si traccia una retta che attraversa interamente il Po, passando
rigorosamente al centro, perché solo la parte nord del Po è padana. La
Padania si definisce anche Barbaria, cioè terra di barbari. Il mito di una
terra popolata da eroi celtici, circondata da terribili barbari di matrice
slava, è il concetto su cui si basa la Lega Nord. Trascurabile il dettaglio
che un tempo la Padania fosse abitata da un’accozzaglia di popoli oltre ai
Celti.
Terrone è un termine della lingua italiana, utilizzato dagli abitanti
dell’Italia settentrionale e centrale come spregiativo per designare un
abitante dell’Italia meridionale, talvolta anche in senso semplicemente
scherzoso, scrive Wikipedia. In passato il termine era utilizzato con un
altro significato e valenza; solo nel corso degli anni sessanta ha acquisito
il senso attuale. Con il termine “terrone” (da teróne, derivazione di terra)
si indicava nel XVII secolo un proprietario terriero, o meglio un
latifondista. Già tra le Lettere al Magliabechi, l’erudito bibliotecario
Antonio Magliabechi (1633-1714) il cui lascito, i cosiddetti Codici
Magliabechiani costituiscono un prezioso fondo della Biblioteca Nazionale di
Firenze, scriveva (CXXXIV -II – 1277): «Quattro settimane sono scrissi a
Vostra Signoria illustrissima e l’informai del brutto tiro che ci fanno
questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle galere, contro
ogni equità e giustizia, già che ho lavorato tant’anni per terminarlo, e ora
che vedano il negozio buono, lo vogliono per loro». Il termine in seguito fu
utilizzato per denominare chi era originario dell’Italia meridionale e con
particolare riferimento a chi emigrava dal Sud al Nord in cerca di lavoro,
al pari dei nordici milanesi, etichettati come baggiani, che emigravano
nelle valli del Bergamasco, come menzionato da Alessandro Manzoni. Il
termine si diffuse dai grandi centri urbani dell’Italia settentrionale con
connotazione spesso fortemente spregiativa e ingiuriosa e, come altri
vocaboli della lingua italiana (quali villano, contadino, burino e cafone)
stava per indicare “servo della gleba” e “bracciante agricolo” ed era
riferita agli immigrati del meridione. Gli immigrati venivano quindi
considerati, sia pure a livello di folklore, quasi dei contadini
sottosviluppati. Il termine, che deriva evidentemente da “terra” con un
suffisso con valore d’agente o di appartenenza (nel senso di persona
appartenente strettamente alla terra) è stato variamente interpretato come
frutto di incrocio fra terre (moto) e (meridi)one, come “mangiatore di
terra” parallelamente a polentone, “mangiapolenta”, cioè l’italiano del
nord; come “persona dal colore scuro della pelle, simile alla terra” o anche
come “originario di terre soggette a terremoti” (“terre matte”, “terre
ballerine”). Il suo maggiore utilizzo data comunque essenzialmente agli anni
sessanta e settanta e limitatamente ad alcune zone del nord Italia, in
seguito alla forte ondata di emigrazione di lavoratori e contadini del
meridione d’Italia in cerca di lavoro verso le industrie del nord e in
particolare del triangolo industriale (Genova – Milano – Torino). In tale
ambito si spiega anche la diffusione del termine: storicamente, grossi
movimenti di popolazioni hanno sempre portato con sé anche fenomeni di
intolleranza o razzismo più o meno larvati. Successivamente, allo stesso
modo è sorta la locuzione “terrone del nord”, generalmente per indicare gli
italiani del nord-est (principalmente i veneti, detti “boari”), che per
ragioni simili cominciarono negli stessi anni ad emigrare verso il
nord-ovest, venendo così accomunati agli emigranti meridionali. Il
riconoscimento di terrone come insulto e non come termine folkloristico è un
processo che storicamente ha subito molte battute d’arresto e
incomprensioni, probabilmente dovute al fatto che solo una parte della
popolazione italiana ne riconosceva pienamente la gravità e il suo carattere
offensivo. La Corte di Cassazione ha ufficialmente riconosciuto che tale
termine ha un’accezione offensiva, confermando una sentenza del Giudice di
Pace di Savona e confermando che la persona che l’aveva pronunciata dovesse
risarcire la persona offesa dei danni morali. Spesso vengono associati a
questo epiteto caratteristiche personali negative, tra le quali ignoranza,
scarsa voglia di lavorare, disprezzo di alcune norme igieniche e soprattutto
civiche. Analogamente, soprattutto in alcune accezioni gergali, il termine
ha sempre più assunto il significato di “persona rozza” ovvero priva di
gusto nel vestire, inelegante e pacchiana, dai modi inurbani e maleducata,
restando un insulto finalizzato a chiari intenti discriminatori. Inoltre
vengono spesso associati al termine anche tratti somatici e fisici, come la
carnagione scura, la bassa statura, le gote alte, caratteristiche fisiche
storicamente preponderanti al Sud rispetto al Nord Italia.
In conclusione c’è da affermare che bisogna essere orgogliosi di essere
meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e
lascia il cuore nella terra natia.
Chi proferisce ingiurie ad altri o a se stesso con il termine terrone non
resta che rispondergli: SEI SOLO UN COGLIONE.
Approfondimento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie, che sul tema ha scritto “L’Italia Razzista” e “Legopoli”.