Cleptocrazia Le riflessioni dell’avvocato Cardona sul diffuso fenomeno corruttivo
Che la corruzione sia diffusa e persistente, costituisce una triste realtà oggettivamente riscontrabile e conclamabile in seno ai tortuosi meandri dell’odierna società, e celarlo si finirebbe come il manzoniano don Ferrante, il quale, ritenendo inesistente il contagio – né sostanza né accidente -, non usò alcuna precauzione contro la peste, che gli si attaccò e lo condusse a morte.
E’ fuori discussione la finalità punitiva degli organi deputati alla persecuzione e condanna dei colpevoli, ma a ciò non può essere ritenuto d’ostacolo la conformità ontologica degli irrinunciabili mezzi repressivi utilizzati in uno Stato di diritto come è posto e configurato dalla Costituzione.
Anzitutto si pone il problema della separazione dei poteri, – legislativo, esecutivo e giudiziario – e del conseguente e fondamentale equilibrio tra essi, che ne costituisce l’humus sostanziale in un moderno stato democratico.
Orbene, lo squilibrio costituzione è lampante laddove per la forza di eventi non collegabili a complotti, la componente inquirente della magistratura ha assunto un peso egemone rispetto non solo agli altri poteri ma anche rispetto alla componente giudicante della medesima magistratura.
Questa alterazione degli equilibri trovano origine nell’arretramento della politica e, conseguentemente, nel maggiore spazio che, come per un fenomeno fisico, è spettato alla magistratura, che è venuta ad assorbire, per una fenomenologia osmotica, ruoli e competenze impropriamente eterodosse.
Chi esercita un potere forte è quasi naturalmente, per un principio di conservazione ed ampliamento, portato a difenderlo ed accrescerlo causando il cosiddetto “fenomeno dello straripamento di poteri”; sicché si assiste, sgomenti, a vivaci contrasti tra procure e tra queste e corpi di polizia giudiziaria, in un’arena degli equivoci od in un teatro dell’assurdo di brechtiana memoria letteraria.
Costituisce un paradosso affermare astrattamente ossequio alla legge, per poi in concreto nella prassi, trovare gli espedienti onde consentire di continuare a mantenere i poteri che il legislatore aveva cercato di circoscrivere!
La corruzione sussiste a tutti i livelli e quasi connaturata alle trame cromosomiche di alcuni apparati statali nei quali, le timide e rare manifestazioni di innata moralità contraddicente il perpetuante malaffare, vengono tacciate nei limbici meandri sistemici quali entità incapaci di integrarsi al corrotto sistema comportamentale.
Ecco la necessità acché il legislatore e l’esecutivo si accingano, con perseveranza e fermezza, a varare le necessarie riforme, che non richiedono alcuna modifica costituzionale.
La giustizia opera a valle ed in retroguardia, ossia quando i reati sono già commessi, sicché uscendo dal proprio campo di competenze costituzionali, ineluttabilmente non disponendo dei necessari strumenti, invade i limiti autoritativi degli altri poteri.
Per ridurre il tasso di corruzione, bisogna operare a monte eliminando le principali occasioni di tentazione, che l’esperienza ha già identificato nell’esoso statalismo economico e nella consequenziale opportunità di stornare ingenti somme per scopi illeciti, rendendo trasparente e rapida l’azione della pubblica amministrazione soggetta ad efficienti, selettivi e alacri controlli sull’operato.
Insomma ad ogni livello il pubblico dipendente deve compiere il proprio dovere istituzionale, non perché l’organo giudiziario stia indagando, ma perché sono efficienti i controllori istituzionalmente a tanto preposti.
L’intervento giudiziario potrà essere deflazionato solo dall’efficienza e dalla trasparenza dell’agire della pubblica amministrazione, la quale fagocitando di fatto le interferenze del malaffare e del crimine bianco, attraverso una adamantina opera di legalità, ne esalterà le virtuosità insite nell’agire dell’uomo onesto.
“Il mondo è talmente corrotto, che si acquista la reputazione di persona perbene limitandosi a non fare del male.” (Pierre-Marc-Gaston de Lévis, Massime e riflessioni, 1808)