El Día(z) de la tortura Lo Stato Italiano e il supplizio delle nostre coscienze
di Carmelo Nicotera
“C’è da pulire il sangue innocente”: in Francia, nel 1763, il filosofo francese Voltaire sentì l’esigenza di versare inchiostro sulle macchie indelebili di un omicidio figlio di forti contrasti ideologico-religiosi. “Il Trattato sulla Tolleranza” del pensatore parigino costituisce- ancora oggi- una sublime “arma” di riflessione sugli indirizzi etici della società civile. Il vuoto morale che accompagnava la società transalpina dell’epoca si concretizzò nell’uccisione- nonostante la mancanza di prove- di Jean Calas, umile negoziante, accusato ingiustamente del martirio del figlio. L’uomo, infatti, secondo la pubblica morale, il chiacchiericcio popolare, lo aveva assassinato per impedirgli la conversione al cattolicesimo. I fatti, purtroppo, delineavano un quadro diverso: Marc-Antoine Calas, in realtà, si era suicidato. La riapertura del caso negli anni a seguire riabilitò la figura dell’ugonotto condannato solo sulla base di un pregiudizio. Quel “sangue innocente”, diretta conseguenza del fanatismo religioso, della cupidigia dell’uomo, della turpe chiusura mentale verso l’altro, tormentava l’animo di Voltaire, il quale, convinto di non esser ascoltato dagli uomini, rivolse- in ultima istanza- una preghiera a Dio affinché spazzasse via il seme dell’odio, della differenza, dell’intolleranza.
Il lago di sangue che ha attraversato la storia mondiale è sgorgato fino a Genova. In una calda estate del 2001, il Dio invocato da Voltaire non si è fermato ad Eboli, ma a pochi passi dalla scuola “Diaz” del capoluogo ligure. Mentre i potenti del mondo decidevano le sorti del globo terrestre dal loro sfarzoso bunker, in un luogo di cultura, di sapere, di tolleranza si consumava l’ennesima pagina buia, oscura della storia dell’Umanesimo. Il silenzio della notte venne squarciato da un pestaggio da “macelleria messicana”, da un’operazione squadrista, fascista che fece ripiombare l’Italia nel baratro del ventennio della vergogna. Nessuna “velina” mussoliniana recapitata alle redazioni, nessun altoparlante messo in funzione a scandire la visita di cortesia, nessun Dio a cui rivolgersi per sottrarsi alla mattanza: attivisti, operatori dell’informazione, persone comuni sono stati privati della loro dignità. Quelle forze dell’ordine, nel tentativo estremo di qualcuno di giustificare il loro operato, sono stati definite “animali in gabbia”. La miglior risposta alla scelleratezza di quest’affermazione la diede Voltaire dalle pagine del suo “Trattato”: “Il diritto all’intolleranza è assurdo, barbaro. È il diritto delle tigri; è anzi ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi”. I paragrafi enunciati dal francese si traducono, nelle barbarie genovesi, in altri termini: inumanità, sopraffazione, virilità del manganello. Il genere umano, nella calda notte della “Diaz”, è stato stuprato di valori, conoscenze e volontà.
Quelle vite terribilmente marchiate dall’onta dell’ingiustizia sono state ulteriormente denigrate da quello Stato incapace di tutelare i suoi figli. Uno Stato che, probabilmente, avrà avuto questioni ben più importanti da dirimere. Penso ad un Silvio Berlusconi, Premier all’epoca dei fatti, affaccendato a ricostruire l’albero genealogico della famiglia di Mubarak, stressato dalle lusinghe delle Olgettine, tormentato dalle continue minacce dei comunisti. Mi torna in mente Gianfranco Fini, desaparecido della politica, ex Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, “manganellista” di vecchia data, ancora succube delle richieste immobiliari del cognato, paladino della famiglia in compagnia dell’amante, trasformatosi però in “rivoluzionario rosso” in ribellione al Silvio di cui sopra. Scajola, nel 2001 Ministro dell’Interno, aveva una quantità imprecisata di burocrazia da smaltire, Matacena lo stalkerizzava al telefono, doveva esercitarsi nella nobile arte di firmare assegni a sua insaputa. Il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, invece, stava teorizzando la cultura del priapismo agli iscritti della Lega. Subito dopo i fatti, sono arrivate prontamente le scuse del leghista: “Pensavamo fossero Rom”.
Voltaire ci ha insegnato la cultura della tolleranza. Ma, cosa ben più importante, ci ha trasmesso un valore inestimabile: il senso di giustizia. Quest’ultimo sentimento, svilito da quasi quindici anni, ha da sempre accompagnato la battaglia di Arnaldo Cestari, oggi 76enne, che nella corrida di Genova, nonostante avesse le braccia alzate in segno di resa, venne picchiato alla testa, alle braccia e alle gambe. Le gravi fratture nel corpo non erano nulla- come da lui stesso dichiarato- in confronto allo smacco subito dalla propria anima, dalla propria libertà, dal suo essere partigiano. Il 7 Aprile del 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha pulito, finalmente, quegli omicidi morali, quel “sangue innocente”: lo Stato Italiano è stato condannato all’unanimità per violazione dell’articolo 3 della “Convenzione sui diritti dell’uomo”. Nessun essere umano, infatti, “può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. La sentenza è chiara, limpida, precisa: l’operato della Polizia di Stato deve essere qualificato come tortura. Cestari, insieme alle altre 87 persone massacrate, non cancellerà mai più i fantasmi di quella notte; lo Stato Italiano, a sua volta, dovrà sempre convivere con questi opprimenti scheletri nell’armadio. Voltaire scrisse a Dio per lenire la sofferenza delle barbarie. Genova, invece, si rivolge al suo Fabrizio De André che le ha sempre “cantate” allo Stato Italiano: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coivolti”.