Mentre il Senato si spacca sulla stepchild adoption in vista dell’esame del ddl sulle unioni civili previsto a giorni, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del tribunale dei Minorenni di Roma di un anno e mezzo fa, la prima in Italia che riconosceva l’adozione di una bimba da parte della compagna e convivente della madre. Una delle due conviventi ha avuto la bambina all’estero anni fa grazie alla procreazione assistita eterologa e ora è confermata l’adozione della minore anche in favore dell’altra donna: non si tratta, infatti, di affiancare un’altra figura genitoriale per la piccola, ma di riconoscere una situazione di fatto esistente nell’interesse prioritario della minore. È quanto emerge dalla sentenza pubblicata il 23 dicembre scorso dalla sezione minori della Corte d’appello di Roma, che conferma la decisione del giudice di prime cure (presidente Montaldi, estensore Pagliari; cfr. “Il partner omosessuale può adottare il figlio minore del convivente dandogli il proprio cognome”, pubblicato il 29 agosto 2014). Nell’agosto 2014, il Tribunale per i Minorenni di Roma aveva riconosciuto, per la prima volta in Italia, l’adozione della bimba, figlia biologica di una sola delle due conviventi. La coppia di donne, che vive a Roma dal 2003, ha avuto una bimba all’estero anni fa con procreazione assistita eterologa per realizzare un progetto di genitorialità condivisa. Il Tribunale dei Minorenni di Roma aveva accolto il ricorso presentato per ottenere l’adozione della figlia da parte della mamma non biologica, appunto la «stepchild adoption», già consentita in altri Paesi. Le due donne, sposate all’estero, si erano rivolte all’Associazione italiana avvocati famiglia e minori, per procedere con il ricorso per l’adozione. La questione, spiega il giudice del gravame, non è riconoscere alla bambina che ormai ha sei anni una bigenitorialità non ancora consentita dalla legge, perché la questione è oggetto di una «evidente strumentazione ideologica» ed è «riservata al legislatore» che «se ne sta occupando» con il ddl Cirinnà. Spetta invece al giudice del gravame valutare il legame che intercorre fra la piccola e la donna che non è la madre biologica della bambina, e ciò al di là del rapporto omosessuale che lega le due persone adulte, senza alcuna sovrapposizione. E all’esito dell’indagine di cui all’articolo 57 della legge 184/83 la decisione della Corte è che va riconosciuto un contenuto di diritti e doveri di fatto già sussistenti e attuati al rapporto fra la richiedente l’adozione e la minore perché la donna ha adeguate capacità affettive ed educative e il rapporto con la bambina risulta ormai consolidato. La sentenza sottolinea Giovanni D’Agata, predidente dello “Sportello dei Diritti”, conferma che in Italia è possibile adottare per il partner di una coppia.