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TAURIANOVA (RC), GIOVEDì 26 DICEMBRE 2024

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Frodi fiscali con false fatture, misure cautelari e sequestri anche in Calabria, 29 gli indagati. DETTAGLI E NOMI dei calabresi coinvolti Sono state sequestrate 28 società, oltre a beni e disponibilità finanziarie per oltre 8 milioni di euro

Frodi fiscali con false fatture, misure cautelari e sequestri anche in Calabria, 29 gli indagati. DETTAGLI E NOMI dei calabresi coinvolti Sono state sequestrate 28 società, oltre a beni e disponibilità finanziarie per oltre 8 milioni di euro

| Il 12, Nov 2024

I Finanzieri del Comando Provinciale di Catania, a conclusione di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, hanno dato esecuzione, nelle province di Catania, Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese, con il supporto degli omologhi Comandi Provinciali nonché del I Gruppo etneo, a un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale ha disposto l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 15 soggetti (2 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 9 destinatari di interdittiva), a vario titolo indagati, unitamente ad altre 14 persone, per associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante l’utilizzo di FOI nonché indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti.
Sulla scorta del medesimo provvedimento cautelare, i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania hanno eseguito anche il sequestro preventivo di 28 società commerciali coinvolte nella frode fiscale nonché di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili ai principali indagati per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.
Le indagini, svolte anche mediante attività di intercettazione telefonica e ambientale, accertamenti bancari, acquisizioni documentali, escussione di persone informate sui fatti e servizi di osservazione, hanno portato alla luce, nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti, un diffuso sistema di frodi fiscali, realizzato attraverso la creazione di consorzi di imprese con il solo scopo di operare la somministrazione illecita di manodopera a favore delle aziende clienti, celata sotto forma di falsi appalti di servizi.
Le investigazioni hanno preso avvio a seguito dello svolgimento di una serie di controlli fiscali, che avrebbero fatto emergere i segnali di un fenomeno illecito organizzato e particolarmente diffuso, specie tra le imprese operanti nel settore turistico-alberghiero di Sicilia, Calabria e Lazio, dannoso sia per l’Erario, a causa dell’ingente evasione di imposte (dirette e IVA) e contributi previdenziali, sia per le aziende che operano lecitamente sul mercato, meno concorrenziali rispetto a quelle che si sarebbero avvantaggiate della frode, in grado di praticare tariffe più convenienti in virtù dei conseguenti più elevati margini di guadagno.
Il meccanismo di frode prevedeva uno schema operativo ricorrente.
In primo luogo, la costituzione di entità giuridiche in forma di consorzi (con sede legale a Roma e Firenze) e società consorziate (oltre 26 susseguitesi nel tempo distribuite tra le province di Milano, Firenze, Roma, Catania e Messina), tutte prive di una propria organizzazione, di mezzi e senza l’assunzione di alcun rischio d’impresa, aventi di norma un ciclo di vita molto breve durante il quale avrebbero accumulato, senza onorarli, ingenti debiti tributari.
Tali soggetti giuridici, legalmente rappresentati da prestanome, spesso nullatenenti e privi di competenze professionali adeguate al ruolo apparentemente rivestito, avrebbero operato come meri serbatoi di manodopera, nel senso che sarebbero stati utilizzati esclusivamente per assumere un numero elevatissimo di lavoratori, per la maggior parte provenienti dalle aziende divenute clienti, per poi metterli a disposizione proprio di queste ultime sotto forma di appalto di servizi fittizio. In realtà, come emerso dalle investigazioni, i lavoratori non hanno mutato né sede lavorativa, né qualifica professionale, rimanendo, di fatto, alle dipendenze dell’originario datore di lavoro per continuare a svolgere le proprie ordinarie mansioni.
Lo scopo sarebbe stato dunque quello di esternalizzare, solo in apparenza, la forza lavoro, in modo da conseguire diversi vantaggi consistenti:
• per le società clienti, nella maggiore flessibilità a fronte di una riduzione di costi sul lavoro, potendo modulare l’entità della manodopera in base alle esigenze di periodo e, al contempo, risparmiare sugli oneri retributivi, assicurativi, previdenziali e normativi connessi alle diverse tutele riconosciute ai lavoratori; ciò per effetto del licenziamento dei dipendenti delle predette aziende e della parallela assunzione in capo alle consorziate. Per di più, la stipula (solo formale) di un contratto di appalto avrebbe consentito alle clienti di detrarre l’iva applicata in fattura (non genuina) relativa ai “presunti servizi” erogati;
• per gli ideatori del “sistema consorzio”, negli ingenti profitti illeciti derivanti dal mancato pagamento allo Stato dei debiti erariali (per imposte e contributi) maturati dal consorzio e dalle consorziate, neutralizzati attraverso indebite compensazioni con crediti IVA inesistenti derivanti dal simulato acquisto di beni strumentali da società “cartiere”, in realtà appositamente costituite dal sodalizio criminale per emettere fatture false.
Quest’ultima operazione è risultata essenziale nella filiera del sistema fraudolento in quanto, beneficiando di compensazioni con crediti inesistenti, le consorziate hanno potuto certificare al cliente finale di avere “correttamente” assolto agli obblighi di versamento, fornendo la certificazione di regolarità contributiva (da INPS o INAIL competente per territorio) ovvero il modello DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). L’escamotage in parola ha infatti consentito di aggirare le disposizioni introdotte dal legislatore per contrastare il fenomeno delle somministrazione illecita di manodopera come, a esempio, le disposizioni dell’art. 4 del D.L.124/2019 le quali obbligano le imprese che ricorrono ad appalti, subappalti, affidamenti a soggetti consorziati caratterizzati da prevalente utilizzo di forza-lavoro, come nel caso di specie, a richiedere certificazione di regolarità di pagamento delle imposte e dei contributi.
E’ stato stimato che, negli ultimi 5 anni, il giro di fatture “false” legato al sistema di frode nel suo complesso sarebbe stato pari a oltre 56 milioni di euro di imponibile e oltre 13 milioni di IVA, garantendo profitti illeciti all’associazione a delinquere per oltre 8 milioni di euro, la metà dei quali distribuita agli organizzatori del sistema sotto forma di compensi professionali, stipendi, rimborsi spese.
Le attività di indagine hanno permesso di comprendere che il centro decisionale di tutto il sistema fraudolento sarebbe ubicato a Catania, presso lo studio di un commercialista e del suo collaboratore, promotori e organizzatori del sodalizio criminale sebbene gli stessi non abbiano ricoperto alcun ruolo formale nei consorzi e nelle consorziate e nonostante il fatto che le tali società avessero sede legale in diverse province italiane (Milano, Firenze, Roma, Messina e Catania), talvolta presso civici inesistenti o locali vuoti e/o in disuso.
Per la realizzazione del disegno criminoso, i predetti ideatori del “sistema consorzio” sarebbero stati coadiuvati da una serie di partecipi all’associazione a delinquere e da altri collaboratori esterni ad essa. Tra i primi vi è un soggetto originario di Cosenza (cl. 1969), responsabile e referente della rete commerciale in Calabria e nel Lazio, uno di Catanzaro (cl. 1969), referente di alcune strutture ricettizie operanti in Calabria, nelle plurime vesti di imprenditore, professionista, consulente del lavoro e depositario delle scritture contabili di società clienti dei consorzi nonché procacciatore di clienti per questi ultimi, e due addette, originarie di Nicosia e Roma (cl. 1982 e 1968), per la gestione dei clienti/appaltanti, degli adempimenti giuslavoristici riguardanti i lavoratori in carico alle consorziate affidatarie e dell’interlocuzione e gestione delle teste di legno posti a capo dei consorzi e delle consorziate in qualità di legali rappresentanti.
Gli altri collaboratori, esterni alla compagine criminale, sarebbero costituiti da una serie di fedeli personaggi, in tutto 9, pronti ad assumere il ruolo di amministratore di diritto delle diverse società via via costituite, facendo da paravento all’attività svolta dai suddetti indagati e informandoli anche nei casi di avvio di attività ispettive da parte di reparti territoriali della Guardia di finanza.
Sulla scorta delle evidenze acquisite dai finanzieri del Nucleo PEF di Catania, il GIP presso il locale Tribunale, su proposta della Procura etnea, ha dunque ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in ordine ai reati contestati disponendo:
• la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due promotori dell’associazione a delinquere, già destinatari di analoga misura nel 2020 a seguito delle indagini per frode fiscale condotte sempre dalle Fiamme Gialle etnee, su delega della locale Procura, nell’ambito dell’operazione convenzionalmente denominata “FAKE CREDITS”; gli arresti domiciliari per gli altri 4 partecipi all’associazione a delinquere e il divieto per un anno di esercitare uffici direttivi di persone giuridiche per i restanti 9 soggetti, ritenuti più stretti collaboratori dei suddetti promotori;
• il sequestro di 28 società, utilizzate per realizzare il sistema di frode, nonché di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili agli indagati per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.
Nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti del G.I.P. si è parallelamente proceduto alla perquisizione locale e informatica disposta dal P.M. inquirente nei confronti dei rappresentanti legali delle aziende “clienti” che appaiono aver usufruito maggiormente della somministrazione illecita di manodopera, al fine di raccogliere ulteriori elementi indiziari a riprova dell’ipotesi di reato a loro ascritta di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e della sussistenza di responsabilità amministrativa, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, in capo alle società da loro amministrate per i vantaggi che avrebbero ottenuto dalla frode.
L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura e dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a tutelare le imprese sane dalle più insidiose forme di frode fiscale, contrastando fenomeni illegali in grado di distorcere le regole della libera concorrenza, e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

