Il consumo ignorante di suolo Ecco i consigli e l'analisi del nostro Pino Romeo
Come già fece notare qualche tempo fa l’illustrissimo storico dell’arte rosarnese Salvatore Settis, fra i record negativi che si porta appresso questa nascente legislatura, ce n’è uno che rischia di sfuggire ai radar, tanto si è allontanato dalla pubblica attenzione: il consumo di suolo.
Eppure un disegno di legge per contenerlo c’era già, rarissimo lascito positivo dell’era Monti, grazie all’allora ministro Mario Catania, ma con manovre degne della corte di Bisanzio, ben tre governi di finta sinistra, mentre fingevano di volerlo rilanciare, riuscivano ogni volta… a insabbiarlo brillantemente, riscrivendolo mille volte in estenuanti tira e molla, emendamenti e furbizie varie.
In compenso, il super-cementificatore Maurizio Lupi, già schernito dal Pd quando era allineato con Berlusconi, veniva imbarcato fra i “padri della patria” al governo, e in amorevole duetto con Renzi lanciava il cosiddetto Sblocca-Italia, consacrazione massima e decalogo dei devastatori di suolo di ogni colore politico.
Il tema venne portato in discussione agli Stati Generali del Paesaggio, convocati con molte buone intenzioni e grande debolezza sostanziale dal sottosegretario Borletti Buitoni il 25-26 ottobre. Qualcuno fece allora notare che, in simultanea – a un passo da Palazzo Altemps dove si svolgeva il convegno – il Senato stava votando la fiducia all’indegno Rosatellum.
Perché, fu chiesto allora a Dario Franceschini che era presente, non mettere invece la fiducia sulla legge contro il consumo di suolo, onde approvarla prima della fine della legislatura?
Il ministro dichiarò che era un’ottima idea, e che ci avrebbe provato.
Ma niente di fatto: non aveva fatto i conti con l’opposizione di esponenti di spicco del Pd, e ben 1.834 giorni di legislatura non bastarono a portare la legge in porto….
Dopo le clamorose elezioni dello scorso 4 marzo, quali che siano i proclami dei partiti, i programmi veri salteranno fuori dal cappello dei negoziati e in special modo dei compromessi, solo dopo che si sarà formata una coalizione coi numeri per governare.
Perciò tornare su questo tema è come lanciare un messaggio in bottiglia, col rischio che si disperda nell’oceano di chiacchiere in cui il Paese sta affondando senza gloria.
Proviamo a ricordare qualche dato di fonte Ispra. Negli anni che vanno dal 1950 al 2016, sono stati fatti fuori dal cemento 23.000 chilometri quadrati di territorio in Italia: ovvero il 7,64% della superficie del Paese, più o meno grande quanto la Lombardia.
Tre metri quadrati al secondo, trenta ettari al giorno coperti dal cemento….
Ogni giorno, anche a Natale e a Pasqua, anche in questo preciso momento.
E il suolo che si consuma è il più prezioso, quello che dovremmo destinare all’agricoltura di alta tecnologia.
Sei milioni di ettari persi per l’agricoltura, che ne ha ridotto la produzione con una perdita netta vicina a un miliardo di euro l’anno, oltre agli enormi costi aggiuntivi, visto che il cibo non lo produciamo più, dobbiamo obbligatoriamente importarlo con una qualità molte volte discutibile.
Intanto, per le politiche straccione di una urbanistica ammanettata piedi e mani alla politica, non si arresta nemmeno l’erosione delle coste – come ci racconta una stima di Legambiente – ormai consunte al 51% da porti turistici, villette, alberghi e resort.
Infine, la fragilità idrogeologica e sismica del nostro territorio, costringe periodicamente a correre ai ripari riversando nelle toppe circa 3,5 miliardi di costi l’anno, senza mai pensare neanche lontanamente ad avviare serie e lungimiranti opere di prevenzione.
Preferiamo stracciarci le vesti a ogni alluvione, esondazione, terremoto, frana, “bomba d’acqua”, con relativo accompagnamento di morti e feriti. E lo si preferisce per un motivo ben preciso: la prevenzione non porta un solo voto in più nelle tasche del consenso politico.
Per questi motivi, un messaggio in bottiglia lanciato a chi ci governerà ha alcuni temi obbligatori.
Il degrado dell’ambiente e la crescita a macchia d’olio delle città sono due aspetti complementari, che comportano da un lato enormi perdite di produzione agricola, dall’altro l’agonia e la morte lenta delle città storiche, sottoposte a una “gentrification” che espelle dai quartieri più pregiati i giovani, i vecchi, i meno abbienti, le botteghe artigiane, creando nuovi ghetti urbani.
Il paesaggio urbanoandrebbe concepitoe ridisegnato sotto il segno di una lungimirante prevalente unità.
Qualcosa si potrebbe fare subito, in attesa di correggere il maggior difetto dell’ordinamento italiano, cioè la sovrapposizione fra le quattro nozioni giuridiche di paesaggio, ambiente, territorio, suoli agricoli, con norme distinte e spesso conflittuali.
Sarebbe facile, per esempio, commisurare per legge i piani urbanistici a previsioni di crescita demografica certificate dall’Istat: si sa, infatti, che i Comuni truccano spesso le statistiche, attribuendosi da soli mirabolanti crescite di popolazione, onde poter consentire il successivo passo della speculazione edilizia.
Si dovrebbero stabilire, Comune per Comune, parametri di edificabilità basati sul tasso di edilizia condonata, sulla frequenza di edifici abbandonati, invenduti o inutilizzati e di aree de-industrializzate da destinare a uso collettivo.
Si dovrebbe consolidare la norma della legge di bilancio 2016 (comma 460), che riporta gli oneri di urbanizzazione all’originaria funzione della legge Bucalossi, senza più destinarli alla spesa corrente.
Intanto, mentre si moltiplicano i segni premonitori dei prossimi disastri, e aleggia nelle ex aree politiche di destra e sinistra, il fantasma del Ponte sullo Stretto, bandiera e simbolo dell’irresponsabile gestione del territorio, qualcosa si muove: il Forum “Salviamo il Paesaggio”ha lanciato una proposta di legge popolare “per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati”.
Un’altra testimonianza che un gran numero di cittadini è pronto a operare “dal basso” per ridare a questo Paese il respiro e il futuro che meriterebbe, mentre i politici di mestiere s’affannano a conservare poltrone e appannaggi vari.
È ancora validissimo il monito del secondo Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, sullo sfondo delle macerie della seconda guerra: “Il problema massimo dell’Italia è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo contro la progressiva distruzione che lo minaccia. L’uomo di Stato deve guardare lontano nello spazio e nel tempo, anche contro la volontà degli uomini viventi oggi. La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli Italiani”.
Compito di oggi. Ricordiamocelo ogni giorno.