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TAURIANOVA (RC), VENERDì 18 OTTOBRE 2024

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“Giannuzza a marinota”

“Giannuzza a marinota”

| Il 03, Mar 2011

Una narrativa sospesa in una realtà senza tempo a cavallo fra un ‘800 postunitario sonnolento e decadente e un ‘900 umbertino e libertino, l’ultima fatica letteraria della scrittrice calabrese Caterina Sorbara

di LUIGI MAMONE

 

“Giannuzza  a marinota”

Una narrativa sospesa in una realtà senza tempo a cavallo fra un ‘800 postunitario sonnolento e decadente e un ‘900 umbertino e libertino, l’ultima fatica letteraria della scrittrice calabrese Caterina Sorbara

 

“Giannuzza  a Marinota”,  l’ultima fatica letteraria della scrittrice  calabrese Caterina Sorbara,  è una piccola perla preziosa  –  letterariamente frutto di una sensibilità  assai spiccata e di una ricerca psicologica che ha portato l’autrice,  a ripercorrere, la vita  avventurosa di una pescivendola.con uno stile  per certi versi  intriso di  echi veristi,  che paiono rimandare alla letteratura di Verga e di Capuana e per altri alle più enigmatiche suggestioni della più pregnante narrativa di Garcìa Marquez. Sono  però pagine che al di la della vicenda umana  dicono  di un meridione che più che entità geografica diviene entità sociale pulsante di passioni e di mutamenti sullo sfondo di una realtà senza tempo  , in un relativismo temporale con il quale l’autrice ama giocare  e che le consentono di articolare il proprio narrato con apparenti commistioni spazio temporali a cavallo fra un ottocento  postunitario , sonnolento e decadente e  un novecento umbertino  e libertino.  Sullo sfondo il fumo dei piroscafi  e il dramma dell’emigrazione italiana  e delle vedove bianche , lasciate  – come Giannuzza – senza  un arrivederci da uomini  che nel nuovo mondo talvolta videro   solo il miraggio di un Puerto Escondido dentro il quale lasciarsi alle spalle  tutto:  Ansie, ubbie, famiglie, mogli e figli. Affetti  abbandonati che  poi  subiscono il tarlo della solitudine , l’onta dei pregiudizi, il peso della prevenzione e la necessità di sopravvivere comunque,  fra i tanti lezzi di una società codina, anodina, arida ma ciononostante vorticosamente viva e in costante divenire. In questo scenario, Caterina Sorbara, con rara maestria, disegna la vicenda di questa  donna  arcigna, altera misteriosa e solitaria , comunque affascinante : Giannuzza. Venditrice di pesce porta a porta con il  suo ampio canestro di vimini  intrecciati e la voce ora squillante , ora stridula nell’idioma dialettale . E non bisogna andare lontano con la memoria – noi  gente della Piana del Tauro –   che  fino a pochi anni fa le pescivendole come Giannuzza le  vedevamo  e le sentivamo quando gridavano a squarciagola : “ Alìci , alìci belle, nnannàta ( neonata Ndr)  sardi ( sarde)  e cristardèlli. “I pisci , i pisci  “du mari marùsu ”  ( del mare  maroso – ovvero – dalle lunghe onde)  U Piscispata ( il pescespada) Erano le voci di Mela, di Rosa  di Caterina   di Libèràta e di tante altre donne, colleghe di Giannuzza che però,  diversamente da lei non vissero in gioventù – come l’autrice  racconta – la fiaba di una vita diversa- alla corte di una gentildonna e il sogno di un amore: il primo , puro casto, passionale fatto di sogni costruiti all’imbrunire fra le ginestre e il profumo dei fiori del giardino del grande  palazzo nobiliare  nel quale aveva avuto il privilegio di essere ammessa e che era così diverso dalla modesta capanna alla marina,  a ridosso della spiaggia, odorante di salmastro e di pesce,  esposta al vento e ai flutti.  E poco importa se il  grande amore, fosse  un forestiero:lo chaffeur – oggi diremmo l’autista – del  signorotto. Ecco  che l’atmosfera dichiaratamente verghiana di case che ricordano Acitrezza e di vinti che ricordano i Malavoglia muta  di epoca e di prospettiva e  assume luminescenze e vedute amplissime che sembrano avvolgere e affabulare  quasi come  nelle atmosfere di un quadro del Cataletto o di un affresco ottocentesco fatto  di vedute luminose  il lettore , che si cala nella realtà   di una Napoli umbertina, di piroscafi che salpano e che incarnano il sogno  di chi parte e l’incubo di chi resta  e poi, dopo l’abbandono da parte del marito  partito senza un addio ,   nuovamente  il  sogno e una prospettiva ottocentesca di  suore e di conventi , di ancelle e di orfanelle ancora a lottare a credere a sperare a sognare: Ancora una volta la tenacia è premiata Giannuzza ammessa  a corte vive la magia di un amore, fiabesco e impossibile, con un principe – che pur l’ama  appassionatamente  ma che alla fine è incapace di ribellarsi alla ragion di stato. Ancora dolore, ancora dispiacere per Giannuzza –  incinta di una creatura –  che trova conforto nel convento dove impara  – strano per un luogo di preghiera e di meditazione – a leggere il futuro dalle carte a ciò istruita da altra compagna di sventura nel silenzio delle notti di luna  a scrutare raggi di luce notturna e forse il luccichio della spuma dei piroscafi  su  un mare che anche se non si  vede  o non viene evocato nel racconto  è come se ci fosse e fosse sempre presente e incombente  a ricordare che la vita forse venne dal mare e  che  il mare  – specie per i pescatori- è vita e morte ;  è essenza ed anima ; è tutto e niente ma è: esiste , incombe e attrae. E  così alla fine  Giannuzza ritorna  alla marina . Alla capanna della sua fanciullezza, al dolore dei ricordi troppo dolci e dolorosi e brucianti della sua gioventù e riprende – o forse inizia – sopravvissuta ai sogni di una gioventù appassita troppo in fretta – a vendere il pesce  nei paesi. Pescivendola “marinota”.  Con la sua enorme dignità con il peso dell’alone di mistero  legato a quel mazzo di carte con le quali ha imparato a leggere il futuro  e che la rendono personaggio a tratti ieratico , a tratti inquietante, a tratti affascinante. Simile al Melquiadès che tanto peso ebbe nella disgregante vicenda dei Buendìa di Marques . Nella storia di Giannuzza, si legge l’anima stessa del sud. Di un sud troppe volte tradito e troppe volte costretto a ritornare alla marina, senza sogni e senza speranze.  Giannuzza stessa è la parafrasi di un Sud vinto ma non sconfitto. Un Sud che ha  la sua dignità. E che non si vende. In questo, Caterina Sorbara – è chiarissima: il suo è un messaggio  sociale di prepotente attualità è di grande dignità . Bisognerebbe  pertanto regalare il suo libro- ai politici calabresi, molti dei quali oggi hanno smarrito proprio il concetto della dignità: quella dignità fatta di povertà e di orgoglio che rende Giannuzza personaggio vivo, reale  vicino  e vero. Più di quanto queste modeste righe riescano a dire.

 

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