I NOMI DEGLI INDAGATI DELLA CALABRIA
Nell’inchiesta catanese sono coinvolti anche due calabresi: si tratta di Sergio Riitano (cl. ’69) di Cosenza e Giuseppe Paparatto (cl. ’69) di Ricadi, entrambi ai domiciliari. Proprio Riitano, ad aprile di quest’anno era stato nominato commissario straordinario della neonata Agenzia per le aree industriali e per l’attrazione degli investimenti (Arsai). Riitano, inoltre, era già commissario liquidatore del Corap, il Consorzio industriale che di fatto è stato soppiantato dalla nuova Agenzia, istituita dalla legge regionale 16 dello scorso 23 marzo, legge che assegnava dieci giorni al governatore per nominare la nuova governance dell’Arsai (sostituito in queste ore da Sergio De Felice).
Giuseppe Paparatto, invece, è sotto processo per l’inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura di Vibo Valentia sul fallimento della “501 Hotel S.p.A”, del “501 Hotel Gestione S.r.l.”, della “Phoenices General Trade S.r.l.” e della “Onda Verde Mare S.r.l”, con l’accusa di bancarotta fraudolenta, società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese come l’Hotel 501 di Vibo Valentia, il Lido degli Aranci di Vibo Valentia e l’Acquapark di Zambrone.