Delitto d’onestà Racconto fantastico e surreale, tra Franz Kafka e Jorge Luis Borges, del giurista blogger Giovanni Cardona dove la realtà è totalmente stravolta, come fosse un sogno o la visione di una mente impietosa
Salomon Anodrac un bisticcio come la sua personalità figlio di padre americano e di madre turca, alto e massiccio come un capitano di ventura, volto ovale e asimmetrico, baffi e pizzetto alla Mefistofele, decise un giorno di andare alla ricerca di una superstite «città-stato» che, sul modello di quella più celebre di Sparta, doveva pur trovarsi da qualche parte sulla faccia della terra.
Quando l’idea di trovare quella città-modello divenne idea fissa, egli abbandonò qualsiasi prevenzione tecnica, scientifica e culturale, recise ogni legame che lo potesse condurre a inciampare in qualche ostacolo critico e si ricordò delle incisive parole trovate nel famoso libro «Siddharta» di Hermann Hesse: «L’uomo che cerca veramente, l’uomo che veramente vuol trovare, non può accogliere nessuna dottrina».
E allora, rompendo ogni indugio, borsa a tracolla, macchina fotografica a penzoloni e imbottito il portafoglio di molto denaro, cominciò a peregrinare di regione in regione, di nazione in nazione, di continente in continente.
Dopo essersi ampiamente e caparbiamente informato da tutte le parti, presso tutte le biblioteche e tutti i municipi del mondo, un giorno, in un ristorante cinese, s’imbatte in un altro ricercatore che come affermava, andava a caccia di «uomini giusti», una specie che egli considerava in via di estinzione e che parafrasando un pensiero di Bismark «cercavano il suicidio per non morire!».
Dallo stesso ricercatore venne a sapere che nel Chaco, uno Stato del Brasile, nelle vicinanze del Mato Grosso, esisteva effettivamente una strana città, chiamata Feroz, isolata dal resto del pianeta quasi una nazione a sé stante, una specie di Repubblica dove nessuno era mai riuscito a entrare e da cui nessuno era uscito mai.
Dopo un profondo esame di coscienza, Salomon si recò nel luogo dove si trovava la citta di Feroz, nello Stato del Chaco. Boschi immensi, giungle intricate, paludi sterminate proteggevano quella città dagli occhi curiosi dell’umanità circostante, vicina o lontana. Oltre la boscaglia paurosa, Anodrac intravide le prime sagome di un’architettura che non aveva nulla in comune con le altre città della terra ed ebbe l’esatta percezione che quella città nulla avesse di umano e che rinserrasse dentro le sue mura quanto di più disumano si potesse immaginare.
Le altissime mura erano a forma di triangolo isoscele e poiché, ora che aveva eroicamente deciso di penetrare in quella città senza speranza di uscirne, non gli serviva più la macchina fotografica, la gettò via senza mestizia. Chiunque altro avrebbe sentito di certo un brivido percorrergli la schiena, non dico di arrivare sotto quelle mura maledette ma di varcare quella boscaglia che sembrava proteggere quell’agglomerato non più terrestre, ma lunare, di gente sconosciuta e di cui avvertiva, sia pure al di qua delle muraglie, la misteriosa presenza. Una simile città, che non si trovava nemmeno sulle carte topografiche e negli atlanti, non era soltanto impensabile ma era addirittura fuori della storia. Ma Anodrac era un uomo estremamente caparbio e cocciuto e, oltre tutto, refrattario alla paura come una salamandra lo è al fuoco, un orso lo è al gelo, un disperato lo è alla speranza. Poiché il suo coraggio e la sua temerarietà non avevano limiti, così decise di proseguire. Si ricordò di Danton e delle sue celebri tre parole gridate nell’aula della Convenzione come fossero tre martellate: Audacia! Audacia! Audacia!
Avanzò e sul portale del vertice della città lesse, a caratteri pubblicitari, queste stravolgenti assurde temibili parole: Città-Repubblica di FEROZ. Qui impera una sola legge: quella della delinquenza. Chiunque tenta di convertirsi all’onestà sarà giudicato e condannato dal nostro Tribunale speciale a dieci anni di carcere. Chi passa all’onestà sarà giudicato e condannato alla pena dell’ergastolo. I recidivi saranno gettati vivi dall’alto delle nostre mura, alte duecento metri. Qui regna il “caos” che sfida il ”cosmos”. Qui non esiste nessun Dio. Chi vuole entrare nella nostra città sappia che non potrà mai più uscirne.
Le parole cozzavano indubbiamente contro la logica e la ragione ma avevano pur sempre una loro logica e una loro ragione, governate dal senso dello sterminio, del terrorismo, della crudeltà. Una spaventosa coerenza era nella legge della città di Feroz. L’aveva in mito anche Victor Hugo quando, a proposito della piovra, esclamò: Dio eccelle nell’esecrabile!
