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Cosa ci aspettiamo come calabresi dal governo Monti?

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Editoriale di Bruno Morgante

Cosa ci aspettiamo come calabresi dal governo Monti?

Editoriale di Bruno Morgante

 

 

Il governo Monti si è assunto il difficile compito di far uscire il Paese da una traiettoria di declino economico e sociale, che ormai dura da quasi venti anni durante i quali il mondo è profondamente cambiato mentre noi siamo rimasti fermi e siamo vissuti bloccati dalle nostre contraddizioni finanziando con il debito pubblico un benessere senza sostanza e che ha rubato il futuro ai nostri figli.

Il dato più emblematico di questo declino è che buona parte dei nostri figli diplomati o laureati a trenta anni sono ancora disoccupati o precari e non sono sposati e non hanno figli.

Nella crisi generale il Mezzogiorno si pone da una parte come un grande problema sociale ed economico da risolvere e dall’altra come un ingente spreco di risorse da recuperare per aumentare la competitività del sistema Italia.

La Calabria si presenta come momento di specificazione essenziale dei mali del Mezzogiorno

In Calabria è ripresa l’emigrazione di massa verso il centro-nord soprattutto giovanile e scolarizzata, anche perché è diventata una chimera la prospettiva di un lavoro regolare e la disoccupazione giovanile è al 50% e quella femminile al 70%.

In un mondo in cui il capitale più importante per puntare sullo sviluppo è il capitale umano, i calabresi si stanno impoverendo della loro risorsa più importante, come avvenne negli anni cinquanta, quando ad emigrare furono soprattutto giovani artigiani e contadini.

La conseguenza, allora, fu una perdita di capacità produttiva della società, la disgregazione del tessuto sociale, la dipendenza dall’esterno con la formazione di una classe dirigente di ascari appiattita sulla spesa pubblica per gestire l’assistenza e per rispondere a domande individuali e così garantirsi il consenso, la crescita del ruolo di mediazione e di controllo delle tensioni sociali da parte della ‘ndrangheta.

Seguirono anni di crescita senza sviluppo, con un aumento ipertrofico dei dipendenti pubblici, dai forestali ai dipendenti regionali, comunali, degli enti e delle società pubbliche sul territorio, spesso senza un controllo dei costi e delle attività svolte, fenomeno che ha fiaccato la dignità e lo spirito vitale della popolazione e ha prodotto degrado morale, sociale e politico.

Il modello vincente è risultato il familismo amorale che sottintende il principio che è legittimo qualsiasi scambio se questo rappresenta la chiave giusta per risolvere i problemi della propria famiglia, non importa se a scapito di altri.

Oggi, in assenza di risorse da distribuire per mantenere il consenso e un decente livello di consumi e in assenza di un progetto condiviso di radicale cambiamento, si rischia una maggiore disgregazione sociale, con fenomeni di ribellismo e di strumentalizzazione populistica delle tragedie delle famiglie, con il pericolo di un ruolo preponderante della ‘ndrangheta in termini di mediazione dei conflitti.

I calabresi rischiano una doppia ingiuria, da una parte subire la dittatura spietata della ‘ndrangheta, per cui da tempo si vive in una situazione di libertà limitata, dall’altra di essere additati come gli untori della metastasi mafiosa e come la zavorra che frena lo sviluppo del paese,come ci ricordano continuamente i leghisti, che non perdono occasione per dichiarare che senza il Sud la Padania produrrebbe di più della Germania.

Coerentemente con questa convinzione hanno preteso e ottenuto di dirottare i fondi FAS (Fondi per le Aree Sottosviluppate) destinati al Sud per interventi nel centro-nord, nel disinteresse dei rappresentanti politici meridionali e calabresi.

In buona parte della Calabria mostriamo al visitatore un quadro da terzo mondo con il degrado morale che diventa anche fisico e ambientale con mari sporchi, immondizie per le strade, periferie con rustici non finiti, strade dissestate, cattivi odori di fogne o di acque reflue dei frantoi miste a fragranza di zagara, al profumo dei pini e in mezzo a un paesaggio agrario sempreverde e pieno di colori.

