Il Castello dei Gelsomini La Calabria raccontata da Cristoforo Labate ai tempi della dominazione spagnola nel XVI secolo
La vicenda descritta ne Il Castello dei Gelsomini dell’autore Cristoforo Labate per i tipi di Laruffa Editore, può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo preminentemente storico, pur descrivendone una delle epoche storicamente e socialmente più difficili per la Calabria.
La narrazione si incentra in Calabria nell’arco di un ventennio del XVI secolo dominato dagli spagnoli, che, impegnati a consolidare la loro supremazia ed il loro dominio sul Mediterraneo e nelle Americhe, sono indolenti a curarsi di quel lembo di terra storicamente spartiacque di mondi e culture diverse e spesso in contrasto tra loro.
Cristoforo Labate ha certamente coltivato nel suo romanzo il genere narrativo espresso da una tradizione romanzesca siciliana: la novella Libertà di Giovanni Verga, I Viceré di Federico De Roberto, I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello anche se intercalati in un’epoca storicamente eterogenea e drammaticamente avvertita proprio in Calabria, dove erano vive speranze di un profondo rinnovamento.
L’accurata e ricercata raffinatezza nel linguaggio, la ricchezza e la segmentazione dei contenuti uniti ad una introspettiva descrizione dei personaggi, dipana la saga di due casate baronali in conflitto fra loro, collocati storicamente in un ventennio del cinquecento che ha visto la provincia reggina contraddistinguersi per il dominio spagnolo.
Un romanzo storico di grande pregio, dove si rileggono le pagine autentiche della dominazione aragonese, di quella spagnola, le rovine perpetrate delle invasioni turchesche, il modo di vivere del tempo contrassegnato da singolari norme etiche e sociali, da linguaggi di più culture che si intrecciavano esaltando l’appartenenza ora nobiliare ora popolana.
Il linguaggio letterario usato nelle conversazioni dei personaggi si caratterizza da un originale intercalare in lingua spagnola, francese, ma particolarmente in lingua locale, con il costante richiamo agli usi, tradizioni e festività religiose.
Sono tangibili anche le assonanze, con i casi letterari de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e con l’opera di Gesualdo Bufalino.
L’atteggiamento che si coglie nel romanzo non è l’ottimistica concezione storicista e teleologica dell’avvenire dell’uomo (presente in Italia in Manzoni e Nievo), ma la dolorosa consapevolezza che la storia degli uomini non procede verso il magnifico compimento delle progressive sorti, e che la “macchina del mondo” non è votata a provvedere alla felicità dell’uomo.
Dalla rappresentazione storica, non restano fuori dal romanzo molti eventi importanti: le invasioni piratesche di Dragutte ed Occhialì, con la descrizione minuziosa di particolari anche sanguinosi e drammatici patiti dalle popolazioni calabresi, o la connivenza, anche allora usuale, tra la criminalità organizzata e i baroni, i quali se ne servivano per sbrogliare alcune non facili matasse e dissapori locali.
Il Castello dei Gelsomini è anche un romanzo contemporaneo di ampio respiro, uscito da una aristocratica tradizione narrativa nella quale si avverte la presenza di Stendhal, nel senso della solitudine e della immane sofferenza che pervade la popolazione inerme, che nessuno difende o tratta umanamente, in una Calabria ai margini di un processo di pre-globalizzazione e di importanza geopolitica di assoluto rilievo, in una Europa che si gioca una partita fondamentale per gli equilibri del mondo intero.