I riti della Settimana Santa in Calabria Prima parte
Nella tradizione popolare la Pasqua segna la ripresa della vita dopo il letargo della natura e l’astinenza della Quaresima – “Nesci tu sarda salata (Corajisima), ca trasu iu, la disjiata” (Pasqua) – Fatti da parte, sarda salata, perché arrivo io, la desiderata – . Pasqua è passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita, dal peccato alla grazia. Nel periodo che segna il passaggio tra l’inverno e la primavera, i riti della Settimana Santa, in Calabria, sono contrassegnati dall’antica dialettica morte-vita delle società agropastorali. Essi annoverano ricche ed antiche tradizioni e si esprimono in numerosissime rappresentazioni rievocanti la Passione di Cristo. Sono manifestazioni che hanno origini remotissime (‘550 ‘600 – occupazione spagnola) e che mantengono ancora oggi, secolo dopo secolo, le stesse caratteristiche di base, salvo piccole modifiche dovute all’adattamento al contingente. Queste rappresentazioni sceniche sono molto sentite ovunque, tanto da suscitare ancora un forte richiamo per gli emigrati e per i turisti. Il mistero pasquale offre al popolo calabrese la possibilità di manifestare l’animo popolare nella più pura genuinità espressiva, ogni suo gesto, atteggiamento o movimento è accompagnato da un profondo rispetto verso il sacro e dà un senso di venerazione verso i santi misteri. Queste manifestazioni religiose, in linea di massima, sono riassunte nel seguente conto popolare: “Di luni si cumincia ‘u primu chiantu / di chiantu in chiantu, tutta la simana. / Lu marti fannu lu passjiu e lu cantu, / lu merculi la santa coronata. / Lu jovi si fa la Cristu santu, / lu vennari è di lignu la campana. / Lu sabatu Maria jetta lu mantu, / e dominica Cristu ‘n cielu schiana.” Il Lunedì Santo è il giorno dedicato alle anime del Purgatorio, una volta le persone anziane ed i poveri, a Laureana e nei paesi vicini, andavano di porta in porta chiedendo ed ottenendo, per l’”Animi dù Prigatorio”, l’elemosina e l’invito a mangiare in casa. Il Martedì Santo un lugubre tuono di campane ricordava le ceneri, e quindi l’astinenza ed il digiuno quaresimale. A mezzanotte cominciava la penitenza. Non si sarebbe più toccata la carne fino alla Gloria del Sabato Santo, eccezione fatta in caso di estrema necessità; cosa che non accadeva quasi mai, perché si rompeva la Quaresima. Il Martedì Santo un lugubre tuono di campane ricordava le ceneri, e quindi l’astinenza ed il digiuno quaresimale. A mezzanotte cominciava la penitenza. Non si sarebbe più toccata la carne fino alla Gloria del Sabato Santo, eccezione fatta in caso di estrema necessità; cosa che non accadeva quasi mai, perché si rompeva la Quaresima. Il Mercoledì Santo è il giorno dedicato a San Giuseppe, padre putativo di Gesù. In alcuni paesi della Calabria ed in particolare nella provincia di Reggio Calabria (Stilo) vengono svolti in questo Santo giorno le commoventi funzioni delle “Tenebre”. Anticamente era una funzione molto particolare e lunga, durante il corso della quale tutte le candele della chiesa venivano spente e, per alcuni minuti, si rimaneva al buio completo.
Il Giovedì Santo, determina l’inizio del lutto stretto, e le campane smettono di suonare. Riprenderanno il loro canto alla Resurrezione. A partire da questa Santa giornata, nelle chiese viene organizzata una sorta di “strategia del cordoglio”. Quasi dovunque, organizzatori e attori principali delle funzioni religiose erano i fratelli di una o più confraternita. Con ritualità, che presentano varianti a volte significative, vengono sospesi i simboli della vita: il tabernacolo si vuota, le lampade ad olio si spengono, gli oggetti sacri vengono coperti, le campane non vengono fatte suonare. “Calano le tenebre” che annunciano il lutto. Il Giovedì Santo è dedicato allo Spirito Santo, le donne preparavano nella notte o all’alba il pane di mischio, con farina di cicerchie, di lenticchie e di orzo, per il normale fabbisogno.
