Quando affrontiamo un viaggio che è quello della nostra vita, ci troviamo dinanzi a molte condizioni che ai nostri occhi possono sembrare come nuove scoperte e che per degli stati d’animo variabili, non sappiamo quale sorte ci tocca affrontare, il ciò è dovuto alle insidie, ai torti o meglio ad alcune prove che ci mettono a dura prova. Siamo dei corpi pieni di anima, ma immobili quando cerchiamo di scolpire un futuro sempre più in preda, quasi come un ostaggio al nostro passato.
Il nuovo libro di Mimmo Petullà, “Dalla Vendetta al Perdono – Un’analisi per liberare se stessi e l’altro”, edito da Rubbettino, tratta questi temi e lo fa con l’arguzia scientifica della filosofia e del pensiero sociologico senza per nulla tralasciare i temi trattati come il fondamento dei valori cristiani.
L’autore intraprende un viaggio, da lui stesso definito, “di ascolto”, ma più che ascoltare gli altri è a mio avviso un risveglio o un impulso ad ascoltare se stessi. È un “viaggio” in sette tappe che parte dalla memoria per finire al beneficio sociale del Perdono, affrontando quel sentimento pregiudiziale che molte vita la vita ci impone che si chiama Vendetta.
Tertulliano che è stato un grande scrittore romano disse, «Vuoi essere felice per un istante? Vendicati! Vuoi essere felice per sempre? Perdona!». Cos’è la vendetta se non un legame di odio con la nostra memoria? Cos’è il perdono se non un legame d’odio tra la memoria e il sentimento di vendicarsi nascosto nei nostri pensieri? Sono questi gli interrogativi dell’ascolto che l’autore pone in essere per poi concludere al perdono come sentimento universale di beneficio sociale.
La letteratura è piena di elogi della vendetta, ricordo il famoso romanzo, Cime tempestose, l’unico Emily Brontë, dove narra la storia di Heathcliff e del suo amore per Catherine, e come questa sua passione distrugga entrambi. Descrivendo gli effetti distruttivi della gelosia e della sete di vendetta che sono poi, i temi centrali del libro. Per la letteratura ed in molti scrittori come Baudelaire, Kafka fino a Proust, pongono come nodo centrale questo sentimento che nutre esibendo una sarabanda di diavoli, come una sorta di cinismo che miscelato con le buone maniere, pongono in essere una sorta di elogio della vendetta stessa. La ritroviamo nella storia di Gesù Cristo con Salomè in cui la sua arte di persuasione, per spirito di vendetta vuole la testa di Giovanni Battista e le verrà concessa.
La celebrazione della vita è sempre un connubio tra vendetta e perdono. La prima ha il suo predominio come il rancore, un passato che tarda a dissolversi ed anche un perdono che arriva sempre tardi, come un treno che passa e noi lo perdiamo continuamente. Un appuntamento mancato che si ripete ad ogni occasione. C’è una citazione nel libo che fa l’autore ed è di Simone de Beauvoir, dove afferma che, «il vecchio sa che la sua vita è fatta, e che non potrà rifarla. L’avvenire non è più gonfio di promesse, si contrae alla misura dell’essere finito che ha da viverlo». È significativo questo passaggio per capire il senso dell’ascolto che Mimmo Petullà vuole dare al suo compendio tra vendetta e perdono. La memoria della vendetta debellata dal perdono perché noi non viviamo per sempre, e dobbiamo attrezzarci mentalmente con una mano sul cuore, che il perdono sia la cura indispensabile per la nostra anima.
A proposito di vendette c’è un passaggio che io ho sempre amato e si trova nella Recherche di Marcel Proust ed è molto toccante. Si trova ne “La prigioniera”, alla notizia che Swann (il suo personaggio più importante) è morto. E Proust nella sua abilità di scrittore si esibisce in un autentico colpo da maestro, si ferma e concede gli onori delle armi e dalla celebrazione diventa un atto di rivalsa, «Eppure, caro Charles Swann che ho conosciuto così poco, quando io ero ancora così giovane e voi sull’orlo della tomba, se si ricomincia a parlare di voi, e forse vivrete, è perché quello che, probabilmente, ritenevate un piccolo imbecille ha fatto di voi l’eroe del suo romanzo». Proust avendo sofferto tutta la vita per non essere mai stato considerato come voleva e non essendo stato mai accolto come meritava, lancia questo tono di sfida al suo personaggio più celebre. La protesta di Proust che si nutre del rancore dei malati contro i sani, dei falliti contro gli uomini di successo, dei figli inetti contro i genitori altolocati e via dicendo.
Se la vendetta è un serbatoio di tutto il nostro fiele, il perdono è quello che lo svuota rendendolo pulito e cristallino. È questo il messaggio che Mimmo Petullà, a mio avviso, vorrebbe consegnare ai suoi lettori. Il perdono ci libera l’anima, spazza via come un fiume in piena ogni paura ecco che esso diventa un’arma potente. Per chi è un severo credente e forse anche per chi non lo è, non bisogna mai dimenticare che l’arte è un dono, voluto da Dio per i credenti, in cui ognuno di noi si vendica senza spargimenti di sangue. La cultura è l’arte del perdono e come ci insegnava Voltaire nella sua ineguagliabile ironia, «I soldati si mettono in ginocchio quando sparano, forse per chiedere il perdono dell’assassinio».