Cinquefrondi, ricettazione cellulare: due assoluzioni Il giudice ha accolto in toto le argomentazioni difensive "perché il fatto non sussiste"
CINQUEFRONDI – I due soggetti coinvolti in questa vicenda giudiziaria, S.W. di anni 59 ed A.G. di anni 23, entrambi di Cinquefrondi (RC), venivano indagati a piede libero per il reato di ricettazione di un telefono cellulare di cui ne era stato denunciato il furto. I due, completamente ignari della provenienza illecita del telefonino, una volta venuti in possesso dello stesso, inserivano le proprie schede sim al suo interno e ne facevano un normale utilizzo. In sede d’indagine, gli ufficiali di P.G., incrociando i dati dei tabulati telefonici delle due schede sim con il “codice IMEI” del telefono, riuscivano a risalire agli utilizzatori che venivano iscritti nel registro degli indagati. Immediatamente, entrambi gli indagati chiedevano di essere sottoposti ad interrogatorio ex art. 415 bis, comma 3, c.p.p. nel corso del quale, fornivano elementi atti a dimostrare la loro assoluta innocenza rispetto ai fatti oggetto di contestazione.
Nonostante ciò, scattava però nei loro confronti l’imputazione per il reato di ricettazione. All’udienza di discussione, tenutasi lo scorso 19 novembre, innanzi al Giudice Monocratico presso il Tribunale di Palmi, dott.ssa Silvana Labate, il Pubblico Ministero chiedeva per entrambi gli imputati la pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione. La difesa, rappresentata dall’avv. Vincenzo Gagliardi del Foro di Palmi, chiedeva, invece, l’assoluzione con formula piena. Il legale, nel corso della discussione, sulla base degli elementi emersi dall’istruttoria dibattimentale, riusciva a dimostrare, non solo l’inesistenza del c.d.” reato presupposto (furto) ma, altresì, che la condotta posta in essere dai suoi assistiti non era sorretta da dolo, nemmeno nella forma del dolo eventuale, essendo entrambi completamente ignari della provenienza illecita del telefono che si assumeva essere oggetto di furto. All’esito della camera di consiglio, il Giudice, accogliendo in “toto” le argomentazioni difensive, assolveva entrambi gli imputati dal reato loro ascritto con la formula “perché il fatto non sussiste”.