Per una strana metamorfosi del suo spirito come accade a taluni uomini predestinati al bene o al male Anodrac si presentò davanti alla porta di ferro sormontata da un enorme scorpione di bronzo, che, poi, era il suo segno zodiacale. Due occhi di vetro si mossero roteando lentamente e fecero aprire la porta che si richiuse immediatamente dopo che egli la varcò. Vi era, sul lato destro, una grande costruzione simile a una caserma. Da uno stanzone uscì un ufficiale, il quale gli strinse la mano e gli disse semplicemente: «benvenuto!». Poi, quasi meccanicamente, gli porse una pergamena su cui vi era il decalogo della città di Feroz. L’ufficiale gli disse: «Impara a memoria le nostre leggi se vuoi sopravvivere. Su questa pergamena troverai la tua salvezza o il pane per i tuoi denti!».
Vi era scritto: «Primo: Son bandite l’etica, la morale, la deontologia; Secondo: è vietato dire la verità; Terzo: sono ammessi lo sfregio, il tradimento, le lesioni e l’assassinio; Quarto: I debiti non si pagano; Quinto: chi tenta di diventare onesto sarà condannato a dieci anni di carcere; Sesto: chi diventa onesto sarà condannato alla pena dell’ergastolo; Settimo: i recidivi di onestà verranno uccisi e precipitati dalle nostre mura; Ottavo: chi ruba fino a cinque volte sarà ampiamente premiato e potrà concorrere alla formazione del Governo; Nono: è consentito portare armi di qualsiasi genere senza licenze di porto d’arma; Decimo: l’assenza di ogni religione e di ogni fede, la gelosia, l’invidia, l’odio e la vendetta alimentano le nostre leggi e i nostri ordinamenti».
Anodrac rimase letteralmente esterrefatto nel leggere tale capolavoro di diktat. Volle subito entrare in un’aula di Tribunale per verificare ciò che vi si rappresentava. Vi si rappresentava la sagra dell’abiezione! Si ricordò inutilmente del passo della Bibbia che illumina uno dei proverbi di Re Salomone: «La via del malvagio è qualche cosa di detestabile a Geova, ma egli ama chi persegue la giustizia».
Entrato che fu in una grande aula, affollata fino all’inverosimile, notò che giudici accusatori e difensori avevano tutti la stessa faccia della ferocia. Sul banco vi era un solo accusato che quella mattina era incappato in un autentico guaio tentando di pagare il conto a un albergatore che, per giunta, si era anche dimenticato del suo credito.
Ciò costituì un’aggravante per il Pubblico Ministero. Giudicanti, accusatori e difensori avevano tutti volti da plotone d’esecuzione. Arrivò giusto in tempo per ascoltare la conclusione della requisitoria del Pubblico Accusatore: «Quest’uomo, giudici, deve esser bandito dal nostro consesso perché ha osato pagare un credito. Questa resipiscenza tardiva di onestà va punita. L’imputato è un miserabile che tenta di inquinare le nostre istituzioni e le nostre leggi. Merita, perciò, il vostro castigo in nome di Caino, nostro protettore, vi chiedo che vogliate condannare questo scellerato alla pena di dieci anni di reclusione ritenendolo colpevole di tentata onestà. Sappiano tutti che chi di onestà ferisce di onestà perisce!
Anodrac usci dall’aula annichilito. Fece una tremenda forza a se stesso e, dopo aver attentamente vagliata la situazione, decise di rimanere nella città infernale di Feroz, senza tentare in nessun modo una qualsiasi possibilità di fuga. A che pro fuggire? Per essere ucciso?
E anche se fosse riuscito a evadere da quella città-prigione che era una polis alla rovescia, che senso avrebbe avuto ritornare nelle città o megalopoli dei cinque continenti? Non si compivano qui misfatti ben più orrendi in nome di una presunta legalità venata di ipocrisia e di tradimento? Quale concreto progresso morale e spirituale avevano compiuto l’«Homo erectus», l’«Homo abilis» e poi l’«Homo sapiens» perché la società umana meritasse un suo ritorno, qualora potesse evadere?
Nelle città della terra si assassinava in nome di principi e di ideali mascherati di autentica ferocia, si facevano guerre e rivoluzioni, si praticava il genocidio e, dopo, ci si faceva il segno della croce! Almeno nella città di Feroz si praticava, come norma di vita, la peggiore, anche se più spaventosa, espressione dell’animo umano: disumana era la regola perché crudeli erano gli uomini. Almeno erano sinceri, erano coerenti! Meglio una prostituita che afferma di esserlo davanti al mondo che una sedicente signora per bene che mimetizza la sua esistenza parassitaria nella «haute» della sua alcova ed è peggiore di una prostituta. La città di Feroz era come quella prostituta vera, autentica, coerente.
Anodrac rinnegò se stesso e la civiltà e si rinchiuse tra quelle mura maledette, come votandosi a un suicidio. Nelle città terrestri era onesto ma disprezzato dai suoi simili. Meglio Feroz che disprezzava gli onesti sia pure in maniera disonesta.
Aveva ragione Jean-Paul Sartre quando scrisse: “Maledizione! L’inferno sono gli altri”!