Il dramma della solitudine fa più vittime dell’obesità L'isolamento sociale aumenta del 50% il rischio di morte prematura
La solitudine è uno dei mali della società moderna che non è solo causa di afflizione psichica ma, più in generale fa male alla salute. È uno studio della Brigham Young University (BYU) di Provo (Utah), a confermare le gravi conseguenze sulla salute di solitudine e isolamento sociale, arrivando alla conclusione che sono killer maggiori dell’obesità. La ricerca, presentata da Julianne Holt-Lunstad alla 125/ima convention annuale della American Psychological Society tenutasi a Washington, ha verificato che il rischio di morte prematura aumenta del 50% in condizioni di solitudine e isolamento sociale.
Secondo Holt-Lunstad si tratta di risultati rilevanti perché nel mondo occidentale vi è una ‘epidemia di solitudine’ che bisogna gestire con opportune misure da intraprendere a partire dall’infanzia, e naturalmente centrando l’attenzione sugli anziani. Già in passato altri studi avevano mostrato una connessione tra solitudine (la sensazione soggettiva di essere disconnessi dalla società, di non avere affetti vicini), isolamento sociale (la condizione oggettiva di essere socialmente isolati) e cattiva salute, in particolare rischio di Alzheimer e minore sopravvivenza in caso di tumore al seno.
In questi lavori, invece, si è teso a cercare un nesso tra solitudine, isolamento e rischio di morte. Il primo studio ha coinvolto oltre 300.000 adulti che avevano precedentemente partecipato a un totale di 148 studi, mentre la seconda meta-analisi ha compreso 70 studi per un totale di oltre 3,4 milioni di adulti. È emerso che l’isolamento sociale è associato a un rischio di morte prematura del 50% maggiore rispetto a chi è socialmente connesso. Inoltre, è emerso che il rischio di morte prematura associato a isolamento e solitudine è uguale se non maggiore al rischio associato a gravi problemi di salute come l’obesità.
Si tratta di risultati che dovrebbero far riflettere tutti, a partire dalle istituzioni, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti [1]”, perché la causa principale va ricercata in una società sempre più egoista e meno inclusiva, nella quale gli enti, a partire da quelli di prossimità sono sempre più lontani dalle istanze dei cittadini che inevitabilmente si isolano non trovando più risposte alle proprie esigenze. Solo un’inversione di tendenza che riporti il cittadino all’interno della comunità potrà ridurre i fenomeni della solitudine e dell’isolamento sociale e quindi delle patologie connesse che in virtù dei dati emersi dallo studio americano, risultano avere dei costi sociali enormi.