Chieste 74 condanne per la ‘ndrangheta in Piemonte. La Procura: “Clan pervasivi, non è folklore”
redazione | Il 04, Lug 2013
Pene fino a 22 anni sono state invocate nella requisitoria finale del processo contro le infiltrazioni nel Nord Ovest della Penisola. Contestato l’intreccio mafioso a Torino e provincia e in particolare affari e rapporti con le amministrazioni locali. Un ex sindaco rischia dieci anni
Chieste 74 condanne per la ‘ndrangheta in Piemonte. La Procura: “Clan pervasivi, non è folklore”
Pene fino a 22 anni sono state invocate nella requisitoria finale del processo contro le infiltrazioni nel Nord Ovest della Penisola. Contestato l’intreccio mafioso a Torino e provincia e in particolare affari e rapporti con le amministrazioni locali. Un ex sindaco rischia dieci anni
TORINO – Settantaquattro condanne, la più alta delle quali a 22 anni di carcere, e una assoluzione, sono state chieste dalla procura di Torino al processo Minotauro contro la ‘ndrangheta. Per l’unico politico fra gli imputati, l’ex sindaco di Leinì Nevio Coral, sono stati proposti dieci anni. In totale, l’accusa vorrebbe infliggere 733 anni di carcere.
Le richieste di pene sono state lette dal procuratore aggiunto Sandro Ausiello nell’aula bunker del carcere delle Vallette: «Una requisitoria lunga e faticosa – ha detto Ausiello – così come lo è stata l’inchiesta perchè complessi sono gli elementi di prova da cui è emersa la sussistenza e la gravità reati e dimostrato la pervasività del fenomeno ‘ndranghetista, ma anche la pericolosità del fenomeno che non permette a nessuno di relegarlo a un’immagine di folklore».
I rapporti tra politica, economia e ‘ndrangheta: su questo tema l’allarme lanciato dal procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, e dagli altri magistrati nel corso del maxiprocesso Minotauro, che intende dimostrare le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel torinese. Sono attese per domani, infatti, nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, al termine delle requisitorie, le richieste di condanna. Un processo che -come ha spiegato il pm Roberto Sparagna- è destinato a entrare nella storia, in quanto “nessuna sentenza fino a oggi ha dimostrato la presenza della ‘ndrangheta in Piemonte”.
L’indagine e il dibattimento hanno messo in luce i vasti confini dell’intreccio mafioso a Torino e provincia, soffermandosi in particolare su affari e rapporti con le amministrazioni locali. Sono oltre 360 gli affiliati, secondo le stime della Procura, di ogni colore politico, di diversa importanza e peso. Un’ondata di piena quella della malavita organizzata che non ha incontrato resistenze. “Perchè la magistratura è stata lasciata sola? -ha chiesto il procuratore capo di Torino- Per ignoranza, miopia, impreparazione, sottovalutazione culturale oppure per un certo distacco snobistico del nord?”. E ha concluso il suo duro j’accuse contro quella parte di politica fino adesso “negazionista” nei confronti del fenomeno mafioso, saldamente inserito nel nord dell’Italia, con presenza mafiose che sono “una realtà consolidata”. La ‘ndrangheta, è emerso dalle requisitorie dei sei Pm, opera al nord così come al sud del Paese, mantenendo stretti legami con i clan d’origine: un tipo di sviluppo che è stato descritto come “gemmazione”. L’organizzazione criminale è infiltrata ormai in tutti i livelli amministrativi e politici dello Stato. L’allarme, hanno sottolineato i magistrati, non si può ignorare. A pagare il prezzo, a fare le spese di tutto questo, cittadini e consumatori. Perchè abbiamo “organismi elettivi disonesti, la regolarità dei mercati risulta stravolta e si vive in un ambiente pervaso dalla corruzione, fino alla violenza”. Sui rapporti tra politica, economia e ‘ndrangheta anche il procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli nel corso del maxiprocesso Minotauro ha lanciato l’allarme nei giorni scorsi. L’indagine e il dibattimento hanno messo in luce i vasti confini dell’intreccio mafioso a Torino e provincia, soffermandosi in particolare su affari e rapporti con le amministrazioni locali. Sono oltre 360 gli affiliati, secondo le stime della Procura, di ogni colore politico, di diversa importanza e peso. Un’ondata di piena quella della malavita organizzata che non ha incontrato resistenze. «Perchè la magistratura è stata lasciata sola? – ha chiesto il procuratore capo di Torino- Per ignoranza, miopia, impreparazione, sottovalutazione culturale oppure per un certo distacco snobistico del nord?».
E ha concluso il suo duro j’accuse contro quella parte di politica fino adesso “negazionista” nei confronti del fenomeno mafioso, saldamente inserito nel nord dell’Italia, con presenza mafiose che sono «una realtà consolidata». La ‘ndrangheta, è emerso dalle requisitorie dei sei Pm, opera al nord così come al sud del Paese, mantenendo stretti legami con i clan d’origine: un tipo di sviluppo che è stato descritto come «gemmazione». L’organizzazione criminale è infiltrata ormai in tutti i livelli amministrativi e politici dello Stato. L’allarme, hanno sottolineato i magistrati, non si può ignorare. A pagare il prezzo, a fare le spese di tutto questo, cittadini e consumatori. Perchè abbiamo «organismi elettivi disonesti, la regolarità dei mercati risulta stravolta e si vive in un ambiente pervaso dalla corruzione, fino alla violenza».