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Gestione sanità calabrese, parla Orlandino Greco

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9 anni di commissariamento, 7 anni di piani di rientro, circa 800 Decreti redatti, l’ultimo annullava il precedente, un famigerato Decreto 50, proposte di piani di rientro a debito, sanità privata a discapito di quella pubblica, sentenze di Stato non attuate, PD contro NDC, tutto condito da atteggiamenti arroganti e provocatori senza alcuna possibilità di dialogo e confronto ma di disprezzo contro la massima assise regionale, Giunta e Consiglio, dei due commissari ad acta, Massimo Scura e Andrea Urbani. Questo il quadro più o meno generale della Sanità calabrese, che transita dal dramma alla satira senza mai passare dalla buona assistenza!

Un problema senza dubbio atavico, una gestione per anni mal condotta da una Regione incapace di programmarne l’intervento e governarne la spesa relativa; atta e riconosciuta, al contrario, la propensione ad amministrarla per moltiplicare clientele e clientelismo di voti, trasformandosi in uno strumento utile e collaudato da tanti per realizzare fortune e costruire imperi.

Il sistema sanitario regionale è divenuto tanto inutile quanto pericoloso, esistente sulla carta ma non affatto garante dell’offerta di salute da assicurare, ovunque e a chiunque, come sancito dalla Costituzione Italiana (Art.32), ad essere messo in discussione quotidianamente, negando il minimo assistenziale, è proprio la certezza delle prestazioni essenziali. La tutela della salute è da sempre un diritto trascurato, non esigibile e del tutto sconosciuto nelle vaste aree di periferia, una geografia territoriale completamente dimenticata e stravolta da chi non conosce questa regione ma che è stato chiamato a gestirla. Ad entrare ancora più nel merito, la gestione illogica e irrazionale dei due commissari, non è neanche minimante vicino e coerente con gli obiettivi richiesti e che hanno portato al commissariamento che parte all’interno di un quadro di rientro della Sanità della calabrese.

Una sanità malata che certo non ha trovato alcun giovamento dal commissariamento e che anzi non fa altro che peggiorare la situazione limitandosi ad affrontare il problema matematicamente con calcolatrice in mano, pervenendo, ad esempio, alla bonifica dei conti di esercizio esclusivamente attraverso risparmi derivanti dal personale che andava naturalmente in pensione; per non parlare di ulteriori spese, anche personali e di “favore”, aggiunte a quel “prospettato piano di rientro”.

Non in ultimo, i presidi sanitari calabresi, molti dei quali a rischio chiusura, hanno bisogno della mano d’opera professionale per assicurare i LEA. Un’irresponsabile tolleranza del governo centrale a consentire l’arretramento dei Lea sino a scomparire, con i calabresi costretti a “guadagnare” un’assistenza sanitaria dignitosa altrove, con un conseguente aggravio di spesa di 300 milioni all’anno di mobilità passiva. La mancata assunzione del processo di riqualificazione e di riordino dei servizi sanitari, che era posta in primo piano nel piano di rientro, ha portato al depauperamento dei servizi, alla chiusura di interi reparti, anche all’avanguardia, all’abbandono totale di attività specialistiche e professionali, alla rimodulazione quanto mai azzardata di altri.

Il sistema sanitario calabrese è pertanto divenuto un’azienda da gestire con metodologie gestionali tipiche dei ranch texani, favorite dalla presenza di sceriffi resi intoccabili dal potere che li nomina. I vari preposti hanno, infatti, lavorato assecondando pedissequamente le direttive dei mentori politici che ne avevano patrocinata la nomina governativa al solo fine di consentire speculazioni e affari privati nella sanità calabrese.
Un deficit di governo della salute che ha portato a sottrarre ai diretti rappresentanti della volontà popolare la capacità di incidere favorevolmente, anche nel senso di imporre la presenza delle strutture sanitarie dove indispensabili.

La sintesi (o il disegno) è chiara e sotto gli occhi di tutti: da una parte, una Regione estromessa dalla programmazione, che molti mea culpa deve certamente battersi dal momento che non è riuscita a pretenderla approvando in Consiglio i provvedimenti legislativi necessari, in barba anche alle sentenze di Stato, e lasciando al Governo la responsabilità e l’autorità quasi dittatoriale di condividerli o no; l’allungamento delle liste di attesa, contrazione dei posti letto e quindi progressivo aumento dell’emigrazione sanitaria passiva, tallone di Achille della regione. Dall’altra, la tirannide gestionale esercitata dai Commissari Scura e Urbani, nel decidere spesso più nell’interesse privato che per quello pubblico, che rispondono più a logiche politiche calate dall’alto e non certo garantire il benessere e il diritto alla salute di noi calabresi.

La gestione della sanità calabrese (soltanto in due regione meridionali, Calabria e Campania, rispetto ad altre commissariate, il commissario non è il Presidente della Regione, sarà un caso?) non può più essere lasciata a burocrati che agiscono unicamente con obiettivi ragionieristici, non conoscendo per nulla i territori e del tutto, di continuo affermato, incompatibili con la regione che sono stati demandati a gestire. Come più volte sostenuto, gridato e approvato in una seduta del Consiglio Regionale, è giunto il momento che la Sanità ritorni nelle mani del suo legittimo proprietario: la Regione e che il quadro della rete ospedaliera venga ridisegnato affidando alla politica questo compito. Giunta, consiglieri regionali e sindaci che di concerto e con il supporto anche di chi vive tutti i giorni la drammaticità della situazione, operatori sanitari, associazioni e semplici cittadini, trovino una soluzione adeguata ed equa per ogni territorio e ogni struttura sanitaria penalizzati e fortemente compromessi dai Decreti e da questo scellerato commissariamento.

ORLANDINO GRECO