.La sanità, escluso lodevoli punti di eccellenza, non funziona anche se ha costi per posto letto che sono il doppio di quelli di Milano o di Bologna e paghiamo i ticket più alti d’Italia.

L’agricoltura è in una crisi strutturale che con la riforma dell’intervento comunitario e la fine dell’integrazione alla produzione diventerà tragica, come è successo nel settore degli agrumi.

Siamo pieni di opere incompiute e di industrie mai entrate in produzione, per cui pur non avendo conosciuto la rivoluzione industriale, siamo pieni di monumenti da archeologia industriale.

Il porto di Gioia Tauro, unica infrastruttura agibile rimasta dopo il fallimento della politica dei poli di sviluppo tentata all’inizio degli anni settanta, che poteva rappresentare una leva su cui fare forza per un progetto di sviluppo moderno, basato sulla logistica delle merci, è andato in crisi .

Il motivo è che si sono delegate ad un’azienda, la MCT, le strategie di sviluppo del territorio e della regione, in cambio di favori ed assunzioni.

I dirigenti della società MCT, come è normale, hanno sfruttato questa abdicazione della classe dirigente calabrese al proprio ruolo drenando ingenti risorse pubbliche e pretendendo sempre migliori condizioni di favore nell’ interesse della propria azienda.

Interessi aziendali che in un primo momento – l’avvio del porto – hanno coinciso con gli interessi dei calabresi, ma che poi hanno seguito altre traiettorie che guardavano all’egemonia nello shipping nel Mediterraneo.

Oggi i loro interessi strategici sono altrove e spesso in conflitto con lo sviluppo della logistica a Gioia Tauro.

Loro hanno fatto il loro mestiere di imprenditori che fanno gli interessi dei loro azionisti.

Quello che è mancato e che continua a mancare è il ruolo della classe dirigente calabrese, che, escluso pochissime eccezioni ( per es. Giacomo Mancini) ha svolto e continua a svolgere il ruolo di ascari dei poteri centrali.

Tutti questi fatti sono la manifestazione del tragico fallimento di una classe dirigente, intesa nella sua accezione più ampia (politica, sindacale, burocratica, imprenditoriale, professionale).

Purtroppo anche l’attuale giunta regionale nata sull’onda di una grande vittoria elettorale derivante da una domanda impetuosa di cambiamento si è arenata nel controllo della gestione.

Dopo ormai quasi due anni dalle elezioni si sono sentiti molti proclami di cambiamento, ma non si riesce a identificare nemmeno un atto di governo che possa rappresentare una novità significativa, mentre la regione continua ad andare sempre più indietro nelle classifiche rispetto a tutti gli indicatori di benessere e di qualità della vita.

Il Presidente Napolitano continuamente porta all’attenzione delle istituzioni il problema del Mezzogiorno, quale ingiustizia da sanare e nello stesso tempo quale opportunità di sviluppo per il Paese.

La classe dirigente calabrese è la più grossa cappa che frena le possibilità di sviluppo e di cambiamento della Calabria .

In questa palude vengono avanti generose iniziative di cambiamento da parte di giovani, di intellettuali che ancora esplorano possibili sentieri di riscatto, di alcuni amministratori coraggiosi, spesso donne, che nel loro piccolo operano vere e proprie rivoluzioni, che dimostrano che cambiare è possibile.

Sicuramente tocca ai calabresi la responsabilità primaria di agire utilizzando a mò di pilastri queste iniziative perché si abbiano veri cambiamenti.

Con altrettanta sicurezza bisogna ammettere che i calabresi , senza una sponda di appoggio da parte del Paese, da soli non ce la fanno.

Democrazia e regionalismo non coincidono sempre con il rispetto della piena autonomia delle classi dirigenti locali, anche se legittimate da regolari elezioni o da regolari congressi, se queste non sono responsabili delle loro azioni e se non sono nelle condizioni di garantire l’interesse generale e il libero dispiegarsi di una autonoma dialettica nel sociale.

