Dove va la Calabria? Zes, uno specchietto per le allodole che passa di mano in mano
Una prima risposta istintiva potrebbe essere questa, va nella direzione in cui intere generazioni di burocrati e di politici autoreferenziali l’hanno indirizzata, cioè verso i loro interessi privati.
Affonda la sua esistenza in una psicosi schizofrenica, ovvero nella totale indifferenza a ciò che accade, reagendo in modo assurdo agli eventi esterni, perdendo sempre più il contatto con la realtà e isolandosi in un mondo incomprensibile a chi la osserva da di fuori.
Non si aggiunge nulla di nuovo a ciò che manifestamente si è sempre annunciato come un miraggio.
Lo vedi ma non lo tocchi. La Calabria la vedi ma non riesci a toccarla, a respirarla, a gustarla con gli occhi chiusi. La sua vocazione al “bello” giace sepolta sotto una coltre secolare di infrastrutturazione assente, di programmazione lungimirante assolutamente sconosciuta.
Si vive in uno splendido isolamento allorchè si preferisce indirizzare risorse pubbliche e private al golf anziché intuire che la messa in sicurezza dello sfacelo idrogeologico del nostro territorio verrebbe prima, molto prima.
Si preferisce pensare di mantenere la stagione venatoria o duplicare in maniera platealmente oscena, leggi quadro nazionali sugli incendi, anziché adoperarsi per una seria considerazione degli edifici pubblici alla sismicità massima del nostro territorio.
L’assunto è sempre quello: qualcuno ci penserà dopo di me. Semmai.
D’altra parte, lo specchietto per le allodole che passa ad arte di mano in mano, e che risponde alla ZES (Zona Economica Speciale), da attuarsi nell’area portuale di Gioia Tauro, non è altro che l’archetipo di come si è sempre inteso procedere in Calabria: privilegiare in maniera ottusa ed assurda lo sviluppo alla industrializzazione.
Discutere di intermodalità, di APQ, di sviluppo del retroporto, è totalmente privo di significato storico ed economico, se poi l’unica strada che collega Gioia Tauro al porto, non è mai stata collegata con la normalissima illuminazione stradale ed è mantenuta, non per caso, in uno stato di totale abbandono.
Si costruisce prima il tetto, e poi qualcuno, ma sempre dopo, penserà alle mura portanti…
In buona sostanza, con la ZES si cerca di dare fiato ad uno strumento economico, attivo e funzionale ad altri sistemi economici nel mondo, senza però che alcuno si sia mai preoccupato – nel percorso storico-economico-politico calabrese – di avviare preventivamente meccanismi basici di riforma, senza i quali si ricadrà inevitabilmente nella democristiana “dipendenza da sussidio”, da cui non ci siamo mai realmente liberati.
Consumato anche questo, si ritornerà al punto di partenza, in un folle gioco dell’oca, con finte doglianze politiche, in attesa di nuovi foraggiamenti.
Guardare in faccia la realtà per cambiarla, significa leggere e interpretare le esigenze di un territorio, cacciarlo dalle mani di chi intende mantenere (ovviamente) la più ricca e richiesta formula della rendita economica, fregandosene dell’efficienza e dei benefici per la Calabria, roba da spalmare in tempi lunghi, troppo lunghi per chi deve monetizzare e farlo subito.
Insomma, il “tutto e subito” ha la netta prevalenza nella lucida psicosi delle nostre governance, senza che a nessuno venga in mente che un territorio, una comunità, nasce e si sviluppa esattamente come un essere umano.
Abbisogna di crescere senza forzature, ed essere supportato con diligenza ed attitudine.
Se da bambino non gli forniscil’abc, i semplici elementi educativi (epperciò infrastrutturali) del leggere e dello scrivere, sarà inutile cercare di insegnargli le buone maniere a tavola, o di portarlo in società.
Mandarlo alle scuole serali sarebbe la cosa più urgente ed opportuna, sostituendo immediatamente gli educatori inetti ed incapaci.
Il maestro Manzi diceva “non è mai troppo tardi”. Facciamolo quindi. Subito.
Pino Romeo, urbanista