Con farina di grano o granoturco (miglio), preparano il pane della fraternità; questo consiste nei “cuddhuri” che, una volta, venivano poi portate in Chiesa e distribuite nella funzione dell’Ultima Cena. Col Giovedì Santo si dà inizio, al Triduo Pasquale, che sintetizza e riassume il mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù e con cui si conclude il tempo della Quaresima: il Triduo è il culmine delle celebrazioni pasquali e con questo rito si entra nel vivo delle varie commemorazioni liturgiche, ad incominciare dalle celebrazioni dell’Ultima Cena, che ricorda l’istituzione, da parte di Gesù del Sacramento dell’ Eucarestia o Comunione. Nella chiese, il Giovedì Santo, si svolge la “lavanda dei piedi” a tredici fedeli (che rappresentano i tredici apostoli), da parte del parroco. La cerimonia della lavanda ha oggi carattere simbolico, come atto di umiltà ; nell’antichità in Palestina, era prassi lavare le estremità inferiori al forestiero, prima di ospitarlo in casa. Gesù, con la lavanda, vuol significare la integrazione dei discepoli, aggregandoli alla Casa del Signore. In serata inizia la visita ai Sepolcri. Le chiese stanno aperte per tutta la nottata del Giovedì. Il Sepolcro è il repositorio nel quale viene custodito il S.S. Sacramento durante la Settimana Santa. I Sepolcri continuano ad essere allestite in quasi tutte le chiese e vengono addobbati con fiori e germogli preparati durante la Quaresima, disponendo della canapa su un piatto, sopra la quale vengono sparsi semi di grano o di legumi, il tutto viene conservato al buio, spruzzando sopra giornalmente dell’acqua, la mancanza di luce non consente la fotosintesi, per cui le pianticelle restano di colore bianco. Questi piatti, preparati dalle massaie con molto amore e legati intorno da nastri bianchi e rossi, vengono chiamati “Sumburchi”o “Lavurielli”; questa usanza sintetizza la morte, e quindi la resurrezione.
Gli antichi fedeli usavano dire così : “O sepurcu visitatu / di la Santa Monarchia / di lacrimi siti vagnatu / da’ Vergini Maria.”
Come è noto tale usanza altro non è che la sopravvivenza, l’adattamento del culto pagano dei “giardini di Adone” a una nuova forma di religiosità, come quella cristiana.
A Stilo l’avvenimento più sentito e significativo del Giovedì Santo è la processione delle croci. Il rito inizia all’imbrunire (si concluderà alle prime luci dell’alba), vengono consegnate le croci da parte del priore dell’Arciconfraternita locale ad oltre cento devoti, i quali dopo aver pagato una somma di denaro, si dividono in quattro gruppi di penitenti, molti dei quali scalzi e con il viso coperto, che percorrono le vie del paese pregando e cantando.
A Gerace, nella famosa ed antica Cattedrale, viene celebrato, il Giovedì Santo, il rito della consacrazione degli olii. Il Vescovo consacra gli olii destinati per i catecumeni (rito del battesimo), per il crisma (sacerdozio, cresima e battesimo) e per gli infermi.
L’olio benedetto, viene, poi, dai sacerdoti deposto nelle urne presenti nelle parrocchie per le funzioni liturgiche.
A Maierato la rappresentazione dell’ultima cena si svolge dopo la processione penitente degli apostoli. Nella tradizione popolare il pane e’ considerato elemento protettivo contro le intemperie, cosi’ la gente butta pezzetti di pane sui tetti per proteggere la casa
A partire dalla sera di Giovedì Santo le campane tacciono (vengono “ligate”) in segno di lutto, e soltanto alla mezzanotte di sabato fanno riascoltare il loro squillante suono per annunciare la Resurrezione. Una volta, a sostituire il suono delle campane, ci pensavano i ragazzi con il rumore delle “raganelle”, delle “tocche” o delle “carici”.
Il Venerdì Santo, ricorrenza della morte di Cristo, si ritiene giorno sacro e si osserva una certa austerità. Secondo una credenza popolare addirittura nei tempi passati, era assolutamente vietato pettinarsi mentre era di buon augurio impastare la pasta per fare il pane.
