Cinquanta sfumature di angioplastica Quando per salvare un cuore che soffre serve un "idraulico" delle coronarie
di Natalia Gelonesi
“Buongiorno signora, sono l’idraulico!”: recitava così un ammiccante Fabio de Luigi nella scena finale del film “Com’è bello far l’amore”. Nella pellicola in cui il simpatico e disincantato attore romagnolo interpreta il ruolo del marito di una bellissima e annoiata Claudia Gerini, l’espediente per salvare un matrimonio in crisi arriva sotto la forma del gioco dei ruoli e veste i panni (da lavoro) di quella che, nell’immaginario popolare, è la “figura” associata al tradimento casalingo per antonomasia.
Facendo volare la nostra fantasia possiamo immaginare una scena simile svolgersi nelle sale di Emodinamica. Protagonista il nostro bell’emodinamista- e qua mi tocca smentire quanto affermato nel precedente articolo a proposito dei medici brutti e poco fascinosi- che, trovatosi davanti non una Gerini in sofferenza da noia matrimoniale, ma un paziente in sofferenza ischemica, lo accoglie ammiccante, con un “Buongiorno signore, sono l’idraulico! Sono venuto a sturare le sue coronarie”. In fondo, sempre di un sistema idraulico di tubature si tratta, o no?
Non proprio.
Ma allora chi sono questi emodinamisti, figure mitologiche metà uomini e metà interventisti? E che cosa fanno? Che sono sti stent, sti palloncini, ste co-ro-na-ro-gra-fie, che finché l’hai detto il paziente ha fatto la procedura ed è già tornato a casa?
Intanto, visto che spesso ho sentito dire “mio cugino ha uno stand” oppure “mi hanno messo il palloncino”, chiariamo che non si tratta di una festa, tipo la sagra della coronaria. E andiamo, ancora una volta, ad addentrarci nello studio dell’anatomia cardiaca. Abbiamo imparato che la funzione del cuore è quella di pompare il sangue ad organi e tessuti per fornire l’ossigeno di cui necessitano per mantenersi vitali. E al cuore chi ci pensa? In sostanza è come una mamma che prepara da mangiare per tutta la famiglia, ma per avere le energie per farlo, ha bisogno di mangiare anche lei.
E quindi anche il cuore ha il suo bel sistema di arterie che gli forniscono il sangue necessario per far fronte a tutte le sue impegnative attività. Queste arterie sono le coronarie e, in base a quanto detto in precedenza, potete immaginare che ruolo importantissimo abbiano. Sono fondamentalmente tre: come le caravelle di Colombo, come le tre Grazie, come i “Take That” senza Robbie Williams. Sono l’arteria discendente anteriore (o interventricolare) e l’arteria circonflessa, entrambe “costole” di un vaso più grosso chiamato tronco comune, e la coronaria destra. Da queste tre strade maestre si dirama tutto un dedalo di vie e viuzze sempre più piccole che hanno il compito di raggiungere e nutrire ogni anfratto del muscolo cardiaco. Va da sè che se insorge un qualche problema su una di queste arterie sono cavoli amari.
Se, per esempio, una delle coronarie si chiude, il territorio che riceveva sangue da esso rimane affamato e senza ossigeno: si parla di “ischemia”. È come quando stringete un laccio attorno al vostro braccio: se stringete troppo forte il sangue non passa più e il braccio diventa freddo e bluastro. Questa è una condizione reversibile perché, se togliete subito il laccio, il sangue torna a fluire e il braccio riprende colore e calore. È un po’ così anche per il cuore: le cellule cardiache senza ossigeno annaspano, soffrono e hanno bisogno di qualcuno che le salvi, togliendo l’ostacolo al flusso che si è creato nelle coronarie.
Quest’ostacolo è generalmente rappresentato da un trombo. Anche qui, che fantasia, non so chi e perché l’abbia chiamato così, ma non c’entra niente né con un concerto per strumenti a fiato né con performances tipo “cinquanta sfumature di angioplastica”. Il trombo è un “appallottolato” di piastrine, che si sono dimostrate, per così dire, troppo zelanti. Infatti, quando vi strafogate con hamburger che scolano grasso da ogni dove (e in tempi di condivisione “sociale” le vostre perversioni alimentari non ci sfuggono) oppure quando affidate alle sigarette il ruolo di compagno ansiolitico, a volte, invece di ricevere qualche “like” o un entusiastico “wow”, può essere invece che sulle coronarie vi si formi una bella patacca piena di grasso, anche detta placca aterosclerotica. Questa placca può restarsene lì buona buona, oppure può crescere tipo i cumuli di spazzatura che non vengono ritirati e occludere sempre più la coronaria o, peggio ancora, può fissurarsi, cioè il cappuccio che la avvolge si può scalfire in qualche punto, lasciandola scoperta. Ed ecco allora che le solerti piastrine corrono a riparare il danno andando a tappezzare questo buco, richiamando altre piastrine e attivando il sistema della coagulazione che porta alla formazione di fibrina. Ma si sa, chi non fa non sbaglia, chi fa sbaglia, e così, un meccanismo fisiologico creato perché le nostre piccole ferite possano guarire in fretta, evitando che un taglietto accidentale col coltello da cucina possa dissanguarci, ci si rivolta contro. Adesso tutta quella bella compagnia di piastrine che sta intonacando questa fessura ha pure occluso l’arteria. In fondo ha fatto il suo dovere, non diamogli addosso, la colpa è di chi ha messo la placca in un posto in cui non doveva stare.