Non si può assistere inerti allo spreco e alla perdita di risorse comunitarie per incapacità di spesa, incapacità spesso dovuta non a carenza di progetti, ma al fatto di essere refrattari a seguire metodi comunitari che non consentono un uso troppo discrezionale delle risorse e al fatto di non accettare controlli di efficacia e di efficienza.

Alcune iniziative vanno prese per garantire l’interesse generale del Paese e per aiutare le forze del cambiamento nel segno della legalità e della responsabilità.

Va accentuata la lotta alla ‘ndrangheta, quale impegno per la difesa della democrazia e dello sviluppo del Paese.

Vanno attaccati con maggiore sforzo i patrimoni mafiosi, soprattutto quelli finanziari e vanno approntate leggi perché immediatamente questi capitali siano disponibili per essere investiti in Calabria su progetti per politiche attive del lavoro, per infrastrutture, per riforme profonde delle strutture regionali.

Vanno resi effettivi i commissariamenti della sanità e dell’ambiente, non nominando a questo ruolo il presidente della Giunta o assessori, come accade oggi, ma vere squadre di commissari con poteri sostitutivi sulla base di precisi obiettivi, quantificabili nei risultati, nei tempi e nelle risorse da impiegare, commissari che debbono accettare sistemi di valutazione ex ante, in itinere ed ex post.

Si aspetta dal Governo un intervento forte per accelerare i tempi di definizione dei lavori della Salerno – Reggio Calabria, del suo collegamento con il porto di Gioia Tauro.

Una volta c’era il porto delle nebbie che gravava come un macigno su tutti i governi quale esempio emblematico di spreco dei soldi pubblici.

Il Governo Prodi prese al volo la proposta dell’imprenditore Ravano, che aveva intuito che il fatto che il porto di Gioia Tauro era lontano da centri abitati con grandi spazi adiacenti alle banchine, che da tutti veniva indicato quale handicapp insuperabile per il suo sviluppo come porto, in quanto storicamente i porti erano cresciuti adiacenti a grandi città, era invece il suo punto maggiore di forza.

I profondi fondali e i grandi piazzali erano essenziali per svolgere il ruolo di porto hub consentendo la ripresa in grande stile del traffico marittimo nel Mediterraneo, potendo ospitare le grandi navi portacontainers che ormai avevano soppiantato il vecchio traffico con le navi mercantili e la distribuzione in tutti gli altri porti dei containers con navi più piccole.

Ci fu la sollevazione dei porti storici, tutti in crisi e prigionieri dei vecchi schemi del traffico marittimo, per paura di perdere il poco traffico rimasto.

Gioia Tauro fu fondamentale per la ripresa dei porti italiani.

Oggi ci vuole uguale coraggio da parte del Governo Monti nel superare gli ostacoli, compreso le resistenze di MCT e degli altri porti italiani.

Il porto e il suo entroterra possono diventare l’occasione di un grande progetto nazionale della logistica delle merci, operando gli opportuni investimenti perché, oltre ad infrastrutture materiali ed immateriali, siano garantiti collegamenti veloci non solo via mare, ma anche via terra e via ferro con tutta l’Italia e con tutta l’Europa.

Vanno così create le condizioni, anche di sicurezza, perché grandi compagnie internazionali della logistica abbiano convenienza ad operare a Gioia Tauro, che sarebbe una vera porta per l’Europa, potendo garantire la consegna delle merci in 24 ore in tutta Europa senza ulteriori rotture di carico.

Sarebbe questo un modo per affrontare la crisi calabrese, ma anche per aumentare la competitività del paese nella logistica, settore strategico in cui siamo drammaticamente indietro.

Non sappiamo se il Governo Monti avrà la capacità e la voglia di misurarsi con questi temi, anche perché fino ad oggi non li abbiamo sentiti nominare nell’agenda del Governo, ma sicuramente questi temi e non il bilancino per misurare quanto è di destra e quanto è di sinistra sono lo spartiacque per stabilire la sua efficacia per affrontare le emergenze del Paese, che non sono solo quelle di bilancio.

redazione@approdonews.it