Giovani, disoccupazione e visione scolastica
redazione | Il 04, Nov 2011
“Il sistema formativo è nello stallo più totale”
di CORRADO TOCCI
Giovani, disoccupazione e visione scolastica
“Il sistema formativo è nello stallo più totale”
La percentuale dei giovani che non trovano lavoro è in continuo aumento e ogni qualvolta che l’Istat rende pubblici i dati inizia la solita “liturgia” delle dichiarazioni. Terminata la fase calda tutto torna come prima e il Paese del “magari” torna a sperare che “la provvidenza” con un tocco di bacchetta magica possa risolvere il problema.
Dai discorsi che sentiamo sulla disoccupazione giovanile, come Popolari ci rendiamo conto che c’è un mix di confusione e scarsa conoscenza del problema, e per questo vogliamo portare il nostro contributo cercando di fare il punto sulla stato dell’arte della formazione nel nostro Paese e sulle motivazioni che hanno “ingessato” il settore.
L’apprendistato in Italia era regolamentato dalla legge n. 25 del 1956, la quale prevedeva che il mestiere si imparasse sul luogo di lavoro e garantiva tutta una serie di salvaguardie per il ragazzo che si inseriva nella bottega o nella fabbrica a tutela della salute e della sicurezza. L’impresa che assumeva l’apprendista era obbligata a pagare un premio contro gli infortuni simbolico.
Con questo sistema si formarono milioni di giovani nelle botteghe artigiane, i quali successivamente andavano a lavorare in fabbrica, garantendo un flusso continuo di manodopera qualificata che ha permesso al nostro sistema industriale di decollare più velocemente.
La produttività sociale del sistema “apprendistato” era molto alta, si formavano centinaia di migliaia di giovani l’anno, una parte rimaneva a lavorare nella bottega, una parte entrava in fabbrica, una parte si apriva un’attività in proprio e alcuni abbandonavano il mestiere per cercare altri tipi di lavoro.
Con il decollo delle Regioni a statuto ordinario tra le tante materie di competenza regionale previste dal Titolo V della Costituzione c’era anche la formazione professionale.
Fino ad allora al Ministero del Lavoro esisteva una Direzione che si interessava di formazione per gli apprendisti che finanziava gli Enti istituzionali di diritto privato dei tre settori, INIASA per l’artigianato, INAPLI per l’industria e ENALC per il commercio, a questi Enti se ne affiancavano alcuni di ispirazione sindacale e religiosa.
Con l’istituzione delle Regioni si passa dal concetto di apprendistato, centrato sul mestiere, al concetto di formazione, centrato sulla persona, la quale, oltre ad imparare un mestiere impara anche ad essere cittadino.
E’ il periodo in cui la riforma della scuola media inferiore ha unificato il sistema eliminando l’avviamento commerciale. Con il passaggio della delega dallo Stato alle Regioni viene approvata la legge quadro della formazione professionale che ha fatto da cornice alle varie leggi regionali.
Contemporaneamente la figura dell’apprendista assume una valenza diversa. Fino ad allora l’apprendista non era remunerato contrattualmente e la durata dell’apprendistato variava da mestiere a mestiere, dipendeva dalla complessità delle conoscenze e competenze da acquisire. Con la legge quadro, a figura dell’apprendista passa dalla visione formativa collegata alla bottega artigiana a quella della catena di montaggio della visione fordista del processo produttivo industriale.
Tutti questi cambiamenti hanno portato a ristrutturare il settore da parte delle Regioni. Il settore della formazione professionale si è sempre più burocratizzato, avvicinandosi sempre più, come parente povero, al sistema scolastico.
I difetti del sistema scolastico e del suo scollamento dal sistema sociale e produttivo si sono acuiti nella formazione professionale che aveva proprio il compito di collegare il mondo giovanile al mondo produttivo. Con il passare del tempo e per effetto della burocratizzazione del sistema, favorita anche da normative europee, il settore ha perso di vista l’obiettivo sociale della sua funzione istituzionale, si è chiuso in se stesso con politiche corporative a difesa degli operatori che ci lavorano perdendo di vista i fini occupazionali. Le opportunità occupazionali per la maggior parte dei corsi finanziati si ferma alle buone intenzioni scritte nei progetti.
