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Il conformismo dell’inesattezza

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Esiste un’etica della pura intenzione, per cui è bene tutto ciò che è conforme a valori che vanno rispettati a prescindere dalle conseguenze, e un’etica della responsabilità che tiene conto dei risultati di ogni azione.

Nell’incertezza si diffonde un pluralismo che si accontenta di una “comunanza parziale” di un minimo etico o pseudo tale e favorisce una preoccupante indifferenza di ricerca di valori, con il rischio di confondere il personale successo con la verità.
Non va confusa l’etica con la libertà: ci può essere una libertà amorale e immorale; la libertà si affida alla responsabilità individuale, al proprio modo di giudicare.
La morale, specie se positiva, può limitare le libertà.
I moderni mezzi di comunicazione di massa, si propongono di diffondere notizie a una pletora variegata ed etereogeneamente dissomigliante di utenti.
Il giornale risale agli inizi del XVII secolo: consisteva di fogli che dovevano rispettare le indicazioni imposte dalle autorità che concedeva loro il privilegio di battere stampa.
Contro questo limitante privilegio che ne circoscriveva sostanzialmente la indipendenza, si schierarono gli illuministi: Jean Baptiste d’Alembert chiese agli uomini di cultura di vivere in chiuse torri di avorio, attesa la loro fragilità dinanzi agli allettamenti del potere.
All’uomo che scrive, oggigiorno, si chiede di dare notizie vere e commenti sinceri od almeno conoscibili verità, rispettanti l’esattezza oggettiva avulsa da falsi assiomi artatamente costruiti e politicamente manovrati.
La verità è che la scelta della notizia dipende dalla sensibilità del giornalista e della sua capacità di sentire che cosa possa sollecitare il pubblico lettore: già in questa scelta c’è una prima imparzialità che pone forti limitazioni alla veridicità apparente dei fatti.
Involontariamente, a volte, i giornalisti possono diventare uno strumento nelle mani di lobby di potere, trascinati da una parziale faziosità o feeling volontario verso situazioni o personaggi che non troverebbero alcuna notorietà neanche nei miserabili bassifondi parigini di hughiana memoria.
La notizia influisce in modo sostanziale sui livelli di democrazia e di civiltà.
Basti pensare che la Rivoluzione Francese, iniziata dal Terzo Stato, fu portata avanti nella sua evoluzione autodistruttrice, dai tribuni che con i loro giornali intontivano la pubblica opinione.
L’imparzialità è in costante pericolo; per motivi di equilibrio si tende a dare notizie sbrigative e amorfe: l’informazione anodina può diventare un inganno ossequioso al condizionante potere.
Predomina la preoccupazione di tradurre tutto in spettacolo per attirare il lettore, appiattendo i valori e favorendo l’indifferenza finalizzata al frastuono per avvolgere il vuoto materiale e psichico.
Voltaire scriveva sull’Encyclopédie che la ragione e il buon gusto finiscono con il prevalere e le “gazzette false e grossolane finiranno nel disprezzo e nell’oblio”; accade anche così ma in tempi così lunghi da non coprire i grevi danni provocati.
In fondo basterebbe rifuggire dal conformismo, non obbedendo al potere od alla faciloneria demagogica e indirizzando l’operato verso la ricerca del sapere, termine quest’ultimo di significazione religiosa, che costituiva anticamente il “potere di guida dell’esistenza”.
Chi non sa, chi non è sicuro non dovrebbe né scrivere né parlare.
Ma in un mondo così superficiale si chiederebbe troppo.