E ora? Ora ci pensano gli emodinamisti. Con le loro aggraziate ed esperte manine entrano in un’arteria (in genere, la radiale, quella del polso, oppure nella femorale, quella dell’inguine) con un tubicino detto catetere, il quale, percorrendo il sistema arterioso, arriva fino alle coronarie. Viene iniettato un mezzo di contrasto e su un monitor è possibile seguire il percorso delle arterie e individuare il punto in cui si è creato l’ostacolo.
Per inciso, io adoro andare in sala di Emodinamica: hanno sempre delle belle playlist, e con un sottofondo musicale che spazia dai Subsonica a De André, posso assistere in diretta al miracolo di una coronaria rimessa a nuovo. Angio-plastica appunto: la plastica del vaso.
E poi, una volta trovato l’inghippo, per procedere alla disostruzione e alla cosmesi della coronaria, i cardiologi interventisti hanno a disposizione tanti strumenti, che utilizzano a seconda del quadro che si trovano davanti: uno di questi strumenti è la tromboaspirazione, che non è una tecnica inventata da Siffredi, per capirci, ma consiste nell’aspirare l’appallottolato di piastrine. Per dilatare l’arteria, invece, attraverso il catetere fanno passare un palloncino (non quello di Batman o di Peppa Pig), che viene gonfiato ed espanso a livello della stenosi, ovvero del restringimento. Quasi sempre procedono a inserire nella coronaria chiusa uno stent, cioè una retìna tubolare di dimensioni microscopiche che aderisce al vaso e lo mantiene aperto. A volte la placca è troppo dura e per portarla via può essere usato uno strumento che ricorda la fresa con cui si toglie lo smalto permanente dalle unghie, che si chiama “rotablator”. Che a me sembra il nome di un elettrodomestico per maniaci della pulizia e quando sento “passami il rotablator” penso “poi quando finisci passalo pure a me che mi è rimasta un po’ di polvere sotto il divano”. E poi c’è anche il “kissing balloon”, che non vi fa venire in mente due innamorati su una panchina con un palloncino rosa in mano? Non credo che l’idraulico di Fabio de Luigi fosse animato da intenzioni romantiche mentre bussava alla porta della Gerini, e anche qui la poesia c’entra poco: si tratta di un palloncino doppio che si usa quando la sfiga ha voluto che la placca si piazzasse proprio su una biforcazione, all’incrocio tra due stradine.
In ogni caso il risultato è sorprendente: l’arteria è come nuova, il sangue torna a fluire, le cellule ringraziano, e se abbiamo fatto presto non ci sono stati troppi danni, cioè non sono rimaste zone di miocardio rimaste troppo tempo senza ossigeno, che quindi sono diventate necrotiche, morte, non più vitali e funzionanti.
Il nostro “idraulico” ha fatto il suo dovere, la desperate coronary è contenta, e un altro cuore è salvo.
Tornato al solito ménage ospedaliero, dopo questa parentesi trasgressiva, il paziente Gerini si intrattiene in discussioni col vicino di letto tipo “Perché a te ti hanno portato subito e a me ancora non mi hanno portato?”.
Che volete farci, la terapia del vicino è sempre più verde. Non è che selezioniamo i candidati all’angioplastica con l’estrazione sulla ruota di Bari, ma la scelta di fare una coronarografia urgente dipende da tanti fattori, soprattutto dal tipo di infarto e dal fattore tempo (non il nostro, ma da quanto tempo è passato da quando il paziente aveva i sintomi e quando si è ricordato di venire in ospedale, ad esempio), e dal fatto che, in alcuni casi, il trombo può “sciogliersi” spontaneamente, o anche con la sola terapia medica, fatta dai comuni mortali cardiologi di periferia. È quello che scientificamente si definisce “fattore C”: del paziente e del medico.
Mentre chiudevo il pezzo mi è arrivato un messaggio: era mia cugina che mi inviava la foto di un prodotto per la manutenzione della lavastoviglie. Veramente io neanche sapevo che si dovesse fare la manutenzione della lavastoviglie, e allora ho pensato che se stiamo così attenti ai nostri elettrodomestici e spendiamo soldi in brillantanti e robe varie, perché non dovremmo essere altrettanto “protettivi” con le nostre coronarie che hanno bisogno di molto meno per restare pulite?
Anche se i nostri “idraulici” sono bravissimi, e sono pure reperibili il fine settimana. Senza costi aggiuntivi.