Il comparto artigiano, che aveva permesso a milioni di giovani di imparare un mestiere viene messo all’angolo da una serie di scelte politiche. La prima: l’assunzione di un apprendista prevede il salario minimo all’ingresso, di cuiai contratti nazionali di lavoro, che aumenta nei mesi successivi; questo costo non è sostenibile dall’artigiano sia sul piano finanziario che culturale.
La seconda: la complessità delle procedure burocratiche per l’assunzione di un apprendista comportava anche dei rischi collegati alle ispezioni che gli organi preposti effettuavano sui luoghi di lavoro; questo aspetto meriterebbe un capitolo a parte dato che la legislazione, anche se giusta sul piano del principio, non teneva minimamente conto della situazione reale di molte botteghe artigiane; ma ancora più grave è stato il comportamento del sistema burocratico-ispettivo che invece di accompagnare la crescita di queste imprese cercando di farle adeguare con il tempo alla normativa, sanzionava le carenze rilevate. La terza è rappresentata dal valore dell’attestato rilasciato, per cui un giovane che frequentava un corso di formazione per pochi mesi, sul piano formale riceveva un attestato equivalente a quel giovane che da diciotto a trentasei mesi lavorava in una azienda, con l’ulteriore differenza che l’attestato rilasciato dalla formazione professionale regionale da diritto a mezzo punto per in concorsi pubblici.
Con il passare degli anni il sistema formativo si è sempre più burocratizzato e “chiuso a riccio” a difesa della corporazione degli Enti di formazione professionale. Il colpo di grazia al settore è stato dato dal sistema di accreditamento regionale che ha garantito all’esistente di perpetuarsi annullando quasi del tutto la concorrenza. Contemporaneamente l’innalzamento dell’obbligo formativo ha permesso al sistema scolastico di ritagliarsi un ruolo nel settore formativo.
Mentre il sistema burocratico e corporativo del settore acquisiva posizioni di potere e di vantaggio competitivo, il sistema produttivo doveva ricorrere alla assunzione di milioni di lavoratori provenienti da altri Paesi.
Alcune Regioni si sono poste il problema della mancanza di collegamento con il sistema produttivo e hanno approvato leggi sul riconoscimento della “bottega artigiana” come struttura formativa, come la Regione Abruzzo, purtroppo queste leggi sono rimaste sulla carta, dato che non sono stati attivati i regolamenti e i relativi finanziamenti.
Oggi il sistema è nello stallo più totale. Ci sono Regioni che hanno dovuto prevedere la cassa integrazione per i dipendenti degli Enti di formazione professionale, altre Regioni che hanno irrigidito il sistema tanto che è diventato difficile fare della formazione riconosciuta finanziata dai privati, obbligando a fare formazione con titoli non riconosciuti che concorrono al diffondersi della cultura della liberalizzazione di titoli. Le imprese non hanno nessuna intenzione di accollarsi il costo di un apprendista in un momento in cui incontrano difficoltà a mantenere i posti di lavoro ai propri dipendenti. Non è con i vaucer formativi, i tirocini o gli stage che si rivitalizza il settore, tutte queste nuove figure servono solo a garantire il posto e la funzione alla burocrazia. Perché non fare l’esperimento di derogare dai contratti nazionali di lavoro, per quanto riguarda gli apprendisti, per un periodo sperimentale, prevedendo il costo finanziario per i primi sei mesi a carico del Fondo Sociale Europeo? Oggi il dibattito dovrebbe vertere non su come licenziare ma su come dar vita a proposte che permettano di assumere, sgretolando l’attuale sistema di ingresso nel mondo del lavoro talmente sclerotizzato che permette solo chiacchiere e non fatti.
CORRADO TOCCI
SERETARIO POLITICO POPOLARI GLOCALIZZATI
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