Giuseppina Pesce: “Il giudice Carnevale era un referente di mio suocero”
redazione | Il 23, Mag 2012
Secondo giorno di interrogatorio per la collaboratrice di giustizia che ha portato alla sbarra la sua famiglia
Giuseppina Pesce: “Il giudice Carnevale era un referente di mio suocero”
Secondo giorno di interrogatorio per la collaboratrice di giustizia che ha portato alla sbarra la sua famiglia
La cosca Pesce della ‘ndrangheta aveva rapporti con il giudice della Corte di cassazione Corrado Carnevale, al quale si rivolgeva per ottenere scarcerazioni dei propri affiliati. Lo ha rivelato la pentita Giuseppina Pesce nella deposizione fatta nel corso dell’udienza del processo “All Inside”, che proprio grazie alle dichiarazioni della donna ha portato alla sbarra la cosca che fa riferimento alla sua famiglia. L’udienza, la seconda che vede protagonista Giuseppina, si è svolta nell’aula del carcere di Rebibbia. «I contatti con Carnevale – ha detto la pentita – avvenivano tramite mio suocero, Gaetano Palaia, che era suo amico».
Palaia secondo quanto ha riferito Giuseppina Pesce rispondendo alle domande del Pm, Alessandra Cerreti, si sarebbe mantenuto in rapporti con Carnevale fino al 2005. «Dopo che Carnevale lasciò il suo incarico – ha detto la pentita – mio suocero rifiutò qualsiasi altra richiesta di intervento sostenendo che non poteva fare più niente perchè non aveva i contatti di prima con la Cassazione e questo rendeva impossibile qualsiasi tentativo ulteriore di intercessione».
La pentita ha parlato anche dei contatti che la cosca Pesce avrebbe avuto con un funzionario del Dap per ottenere il trasferimento del padre, Salvatore, da un carcere del nord in Calabria. «Mi risulta – ha detto la pentita – che ci sono stati due diversi interessamenti col funzionario del Dap attraverso un avvocato di Milano ed un altro avvocato di Palmi, ma poi il trasferimento non è avvenuto».
Il giodice Carnevale è stato al centro di uno degli scandali più controversi della magistratura italiana: nel 1993 per un’indagine della procura di Palermo venne sospeso e in seguito si aprì un processo a suo carico che portò nel 2001 a una condanna da parte della Corte d’appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, che gli inflisse 6 anni di carcere dopo che in primo grado era stata pronunciata una sentenza di assoluzione. Erano gli anni in cui Carnevale veniva definito “l’ammazzasentenze”: era stato il pentito Gaspare Mutolo a dichiarare che Carnevale era “avvicinabile”. Dopo di lui altri 11 pentiti hanno fatto il nome del magistrato.
Nel 2002, però, la Cassazione lo ha assolto con formula piena perché “il fatto non sussiste”, constatando prove insufficienti a sostenere tali accuse e respingendo anche le deposizioni dei colleghi di Carnevale, magistrati di cassazione, che denunciavano le sue pressioni per influire sui processi: secondo i giudici le loro dichiarazioni erano inutilizzabili in giudizio. Ora il nome di Carnevale torna in ballo. Ma stavolta su un fronte calabrese. Pronta la replica di Corrado Carnevale alle dichiarazioni di Giuseppina Pesce. «Non ho mai conosciuto nessun clan Pesce – ha detto Carnevale – nè alcuna persona che vi appartenga, nè tantomeno il signor Gaetano Palaia, e non mi occupo del settore penale della giustizia dal 1992, quando chiesi di essere trasferito al ramo civile. Nel 1999, poi, sono andato in pensione e sono stato riammesso in servizio solo nel giugno del 2007 con la legge speciale che porta il mio nome. Sono assolutamente tranquillo. Questo accuse non mi spaventano. Sono solo stupito che ancora si parli di me e che ci siano degli interrogatori nei quali qualcuno si interessa alla mia persona sollecitando fantasie».
COSCA CONTROLLA APPALTI A3. VITTIME LUPARE BIANCHE TUMULATE SENZA NOME IN CIMITERO ROSARNO
E’ stata dedicata alla descrizione degli affari della cosca Pesce la deposizione che ha fatto oggi la pentita Giuseppina Pesce nel corso dell’udienza del processo All Inside svoltasi a Roma nell’aula bunker del carcere di Rebibbia ai componenti del gruppo criminale di Rosarno. La cosca Pesce, secondo quanto ha affermato la pentita rispondendo alle domande del pm, Alessandra Cerreti, trae enormi guadagni dal controllo degli appalti per l’ammodernamento dell’A3 nel tratto che attraversa la Piana di Gioia Tauro per quanto riguarda, in particolare, i lavori di movimento terra. In più, ha riferito ancora la pentita, ci sono le estorsioni “Non c’é un negozio o un’impresa di Rosarno – ha detto Giuseppina Pesce – che non paga il pizzo. A meno che non sia di proprietà di nostri parenti”. La pentita ha riferito delle disposizioni che vengono dettate dai capi della cosca detenuti attraverso colloqui con parenti che si spacciano come loro familiari grazie a falsi certificati di parentela che sono stati rilasciati dal 2006 e fino al 2011 dal Comune di Rosarno. Giuseppina Pesce ha parlato anche di come la cosca riuscisse a nascondere i cadaveri delle persone uccise e fatte sparire nel cimitero di Rosarno minacciando i dipendenti. “I corpi di mio nonno Angelo e di mia zia Annunziata – ha detto la pentita -, uccisi entrambi per punizione perché avevano relazioni extraconiugali, in realtà non sono stati portati lontano da Rosarno. Si sono sempre trovati nel cimitero del paese in loculi senza nome dove venivano tumulati di notte”. Un ultimo riferimento la pentita l’ha fatto al giro di carte di credito clonate gestito dalla cosca. “Carte – ha detto – intestate a clienti statunitensi che le hanno utilizzate in alberghi e ristoranti della Lombardia. Ne ho avuto una anch’io e l’ho usata un paio di volte prima che il titolare la revocasse dopo avere notato spese che non aveva effettuato”.
BOSS PESCE A PM, VUOLE MORTE MIA MOGLIE E FIGLIA?
“Lei ha commesso un abuso facendo arrestare mia moglie e mia figlia Marina. E adesso cosa vuole fare? Le vuole vedere morte?”. E’ quanto ha detto il boss della ‘ndrangheta Salvatore Pesce, padre della pentita Giuseppina Pesce, rivolto al pm, Alessandra Cerreti, a conclusione dell’udienza svoltasi a Roma nel carcere di Rebibbia. La moglie di Pesce, Angela Ferraro, e la figlia Marina furono arrestate in Lombardia, su richiesta del pm Cerreti, nell’aprile del 2011 con l’accusa di essere affiliate alla cosca. Salvatore Pesce, quando l’udienza era nella fase conclusiva, ha chiesto di fare dichiarazioni spontanee e si è rivolto al pm Cerreti sostenendo che “quello della moglie e della figlia è stato un arresto illecito. Lei è andata fino a Milano per minacciarle. Per quanto mi riguarda, sono detenuto al 41 bis e di questo la ringrazio. In realtà lei abusa del suo ufficio”. Il pm ha chiesto l’acquisizione del verbale delle dichiarazioni di Salvatore Pesce perché possa trasmetterlo alla Procura della Repubblica di Roma per valutare l’eventuale rilevanza penale delle affermazioni del boss.
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