Falso in atto pubblico, assolti tre vigili di Gioia Tauro Riformata la sentenza emessa nel 2013 dal Tribunale penale di Palmi
GIOIA TAURO – Assolti perché il fatto non sussiste. Con questa formula la Corte di Appello di Reggio Calabria (presidente Gaeta a latere Costabile e Cappuccio) ha nettamente riformato la sentenza emessa nel 2013 dal Tribunale penale di Palmi, con la quale era stata pronunciata la condanna ad anni due e mesi 6 di reclusione a carico di Plateroti Teresa, di anni 50, Vardè Santo, di anni 52, e Calfapietra Giacinto, di anni 65, agenti della Polizia Municipale di Gioia Tauro, tutti ritenuti responsabili di falso in atto pubblico per aver redatto un’annotazione nella quale era stata erroneamente sostenuta l’impossibilità di accertare l’identità del conducente di un motociclo che nell’estate del 2010 aveva travolto l’ing. Domenico Cento mentre lo stesso era intento ad attraversare a piedi la strada provinciale di Gioia Tauro.
Le indagini successivamente effettuate dal Commissariato della Polizia di Stato di Gioia Tauro avevano poi consentito di accertare che in quella occasione il centauro che aveva travolto Cento si era trattenuto sul luogo ed aveva addirittura conversato con taluno degli agenti di Polizia Municipale. Da ciò ne era derivata per i tre vigili la grave accusa di aver falsamente ricostruito l’accaduto attraverso una annotazione stesa da uno di essi e sottoscritta per adesione anche dagli altri e conseguentemente anche l’aspra condanna agli stessi irrogata all’esito del giudizio di primo grado.
Nell’interesse di Plateroti Teresa ha proposto e discusso istanza d’appello l’avvocato Renato Vigna, Vardè era assistito dall’avvocato Patrizia Surace e Calfapietra invece dagli avvocati Domenico Ascrizzi e Pietro Serrao. Tutte le difese hanno diffusamente sostenuto l’erroneità del primo verdetto soprattutto sulla scorta del fatto che l’annotazione da cui sarebbe scaturita l’accusa di falso non potrebbe né avrebbe mai dovuto essere considerata un atto “pubblico” e comunque in quanto in capo a tutti gli agenti incriminati e condannati avrebbe dovuto ravvisarsi la carenza del necessario elemento soggettivo per la commissione dello specifico crimine contestatogli.
La Corte, dopo gli interventi difensivi e dopo aver ascoltato le ragioni della parte civile rappresentate dall’avvocato Orefice, quale sostituto dell’avvocato Giuseppe Lamalfa, ha sentenziato in netta riforma del giudizio di prime cure mandando gli imputati assolti da tutte le accuse.