Le mani della ‘ndrangheta sull’Expo, 13 arresti
Ricostruite le dinamiche mafiose e gli affari dei clan vibonesi in Lombardia. L’operazione è stata coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassinni. Un ex consigliere comunale di Rho intercettato a casa del boss Pantaleone Mancuso
La torta dell’Expo è troppo appetitosa perché la ‘ndrangheta non provi ad allungarci le mani. E infatti secondo la procura distrettual eantimafia di Milano, due sodalizi della criminalità organizzata calabrese «con diffuse infiltrazioni nel tessuto economico lombardo» coltivavano interessi «in speculazioni immobiliari e in subappalti di grandi opere connesse ad Expo 2015». Tredici persone sono finite in manette nell’ambito di un’operazione condotta dai carabinieri del Ros. L’accusa per loro è di associazione mafiosa, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d’ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio.
Gli inquirenti hanno ricostruito un’organizzazione che si sarebbe impossessata di subappalti per circa 450mila euro tramite un’impresa, di proprietà del boss, che ha ottenuto persino la certificazione antimafia. Il clan Galati si era infiltrato nei lavori della Tangenziale Est Esterna di Milano, una delle opere infrastrutturali più importanti da realizzare in vista dell’Expo 2015. Emerge anche questo dagli atti dell’indagine che questa mattina ha portato all’arresto di 13 persone. In particolare è Giuseppe Galati, esponente di primo piano dell’omonimo clan nonchè nipote del boss Antonio, a gestire due società di costruzioni titolari di diversi subappalti in alcuni cantieri della ‘Tangenziale Est Esterna di Milano’. Un ruolo che Galati ha rivestito nonostante si trovi in carcere in seguito a un condanna per traffico di droga.
Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Como e Monza-Brianza, ma anche in quella di Vibo Valentia. Proprio alle provincia calabrese facevano riferimento le cosche coinvolte nel blitz. Nel paese di San Costantino è stato infatti arrestato Antonio Denami, 34 anni, ritenuto in contatto con la famiglia Galati, originaria del vibonese ma da tempo stanziata a Como. L’uomo è accusato di associazione per delinquere semplice, porto abusivo di armi, minacce e danneggiamenti.
I Galati vengono considerati una ramificazione al Nord del potentissimo clan Mancuso che ha la sua base a Limbadi, in provincia di Vibo. Tra i presunti ‘ndranghetisti destinatari dell’ordinanza firmata dal gip di Milano Alfonsa Ferraro figura anche Antonio Galati, originario di Mileto, in provincia di Vibo e ritenuto il capo dell’organizzazione lombarda. Antonio Galati è il boss che dal carcere gestiva gli affari. E’ anche il padre di Giuseppe Galati, 35 anni imprenditore nel cambio-oro, e zio di Giuseppe Galati di 43 anni, anche loro destinatari delle misure cautelari come Fortunato Galati, 36 anni, originario di Vibo.
In Calabria è stato eseguito anche un secondo provvedimento, notificato ad un altro vibonese, attualmente detenuto nel carcere di Reggio Calabria per esigenze processuali e già arrestato nell’ambito dell’operazione Infinito coordinata dalla Dda di Milano.
Nell’elenco delle persone arrestate c’è anche un ex consigliere Pd del Comune di Rho (Milano). Si tratta di Luigi Calogero Addisi, origniario anch’egli del Vibonese.
Ad aprile era stato costretto a lasciare la politica dopo lo scandalo che lo aveva colpito dopo gli arresti dell’operazione Metastasi. Ora è accusato di riciclaggio e abuso d’ufficio con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Avrebbe riciclato denaro per l’acquisto di un terreno nella zona di Rho per poi votare a favore in Consiglio comunale della destinazione d’uso che ne avrebbe aumentato il valore. Addisi è finito al centro delle indagini perché è stato individuato a casa di Pantaleo Mancuso, boss della cosca vibonese. Da lì si sono scoperte le operazioni che ora gli vengono contestate.
L’indagine è diretta dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e si è concentrata su due gruppi di ‘ndrangheta radicati nel Comasco, con infiltrazioni nel tessuto economico lombardo. Gli arrestati avevano contatti ad ampio raggio nel mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario. A quanto si apprende, le persone avevano rapporti con un agente di polizia penitenziaria, un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, un imprenditore e con dei consiglieri comunali di comuni dell’hinterland milanese. Dai loro referenti ricevevano notizie, denaro e vantaggi.
Fra gli episodi più gravi scoperti con l’operazione denominata ‘Quadrifoglio’, vi sono anche intimidazioni decise e organizzate dalla cosca Galati contro rappresentanti istituzionali. Gli inquirenti ne segnalano, in particolare, due: l’incendio doloso registrato a Giussano nel marzo 2013, quando venne data alle fiamme l’auto di un agente della Polizia Locale di Giussano. L’incendio sarebbe stato deciso come ritorsione per un controllo stradale a seguito del quale Fortunato Galati, indagato, era stato denunciato per resistenza e violenza contro pubblici ufficiali.
Il secondo episodio riguarda l’invio alla direttrice del carcere di Monza di una busta contenente minacce e 3 proiettili inesplosi calibro 9 per 21. Episodio che gli inquirenti oggi collegano al mancato accoglimento di alcune istanze presentata da Fortunato Galati, in quel periodo detenuto presso il carcere monzese. L’atto intimidatorio, affermano in una nota gli inquirenti “veniva ordinato dal carcere dal detenuto Fortunato Galati ed eseguito dal suo sodale Antonio Denami, che effettuava la spedizione dalla Calabria. La busta contenente le minacce e le cartucce è stata individuata e sequestrata dopo la spedizione”, il 16 maggio del 2013.