Devozione a Maria nella Piana di Gioia Tauro
redazione | Il 07, Set 2011
L’ambizione di paragonarsi a Dio fu causa del primo peccato di superbia e disobbedienza
di Domenico Caruso
Devozione a Maria nella Piana di Gioia Tauro
L’ambizione di paragonarsi a Dio fu causa del primo peccato di superbia e disobbedienza
TAURIANOVA – L’ambizione di paragonarsi a Dio fu causa del primo peccato di superbia e disobbedienza. Adamo, richiamato alla sua responsabilità, accusò la compagna con parole di rimprovero: «La donna che tu hai messo vicino a me, mi ha dato dell’albero, e io ho mangiato» (Gn 3, 12).
Accade tuttora che, posto dinanzi al proprio errore, l’uomo senza generosità cerchi di gettare sugli altri ogni colpa. Da Adamo ad Eva e da questa al serpente il passo è breve. Sull’ingannatore padre della menzogna, si abbatté – quindi -implacabile la condanna del Signore: «Perché hai fatto questo, / maledetto sii tu fra tutto il bestiame […] Io porrò ostilità tra te e la donna, / tra la tua stirpe e la sua stirpe: / essa ti schiaccerà la testa / e tu la assalirai al tallone» (Gn 3, 14-15).
Queste parole del Protovangelo annunciano, fin dalla creazione, la salvezza del genere umano per mezzo di Maria Immacolata.
«Sotto il nome della donna si congiungono le due figure femminili di Eva e di Maria: Maria assume in se stessa il mistero della donna, il cui inizio è Eva. Ed Eva riscopre in Maria il significato dell’umanità femminile, riscopre la dignità e la vocazione della donna come Dio la volle al principio».1]
Se la caduta fu imputabile all’orgoglio della prima donna, dall’umiltà dell’altra si riparò il peccato: «Ecco la serva del Signore; (rivolta all’angelo) si faccia di me come hai detto tu» (Lc 1, 38).
Con la lettera apostolica Mulieris dignitatem, che reca la data del 15 agosto 1988, giorno conclusivo dell’anno mariano, Giovanni Paolo II riconosce e proclama la parità di diritti dell’uomo e della donna.
Ci sono luoghi e culture dove la discriminazione e la sottovalutazione femminile rappresentano ancora un triste retaggio: dinanzi a tali gravi fenomeni l’impegno dei cristiani dev’essere vigile e coraggioso.
All’epoca di Gesù la società presentava una struttura patriarcale: le donne non potevano partecipare alla vita pubblica, tantomeno prendere parte attiva al culto.
Nel Tempio veniva loro riservato il vestibolo, col divieto di sorpasso, ed uscendo di casa avevano l’obbligo di coprirsi il viso. Era diritto del marito di ripudiare la moglie qualora venisse sorpresa senza l’acconciatura.
Lo storico Giuseppe Flavio (37-103 d.C.) sottolinea con una frase della Legge l’iniqua condizione: «La donna è inferiore all’uomo in ogni cosa».
Nel Nuovo Testamento Gesù attua un vera liberazione, come dimostra il fatto che un gruppo di donne l’abbia costantemente seguito. Egli è amico di Maria e di Marta; saranno le donne a rimanergli accanto nel momento della sua passione e morte; sempre le stesse a testimoniarne la risurrezione quando gli altri discepoli si dilegueranno per la paura.
Nel 1964 Paolo VI, nel promulgare il documento conciliare Lumen Gentium, proclamò Maria Madre della Chiesa. Come Ella abbia esercitato questa mansione per amore di tutte le creature viene illustrato dall’episodio delle nozze di Cana, dove per aiutare gli sposi si rivolge a Gesù con le parole non hanno più vino – quasi a porre l’accento su quanti avrebbero potuto rattristarsi per il contrattempo. Il Figlio senza respingere la richiesta, vuole educare la Madre al suo nuovo ruolo: «Che vuoi da me, o donna?» (Gv 2, 4). E Maria dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». La mediazione materna ha un carattere di intercessione. Da Cana al Calvario, Maria è sempre attenta ai bisogni degli uomini, sempre amorevole Madre della Chiesa.
«Per la sua piena adesione alla volontà del Padre, all’opera redentrice del suo Figlio, ad ogni mozione dello Spirito Santo, la Vergine Maria è il modello della fede e della carità per la Chiesa». Ed ancora: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1, 48). «La pietà della Chiesa verso la Santa Vergine è elemento intrinseco del culto cristiano».[2]
Per il popolo Maria costituisce una presenza viva e misericordiosa, sempre pronta a rispondere ai bisogni concreti di ognuno. Come una madre affettuosa, avverte la nostra pur segreta disperazione, avendo sofferto durante la sua esperienza terrena per la crudele sorte del Figlio diletto.
Anche la preghiera popolare, comunitaria senza il carisma dell’ufficialità, spontanea e insistente, esprime la certezza che la nostra richiesta non viene delusa. Durante le manifestazioni che coinvolgono un intero paese per mezzo di processioni, drammi rituali e momenti corali di esultanza, si rinsaldano i vincoli di socializzazione conquistati dalla tradizione.
La visita ai santuari, gli ex-voto, la diffusione di qualche effigie nelle abitazioni, i canti sinceri e suggestivi testimoniano come la devozione di Maria faccia parte della nostra quotidianità.
Nella molteplicità di titoli vi è un’identica realtà: la Madonna, ponte fra cielo e terra, creatura a noi vicina con la quale poter instaurare un legame filiale fattivo e sincero. Le forme espressive di pietà popolare sono portatrici di valori creativi e mezzi d’incontro spirituale con la Madre Celeste.
