“Fermatevi e modificate il decreto sicurezza” L'appello di Anpi Reggio al Governo
Lunedì 26 novembre il Decreto sicurezza è arrivato alla Camera dei Deputati per la sua approvazione definitiva, tramite il voto di fiducia preannunciato da parte del Governo. Venerdì scorso, in Commissione Affari costituzionali, il dibattito è stato privato dei tempi necessari per discutere gli emendamenti presentati, anche dai partiti della maggioranza, al fine di modificare il Decreto in alcuni degli aspetti che presentano quei profili di criticità, più volte sollevati sin dall’inizio e in contrasto con le garanzie dei diritti sanciti nelle Convenzioni internazionali. Per chiedere al Parlamento e al Governo di fermarsi e rivedere il Decreto sicurezza, aprendosi al confronto e al dibattito, Libera, Acli, ANPI, Arci, Avviso Pubblico, Legambiente, Cgil, Cisl, Uil hanno promosso lunedì 26, in Piazza Santi Apostoli, un presidio pubblico.
In dettaglio – scrivono le Associazioni e i Sindacati – destano grande preoccupazione le disposizioni relative alla protezione umanitaria e immigrazione – su cui anche il Consiglio superiore della magistratura ha rilevato aspetti di incostituzionalità – e che appaiono essere più come una risposta simbolica all’opinione pubblica che ai problemi concreti della protezione e della integrazione. Questo decreto che si appresta a diventare legge non promuove dignità, ma la toglie, ad esempio alle persone che hanno intrapreso un percorso di integrazione, lavorano in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato e in caso di diniego perdono il lavoro e il diritto di permanere sul territorio italiano, incentivando in tal modo sfruttamento e lavoro irregolare.
Preoccupano fortemente, altresì, le disposizioni relative all’ordine pubblico e sicurezza, che richiederebbero interventi di diversa natura mirati a favorire le politiche di inclusione sociale, a garantire il diritto all’abitare, alla salute e a tutti i servizi socio-sanitari per le persone in condizioni di povertà, fragilità ed emarginazione. Fino alla vendita ai privati dei beni confiscati ai mafiosi e ai corrotti, perché, tramite aste pubbliche, anziché riutilizzarli per finalità pubbliche e sociali come prevede la legge n. 109/96, si vuole dare un messaggio culturale in direzione opposta, favorendo inevitabilmente gli acquisti attraverso prestanomi dalla faccia pulita, come già evidenziato da molti magistrati. Non possiamo permettere che le ricchezze accumulate con denaro frutto del compimento di gravi reati ritornino nelle mani di chi li ha commessi. Tutto il “maltolto” deve diventare “bene comune” rappresentando il segno del riscatto di un’Italia civile e responsabile, onesta e coraggiosa.