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Filosofia e Politica

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Invano cercheremo ancora oggi nella scienza e nella filosofia astratte la ragione di un imperativo, universalmente accettato, della condotta morale e politica.

Se guardiamo ai fatti, il principio della conservazione morale, la consapevolezza e il sentimento dei precetti umani e divini, si tramandano dai genitori ai figli e nelle altre forme di trasmissione scolastica o politica degli imperativi morali.

Il precetto morale ha una sua propria inconfondibile autonomia.

Anche gli studi possono concorrere a formare un’atmosfera morale ma solo in quanto lo spirito con cui si imprendono sia già mosso e alimentato da un sentimento morale.

Gli imperativi famigliari e quelli che ci vengono dall’attività dello Stato e della Chiesa, valgono incomparabilmente di più.

Dove la continuità famigliare si spezza, dove viene meno l’abito del rifarsi indietro e del guardare avanti, dove il precetto morale non si trasmette nelle generazioni prepotente, esasperante, anche doloroso, sembra che i popoli perdano, sacrificandosi alla fiera delle vanità, il loro orientamento ideale.

Il contenuto e la potenza di queste tradizioni morali, il loro arricchirsi e rinnovarsi, è sempre il prodotto di movimenti e reazioni sentimentali estranei ad ogni materialismo economico. Si conservano per successione, si modificano per concomitanza, per diffusione.

Come le scoperte, come le invenzioni. Per analogia si potrebbe dire che nei movimenti rinnovatori o integratori delle tradizioni si verifica un fenomeno di ibridazione e di effervescenza della vita sentimentale dello spirito.

Non conosciamo la legge delle idealità motrici, del loro comparire e del loro scomparire. Non sappiamo come nascano questi imperativi che ci fanno camminare, combattere e soffrire.

Non sappiamo nulla di questi vasti fenomeni che mentre sembrano governare la storia dell’uomo dall’esterno, si manifestano e vivono nei limiti della nostra stessa umanità. Ce ne esaltiamo, ne rimaniamo vuoti sullo sfondo drammatico, spesso tragico, della inconsapevolezza, della ragione originaria.

I filosofi, come tali, e cioè come argomentatori delle categorie e classificatori ed interpreti, vengono dopo per dare il presente al passato, per definire e sistemare, per giustificare. Cosi è della grammatica rispetto al linguaggio.

Anche i movimenti filosofici sono, come i movimenti sentimentali e insieme con essi, misteriosi nella loro genesi. Sotto l’argomentatore c’è l’uomo, sotto la logica la passione, sotto lo sforzo di conseguire una spiegazione la prepotenza implacabile del mistero e dell’ignoto.

Dobbiamo però riconoscere che la lettura dei filosofi mentre affina il nostro spirito e la nostra attitudine a comprendere, non placa le inquietudini dell’animo, le esigenze della ragione, il timore della fine. Sono placati da una certezza che è fuori del compito e delle possibilità della filosofia. La potenza delle religioni rimane intatta dopo gli avvenuti smarrimenti ed invano si è cercata di sostituirla coi tentativi di una morale sociale.

Con la pregiudiziale laica, spinta all’estremo limite della indifferenza religiosa, gli stessi positivisti e materialisti avevano creduto di poter creare uno Stato astratto, agnostico rispetto a un sentimento condiviso da tutto un popolo.

Strana aberrazione in coloro che ricercano la ragione dello Stato e la legittimità del suo potere sui cittadini, nel fatto della rappresentanza. Anche questo è un caso tipico delle lacune e dell’astrattismo del liberalismo politico.