Ebola: persiste nel fluido oculare pure dopo guarigione Lo dice una ricerca della Flinders University che ha studiato i risultati delle condizioni del sopravvissuto Ian Crozier
Secondo una ricerca della Flinders University di Adelaide in Australia, il virus
dell’ebola può rimanere in agguato nel fluido oculare per 10 settimane quando non
è più individuabile nel sangue del paziente. Lo hanno rilevato i ricercatori che
hanno studiato i risultati delle condizioni del sopravvissuto all’ebola dott. Ian
Crozier, il medico specialista di malattie infettive che lo scorso agosto contrasse
la malattia mentre trattava pazienti in Sierra Leone. Crozier che è sopravvissuto
è stato dichiarato libero dal virus dopo la ‘scomparsa’ nel sangue, ma dopo due
mesi il fluido oculare è risultato positivo all’ebola. L’oftalmologia Justine Smith
in una intervista rilasciata al New England Journal of Medicine Lha dichiarato che
la scoperta del virus nel fluido limpido nell’occhio, fra la lente e la cornea, può
avere forti implicazioni per chi ha sopravvissuto all’ebola e per il personale medico-sanitario
che lo ha trattato. Secondo la ricercatrice “Vi è la possibilità che le persone
che sopravvivono all’ebola, forse anche metà di esse, possano poi contrarre gravi
infiammazioni all’occhio”. Secondo la studiosa, una grave infiammazione agli occhi
può danneggiare molti tessuti delicati e causare cataratte, glaucoma o gonfiore
della retina, danneggiando la vista anche irreversibilmente. “Sappiamo che vi sono
meccanismi nell’occhio che limitano l’infiammazione bloccando l’azione immunitaria.
Di conseguenza i patogeni come i virus possono persistere nell’occhio senza essere
attaccati dal sistema immunitario, come avverrebbe in altre parti del corpo”, spiega
la studiosa. Si tratterà ora di stabilire perché il virus dell’ebola persiste nel
fluido oculare, ma i ricercatori assicurano che non potrebbe essere trasmesso ad
altre persone. Il rischio di esposizione al virus può esistere però in situazioni
come la chirurgia oculare, per i presenti in sala operatoria. Secondo Smith i sopravvissuti
all’ebola dovrebbero essere monitorati per individuare possibili effetti collaterali
di lungo termine. La scoperta tuttavia aiuterà a sviluppare futuri trattamenti per
la letale malattia. “Se comprendiamo che un virus o un batterio causa una malattia,
saremo un passo avanti nello sviluppo di un trattamento per combatterlo”, sostiene.
“. Inoltre osserva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti
[1]”, si legge nel rapporto del Centro europeo per il controllo delle malattie
(Ecdc), “sono stati individuati nel latte materno e sperma dopo la scomparsa del
virus dal sangue” .Tuttavia, precisa, “l’evidenza che il virus possa persistere per
un lasso di tempo nel corpo umano dopo la guarigione è insufficiente per definire
uno specifico periodo di differimento” per la donazione. Tale periodo è fissato
in 12 mesi dopo la guarigione.