Continua la protesta lametina per salvare il tribunale
redazione | Il 31, Mag 2012
Oggi Consiglio comunale ad hoc. Il prossimo 4 giugno l’incontro ufficiale a Roma con il ministro Severino
DI ANTONIETTA BRUNO
Continua la protesta lametina per salvare il tribunale
Oggi Consiglio comunale ad hoc. Il prossimo 4 giugno l’incontro ufficiale a Roma con il ministro Severino
Di Antonietta Bruno
Continua la protesta dell’avvocatura lametina e dell’intera comunità, sfiduciata e indignata per l’ennesimo scippo subito. Università, centri di eccellenza, ospedale e oggi anche il Palazzo di giustizia rischia il trasferimento nella vicina Catanzaro. Il capoluogo di provincia diventata per molti, a torto o ragione, la “città dei ladroni” sostenuta da uno “Stato che per la terza città della Calabria si veste troppo spesso di antistato”.
Questi i commenti duri di molti lametini che ieri sera e stamattina hanno affollato piazza della Repubblica, e che così com’è successo per il nosocomio lametino, si sono svegliati ieri con l’ennesima decisione presa sottobanco di trasferire il Tribunale e la sua Procura non più a Vibo Valentia, provincia che non ne aveva i requisiti, ma nella città capoluogo.
Due soluzioni che il ministero avrebbe adottato per tagliare i costi della giustizia, ma che rischiano ora di trasformarsi in quella fatidica “goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
A tutto questo la città e l’avvocatura non ci sta e da ieri oltre a sospendere tutti i procedimenti civili e penali, ha aderito compatta ad uno sciopero ad oltranza. Una protesta continuata l’intera notte e che sta proseguendo ancora in queste ore con il presidio del Palazzo.
Stamattina, inoltre, in attesa anche della decisione del Consiglio comunale che si terrà nel primo pomeriggio, in una delle aule di giustizia si è provveduto all’ennesima assemblea degli avvocati. Ad aprire i lavori, è stato ancora una volta il presidente dell’Ordine degli avvocati di Lamezia Terme, Gianfranco Barbieri che ha comunicato ai presenti quanto riferito dai parlamentari lametini e cioè, che il ministro Severino avrebbe accettato per il prossimo 4 giugno, di organizzare l’incontro ufficiale con la classe politica lametina a più alti livelli, per discutere sulle sorti della chiusura o permanenza in vita del tribunale. Una fievole speranza intrisa di amarezza se si pensa che per salvare gli altri due tribunali a rischio chiusura, ovvero quello di Castrovillari e Paola, di tutto ciò non c’è stato bisogno. Paola e Castrovillari sono stati “salvati” dalla scure ministeriale senza troppi problemi.
Anche questa è una cosa che poco va giù alla comunità lametina che si chiede ora a gran voce “quanto peso hanno i nostri parlamentari nelle sedi romane se in tre non sono riusciti a fare quello che per Paola e Castrovillari ha fatto uno solo?”
“Che potere ha la nostra classe politica sempre presente alle parate e poco concreta nelle decisioni che contano per valorizzare la loro città, il loro popolo e i loro giovani di cui tanto si vantano in campagna elettorale?”.
E ancora: “Ci si rende conto che togliendo l’unico presidio di legalità nella città della Piana si distrugge tutto il lavoro fatto per ridare la fiducia alla comunità che ha deciso di agire e contrastare la criminalità organizzata, nella prospettiva di uno Stato più forte e a favore dei giovani e della legalità?”
Tutte domande lecite e che aspettano una risposta concreta. Una risposta che dovrà essere un segnale forte e positivo. Un segnale che, soprattutto, rispetti la legge e la costituzione e che ripercorre quella stessa motivazione che oltre un decennio fa il Csm riportò nero su bianco nella sua relazione. Ovvero, quella dell’insopprimibilità del tribunale lametino per la sua centralità e per l’alto tasso di criminalità organizzata esistente sul territorio.
Questioni, domande e certezze che i tanti avvocati che si sono succeduti nella mattinata hanno sollevato, anche in virtù di criteri “ancora tenuti nascosti”, e che sarebbero alla base di questa “insana decisione”. Criteri che secondo gli addetti ai lavori non rispecchierebbero né quello della difesa del territorio e della legalità; né quello del potenziamento delle forze dell’ordine in una delle città considerate a rischio (una delle cosiddette zone grigie della Calabria e che si vuole oggi si tinga di nero); né quello del risparmio della spesa giudiziaria.
Ultimo punto questo dell’economia penale, che trova riscontro nella maggiore spesa legata ad un possibile trasferimento. Nuovi uffici e armadi blindati per custodire le migliaia di pratiche lametine, i possibili rinvii dei procedimenti penali o, addirittura, la possibilità che questi saltino per mancanza di aule disponibili. Andirivieni di avvocati e addetti alle forze dell’ordine costretti a continui spostamenti nel solo intento di depositare atti. Insomma, un problema nel problema che andrebbe a rallentare la macchina della giustizia e a fare lievitare i costi, con ovvio dispendio di forse e risorse, già ampiamente carenti.
C’è sdegno, dunque, c’è amarezza e indignazione, ma in verità c’è anche l’invito a “non mollare”. A farsi carico del problema e alzare, qualora fosse necessario, anche i toni della protesta. Una protesta giusta e sentita dalla comunità lametina che oltre a partecipare attivamente alla raccolta delle firme “salva tribunale” indetta dal comitato civico, sta in questi due primi giorni di disapprovazione totale del provvedimento, consegnando le schede elettorali. Forte anche la loro motivazione nel gesto: “Questi politici oggi al potere grazie a noi, non sanno rappresentarci. Questi politici lametini, non sono degni di chiamarsi servitori dello Stato, né tantomeno di chiamarsi lametini. Pensano solo a come riempire i loro portafogli, a come fare aprire le corsie preferenziali dei loro figli, ma non certo ad una intera comunità quotidianamente perseguitata dal loro voltafaccia”.