Dai primordi all’eternità Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sulla crisi della giustizia
La crisi della giustizia si perde nella notte dei tempi.
All’epoca di Giustiniano, la durata dei processi volgeva certo all’indecenza, se l’imperatore si vide costretto a promulgare la lex properandum C.de iudiciis, con la quale fissava in tre anni la durata massima delle controversie civili.
Significativo è il preambolo della legge, laddove viene rimarcata la necessità di evitare che le liti divengano interminabili, superando il limite della vita umana!
Non è dato sapere, dagli storiografi o cronisti dell’epoca, per quanto tempo il categorico comando imperiale venne rispettato, ma è intuitivo supporre che, con qualche escamotage divenuto regola tutto gattopardescamente continuò come prima.
Tale intuitiva asserzione trova conferma, con eterogenee connotazioni tipiche di una endemica ed inguaribile malattia, nella coeva crisi della giustizia italiana.
L’incidenza negativa dei giudici sulla lunga durata dei processi è di inottenibile quantificazione, dipendendo da una serie di fattori, mutabili e difformi, agevolati da una singolare disciplina del nostro ordinamento giudiziario e dagli orientamenti disciplinari del Consiglio Superiore della Magistratura.
Dopo una seria selezione concorsuale, la nomina del nuovo giudice ricalca molto l’investitura feudale: non appena immesso nei ruoli, beneficia di una libertà non comparabile in alcuna amministrazione pubblica o privata.
Riferiscono le cronache che, alcuni giudici da tempo immemorabile indagano, indisturbati, su un solo caso, senza avere alcuna prospettiva di cavare un ragno dal buco; che altri vergano esposti anonimi coadiuvati dai servitor reggenti della polizia giudiziaria; che altri hanno un piglio gestionale manageriale sul rinvio delle udienze; che altri si occupano, a tempo pieno, di politica, di giornalismo, di letteratura e di altri adminicula avulsi dalla celebrazione dei processi o in conflitto con la stesura delle sentenze.
Certo il fenomeno è ancora circoscritto, ma c’è il serio rischio che possa espandersi per simpatia.
Vi è poi una particolarità nell’ordinamento giudiziario, non priva di negative conseguenze: i magistrati capi degli uffici giudiziari – per legge – sono anche preposti alla direzione ed alla organizzazione dei servizi logistici.
Si arguisce come, per la conformazione mentale che li plasma, siano i classici uomini sbagliati al posto sbagliato.
Certo i difetti degli avvocati sono molteplici e variegati, non per nulla sono il facile bersaglio della satira popolare, a volte grossolana e a volte più sottile, tanto da essere trasfusa anche in famose opere letterarie.
Ma, in definitiva, sono i veri cirenei della situazione.
“Solo là dove gli avvocati sono indipendenti, i giudici possono essere imparziali; solo là dove gli avvocati sono rispettati, sono onorati i giudici; e dove si scredita l’avvocatura, colpita per prima è la dignità dei magistrati, e resa assai più difficile ed angosciosa la loro missione di giustizia.” (Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 1935)