Fai silenzio! Riflessioni sul libro del magistrato Marisa Vanzini «Fai silenzio ca parrasti assai»
Voglio affrontare l’analisi di un “silenzio grave”, non quello monastico della “regola di san Benedetto”, nemmeno il silenzio della “sacra liturgia”, quanto meno quello di chi aspira a raccogliersi nella propria cella interiore. L’eloquente titolo provocatorio del libro del magistrato Marisa Manzini, «Fai silenzio ca parrasti assai» (Soveria Mannelli 2018), raccoglie l’esperienza dei processi alla ‘ndrangheta, in particolare riporta che durante un dibattimento nell’aula giudiziaria un imputato si rivolge a lei intimandola di “stare zitta”.
Il silenzio è mafia, è ‘ndrangheta, è connivenza, è legittimazione al male. Oggi, in Calabria e nello specifico della Piana di Gioia Tauro esiste un “silenzio diffusivo” che potrebbe tradursi in “omertà”. È la traiettoria seguita dalla più potente organizzazione criminale per il rafforzamento del suo potere, a cui si aggiunge il “silenzio istituzionale”, sul degrado pubblico, sulla sanità, sulla disoccupazione giovanile.
Il libro della Manzini è frutto di una fitta rette di indagini e di processi e provocatoriamente l’autrice evidenzia il potere della ‘ndrangheta che condiziona il territorio calabrese in ogni settore della vita sociale. C’è un potere psicologico, economico, culturale dell’organizzazione mafiosa calabrese, che alimenta la “tragicità del calabrese”, nel noto motto “nulla può cambiare!”.
C’è dall’altra tuttavia il potere della parola contro il “silenzio”, che sta nella denuncia, nella ribellione, che spezza l’apparente calma contro la passività e la rassegnazione, atavico fatalismo calabrese. Quale è questo potere della parola? È il parlare della vita, in gergo biblico è la «parrhesia», il coraggio dato dallo Spirito Santo a parlare in nome della verità e del bene che esclude la calunnia, la diffamazione e la disinformazione
Il territorio calabrese nutre con il” silenzio” l’organizzazione criminale, gli offre consenso ad una “‘ndrangheta tentacolare” (Relazione del presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis) ed è favorita da una sottocultura, come l’esempio della corruzione, della complicità e dell’economia drogata dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta.
Ritornando al libro della Manzini, l’autrice in sei capitoli effettua un viaggio sul territorio aggiornando alcuni eventi drammatici dell’evoluzione della ‘ndrangheta di potenti famiglie accanto a storie di ribellione ben documentate. Assestamenti e cambiamenti delle ‘ndrine nel vibonese, alcune spinte secessioniste, le riconciliazioni, così la ‘ndrangheta si ricompatta e si evolve in uno scenario inquietante nel panorama criminale. È il volto di una mafia “imprenditrice” che ricorre all’utilizzo della violenza come l’autobomba a Limbadi, mandando messaggi molto chiari.
Infine l’autrice parla di sogno, di una rigenerazione possibile, di un rinnovamento già iniziato con alcuni uomini e donne.
Il libro ha una dedica specifica, i giovani, anzi è rivolto a loro che si aspettano tanto dalle istituzioni, per quelli che “rimangono” in Calabria e scommettono.
A partire dal coraggio di questo magistrato a rompere il “silenzio”, a guardare apertamente in faccia chi pretende di imporsi con la violenza, è possibile la pace in Calabria, la rinascita del territorio a corto di risorse che spezza tentativi di cambiamento.
Siamo entrati in periodo della storia senza precedenti, e la Manzini lascia un messaggio non solo per i giovani, a parlare, a vivere la libertà di parola, non ad onorare e lodare i potenti, ma di collaborare per il bene comune.