“Il Divino Maestro”, nuovo libro di Domenico Caruso Processo a Gesù e la sua preghiera
Pubblicato di recente su Youcanprint, il mio nuovo libro ha lo scopo di considerare il più controverso processo che ha cambiato il corso della storia. Nonna Vincenza Femìa è una figura popolare d’altri tempi, entrata nella leggenda di Laureana di Borrello. Si deve al suo coraggio e al suo sacrificio se la Chiesa Parrocchiale di Maria SS. degli Angeli, danneggiata dai terremoti, si trova ricostruita nel sito originale. La pia donna soleva ripetere nelle orazioni quotidiane:
«La Passione del Signore,
il dolore di Maria,
fa’ che sempre siano
nel nostro cuore».
La giaculatoria rivela il profondo sentimento che gli avi nutrivano verso il sacro con l’epilogo annuale delle rappresentazioni popolari (tragedie) che si svolgevano nei vari centri della nostra Piana durante la Settimana Santa. Dal sacro esercizio della “Via Crucis”, così diffuso nel Cattolicesimo e risalente al tardo Medioevo, ho preso spunto per delineare l’eccezionale evento del mondo.
La popolarità di Gesù presso il giudaismo fece sì che Anna, servendosi di Pilato e architettando una situazione plateale, conducesse a morte il Divino Maestro. Gesù fu deriso dai soldati dell’Impero per essere giudeo e per essere ritenuto una figura regale, antagonista della legge romana. Il Sinedrio, da quando nella Giudea vi fu un amministratore romano, non poteva condannare a morte. E’ pur vero che la maggior parte dei capi religiosi di Gerusalemme, essendo pieni di rancore e d’invidia, desideravano l’eliminazione del Messia. E, dopo la morte, i discepoli di Cristo subirono le violenze delle autorità ebraiche.
La seconda parte del lavoro è riservata al “Padre Nostro”: «Un giorno Gesù andò in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare”». (Lc 11, 1). Così, gli Apostoli hanno ricevuto dal Maestro l’orazione che ci hanno tramandato. Il “Padre Nostro” esprime la “sintesi di tutto il Vangelo” (Tertulliano), “la preghiera perfettissima” (S. Tommaso d’Aquino), la “orazione domenicale”, cioè la “preghiera del Signore”.
I Padri della Chiesa hanno rilevato che al suo interno vi sono sette domande, quanto i doni dello Spirito Santo. Come Gesù chiama Dio “Abba, Padre”, sia nella gioia che sul patibolo, così il credente mosso dallo Spirito di Cristo può rivolgere lo stesso appellativo, non soltanto imitando il Salvatore ma affermando la sua mediazione.
Dalle mie modeste riflessioni sul Padre Nostro, collocato al cuore del Discorso della Montagna, metto in rilievo un particolare. L’intera preghiera è racchiusa dalla forma chiasmica, fra il segno del Padre e il desiderio di venire liberati dal Maligno. L’intimità con la quale ci rivolgiamo a Dio è fonte di fiducia e di sicurezza; imploriamo il suo aiuto consapevoli che il male non appartiene all’ordine naturale ma a quello effimero. L’espressione “non ci indurre in tentazione” va tradotta “non metterci alla prova”.
Dante avrebbe obiettato:
“Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
ché il velo è ora ben tanto sottile,
certo che il trapassar dentro è leggero”. (Pg. VIII, 19-21)
Emeriti teologi e studiosi si sono arrovellati il cervello senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Eppure nel bene e nel male è in gioco la nostra vita!