Da ciò deriva il detto :” Maliditta chiddha trizza (jietta) chi di vennari s’intrizza/ beniditta chiddha pasta/ chi di vennari s’impasta” (maledetta quella treccia che di venerdì s’intreccia; benedetta quella pasta che di venerdì s’inpasta). Una volta, in segno di lutto, era d’obbligo, in questo Santo Giorno, il digiuno, che giustificava il proverbio : “’U primu vennari di Marzo, cu no’ dijuna perdi nu vrazzu”. Era d’uso non scambiarsi i saluti, si cercava di parlare a bassa voce e solo per motivi importanti, gli uomini, addirittura non si radevano la barba.
L’unica deroga consentita, come si è detto sopra, riguardava la preparazione dei cuddhuraci o delle cuzzupe. La Settimana Santa vive i momenti di maggiore intensità e di massima solennità nella giornata di Venerdì Santo. “ Oji è Vènnari Santu e nun si canta, / ch’è mùortu Gesu Cristu ‘mpassiòni; / l’hànu purtatu allu sumbùrcu santu/ accumpagnàtu di lu sacramèntu… O Sacramèntu, ti viagnu a truvàri…/ Ccu tri tuvagghi ti vìagnu a sciucàri…/ Una di carità, n’atra di fhidi, / n’atra ppi quando s’àza lu calici santu…”
Il Venerdì Santo rimane per Polistena un giorno di lutto e di sacre rappresentazioni. Alle sette di mattina, dalla porta principale della chiesa Matrice, prende il via la processione dell’Addolorata.
Aprono il corteo gli stendardi neri, l’uomo dalla tunica rossa che si trascina con la croce sulle spalle, mentre attorno a lui uomini, in tunica bianca, stringono fra le mani una lancia.
Subito dopo viene la statua della Madonna Addolorata, al suo apparire la banda intona la “Settima Parola”.
Una musica funebre, scritta, dal musicista polistenese Valensise, per le manifestazioni sacre della Settimana Santa della sua Polistena.
Nel tardo pomeriggio dalla chiesa dell’Immacolata si snoda la processione della Pietà (A Desolata), una statua d’ottima fattura il cui autore si è ispirato alla celebre opera del Michelangelo.
Infine, dalla chiesa del Rosario, si muove la sacra rappresentazione della Passione di Gesù Cristo, meglio conosciuta come la processione dei Misteri, gli ultracentenari gruppi modellati in cartapesta dal maestro polistenese Prenestino.
Sono sette “varette”che ricordano la Via Crucis, accompagnate da ragazze in abito nero che illuminano la processione con le loro fiaccole e da giovani col saio bianco e il volto nascosto da un cappuccio nero che portano a spalla i gruppi o innalzano i simboli della “Passione”: il gallo, la bandiera, il calice, l’ancora, la corda e la Croce.
A Cittanova, splendido centro della piana di Gioia Tauro, iniziano, all’alba, le tradizionali celebrazioni del Venerdì Santo con la “processione della croce”. Nella tarda mattinata si consuma uno dei rituali più attesi della Settimana Santa cittanovese: la processione delle varette (sculture lignee realizzate dallo scultore Francesco Biancardi nella seconda metà dell’ottocento. – Undici gruppi sacri, autentici capolavori, che costituiscono un punto d’attrazione per le popolazioni della Piana e per i turisti affascinati da una rappresentazione unica nel suo genere). Il corteo sacro inizia alle ore 11 e le statue escono dalla chiesa Matrice, per poi percorrere lungo le principali strade cittadine fino ad arrivare alla piccola chiesa del Calvario. Un rito che si ripete anno e che trascina con sè la devozione della gente. Un momento molto sentito e partecipato con migliaia di persone che vi partecipano per circa 2 ore.
A Caulonia, la sera del Venerdì Santo, ha significato la “Chiamata”. Dalla Chiesa del Rosario le statue della Vergine Addolorata e del Cristo morto vengono condotte nella chiesa Matrice, dove si svolge una complessa cerimonia: Il predicatore, dopo il discorso della passione, con Gesù morto tra le mani, invoca, “chiama” la Vergine Addolorata. A questa invocazione le porte della chiesa vengono spalancate e la statua della Madonna viene introdotta di corsa in essa, percorrendo le navate laterali con movimento circolare, sino a presentarsi davanti al predicatore, il quale le depone nelle mani una piccola immagine di Cristo crocefisso, poi al canto dello “Stab at mater” viene deposto Gesù Morto nel sepolcro. Successivamente, al canto del Miserere, con le note della marcia funebre, ha luogo la processione di Cristo morto seguito dalla statua di della Madonna e da quella di S. Giovanni.