Il pellegrinaggio, considerato dalla Chiesa espressione legittima di fede, è il simbolo della condizione itinerante del cristiano. Il desiderio di un incontro più diretto con il divino si risolve spesso con una guarigione spirituale e un’apertura verso il prossimo. Nelle diverse località della Piana di Gioia Tauro, la Vergine Maria occupa un ruolo di prim’ordine nella devozione popolare. Parecchi figurano anche i Santuari frequentati dai fedeli. Appena fuori dall’abitato di Molochio vi è Santa Maria di Lourdes, ad Oppido Mamertina ed a Sinopoli Maria SS. delle Grazie, a Palmi la Vergine del Carmine, a S. Procopio la Madonna degli Afflitti, a Seminara la Madonna dei Poveri. Non meno importanti si rivelano le altre Chiese intitolate alla Divina Madre. Le più numerose sono dedicate alla Madonna del Carmine ed a quella del Rosario; seguono l’Assunta, le Grazie e l’Immacolata; quindi l’Addolorata, Santa Maria degli Angeli, l’Annunziata, la Catena e la Montagna. Nell’impossibilità di riportare la storia di ognuna, mi limiterò a quelle di Taurianova, Palmi e Seminara. La prodigiosa effigie di Maria SS. della Montagna, Patrona di Taurianova, fu ordinata nel 1787 per sciogliere un voto da un certo don Vincenzo Sofia – benestante del luogo – a Michele Salerno di Serra San Bruno con bottega a Napoli. Sistemata – quindi – dentro una cassa sopra un bastimento in partenza per Gioia Tauro, nel golfo di Salerno fu colta da una violenta tempesta. Vani furono i tentativi dei marinai, ignari del prezioso contenuto, di sbarazzarsi del carico per alleggerire la nave ed evitare di andare a fondo.
Nel contempo un marinaio scorse, alta sul ponte, una signora con le braccia alzate nell’atto di placare gli elementi. Cessate le onde e arrivati a Gioia Tauro, dove il Sofia l’attendeva, la cassa fu aperta. Incredibile ma vero, quel marinaio riconobbe nella statua della Madonna la signora intravista sul ponte!
Fu così che i cittadini di Radicena (ora Taurianova) sentirono la necessità di sostituire la miracolosa immagine con quella più antica offerta e importata da Capistrano nel 1763 dall’Arciprete Don Domenico Antonio Zerbi.
Il 9 settembre 1894 si verificò un nuovo prodigio: si videro gli occhi di Maria muoversi con singolare vivacità. Era stato deciso – allora – di portare la statua in solenne processione per le vie cittadine quando, in mezzo alla luna alta nel cielo, apparve una grande croce luminosa – come accadde a Costantino prima della battaglia sul Ponte Milvio. Ciò rappresentava un segno eloquente della protezione divina dai disastri tellurici che da lì a poco si sarebbero verificati.
A Palmi l’ultima domenica di agosto (o il sabato precedente la Festa della Varia) si rinnova il culto della patrona, la Madonna della Sacra Lettera. Si tramanda che nel 1571, a causa di una terribile pestilenza, molti messinesi trovarono scampo nel centro pianigiano e gli stessi palmesi accorsero nell’isola con viveri e medicinali. Cessato il pericolo, come segno di gratitudine il Senato di Messina fece dono ai marinai palmesi di uno dei tre capelli che la Beata Vergine aveva regalato nel 42 d.C. ai propri ambasciatori insieme alla lettera. La reliquia, racchiusa in un reliquiario d’argento, viene portata in processione unitamente al quadro della Madonna.
Per un antico privilegio, il trasporto è affidato ai marinai della Confraternita del Soccorso i quali procedono con un caratteristico passo di danza, a ricordo del mare agitato che i palmesi incontrarono nel ricevere il prezioso dono.
A Seminara – infine – si conserva la più antica scultura lignea del Meridione, la Madonna Nera dei Poveri. Portata in Occidente dai monaci bizantini nell’ottavo secolo, fino al 951 fu venerata a Tauriana. Dopo la distruzione della città magnogreca dai pirati agareni, l’immagine trovò la sua collocazione a Seminara. Il primo documento ufficiale dell’evento risale al 1325. La Santa Vergine, alta 92 cm. tiene sul braccio destro un bambino e poggia su un trono laminato in oro. Salvata due volte, nel 1783 e nel 1908, dai terremoti che distrussero la città, ricevette la visita di re e imperatori come il normanno Ruggero II, Ferdinando II di Spagna e Carlo V. Dal 10 al 15 agosto di ogni anno migliaia di pellegrini giungono da ogni parte per rendere omaggio alla prodigiosa immagine.
Diverse leggende tramandano il suo ritrovamento a Tauriana, dov’era stata nascosta per sfuggire alle feroci milizie musulmane. In una di queste storie si narra che, durante la settimana santa, alcuni cittadini di Seminara erano intenti a raccogliere erbe selvatiche nella campagna circostante quando rinvennero la statua della Madonna. Avvisarono dell’evento i loro concittadini, i quali inviarono sul posto i più notabili del luogo a prelevarla. Ma il simulacro si rivelò tanto pesante da non potersi sollevare. Tentarono l’impresa i più umili (i poveri) e la statua, divenuta miracolosamente leggera, fu portata a Seminara.
Due altre Madonne Nere sono celebri in Italia, quelle di Oropa e di Tindari.
Pertanto, è un nostro vanto possedere un simulacro così straordinario.