In molti paesi della provincia di Catanzaro, come Davoli, Gagliano, Monte Paone, Satriano, Savelli, Borgia, Marcellinara, Settigiano e Gimigliano, si usa dar luogo, il Venerdì Santo ad una sacra azione scenica, detta a “Pigghiata”, che ripropone il dramma del Cristo nei momenti più commoventi della condanna e della crocifissione.
Altra manifestazione, apprezzata e molto sentita, del Venerdì Santo nella fascia istimica catanzarese, è la processione della “Naca”: spettacolare processione del Cristo morto aperta dal “Cireneo” che per tradizione è completamente vestito di rosso e che per voto porta sulle spalle una pesante croce di legno, e delle immagini dell’Addolorata e di San Giovanni.
Tra le più famose processioni della “Naca” sono da annoverare quelle di Catanzaro, di Tiriolo e di Cropani. A Catanzaro la processione è accompagnata da una folla di fedeli attraverso il centro storico della città ed è divenuto l’appuntamento più importante della Settimana Santa. Degna di segnalazione, a Vibo Valentia, è la processione pomeridiana del Venerdì Santo, dei Misteri Dolorosi di Gesù Cristo e delle “Varie” (statue policrome dello scultore vibonese Ludovico Rubino, vissuto nel XVIII secolo, che partono dalla chiesa del Santo Rosario, sede dell’omonima Arciconfraternita.)
Ogni anno si ripete, a Laureana di Borrello, il giorno di Venerdì Santo, la secolare processione dei Misteri, una via Crucis animata da alcuni attori locali, che lungo le principali vie del paese cercano di rivivere alcuni di quei momenti che circa 2000 anni addietro, sulla via del Calvario, hanno avuto Gesù Cristo per protagonista.
Vengono portati in processione i gruppi statuari del Cristo alla Colonna, del Cristo alla Canna,del Cristo nell’orto e la statua dell’Addolorata assieme al simulacro, nel quale sarà, poi, deposto il Cristo Morto.
A Terranova di Sibari ed a Cassano, durante il triduo pasquale, e in particolare il Venerdì Santo, si svolgono processioni di Passione, al canto delle litanie tradizionali che vengono tramandate con devozione. A completamento dei riti va segnalata la presenza di gruppi di flagellanti, i quali si percuotono con strumenti muniti di elementi acuminati.
Concludo questa prima parte dei Riti della Settimana Santa con dei versi del poeta Ettore Alvaro che racconta, come erano attesi e vissuti, i riti, del Venerdì Santo, del suo paese, Galatro, negli anni passati: “E’ ‘a storia ‘i na jornata santa, china di fatti paisani. E jeu mi calu e ‘i cogghiu…/ Vennari e Santu a pprima matinata / ntra chiesa si videnu già li seggi / misi a filera …./ listata alluttu ‘a chiesia ti mbitava / m’assisti a na funzioni di doluri …/ A morti di Gesù Nostru Signuri, / du fratelli ‘u calaru d’a cruci: / pezzu forti d’u predicaturi, / chi a tutti cummovia, sia pe’ la vuci, / sia p’e palòri, quando a Addolorata, / ntr’e vrazza, ‘a sarma, nci venìa posata. / Venunu poi i fratelli cungregati; / vestuti di nu grandi cammisuni. / Dha longa prucessuni pe’ li strati / girava pe’ i vineddhi a jìa nchianandu, / mentri i fimmani tutti accalorati, / cu amuri e cu pietà jenu cantandu / strafetti chi nci avenu tramandatu / i vecchi loru e i giuvani mbizzatu / Calandu d’u Carvariu mò vidivi / migghiara di candili pe’ i vineddhi / ch’ardenu fiammi ‘i cori sempi vivi, / di genti tantu boni, povareddhi. / E ppuru ‘u cantu loru rimbombava / ntra lu paisi e ‘o celu poi nchianava.