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TAURIANOVA (RC), VENERDì 29 NOVEMBRE 2024

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Il fantastico mondo della “gravidansia” Sguardo disincantato sul mondo di cavoli e cicogne

Il fantastico mondo della “gravidansia” Sguardo disincantato sul mondo di cavoli e cicogne
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Ero in crisi d’ispirazione quando mia cognata è accorsa prontamente in mio aiuto:

– “Te la do io l’idea per un articolo”
– “Dimmi”
– “Ti dico il titolo, indovina l’argomento”
– “Vai”
– “Due cuori e una capanna”
– “Faccina perplessa (io)”
– “Il bridge al trapianto cardiaco?”
– “Faccina da urlo di Munch (lei)”
– “Ma no, Nata! La Gravidanza”
– “Ah”

Mia cognata sarà pure un’ottima madre e una brillante ricercatrice, ma è evidentemente una schiappa come titolista. Perdonatela. É in pieno mood “nove mesi di tenerezza”. Io, invece, come si può evincere facilmente dalla conversazione, sono poco pregnancy-friendly. Non ho moltissima confidenza con l’ostetricia che, dal punto di vista medico, rappresenta un mondo a sé stante, dove vigono leggi fisiologiche e farmacologiche differenti rispetto a quelle di un organismo in solitaria. Non a caso, infatti, la gravidanza viene definita una condizione “parafisiologica”. Nel senso che “para” fisiologica, ma, forse, non lo è. Cioè, magari lo è, ma a volte è come se non lo fosse. Insomma, non ci ho capito niente neanche io.

Fatto sta che quando devo andare a fare una consulenza nel fantastico mondo di fiocchi e balocchi, mi viene sempre una certa punta d’ansia. Un po’ perché con il colon irritabile, che mi conferisce sembianze da gravida a termine, rischierei di essere portata in sala per un cesareo urgente; un po’ perché se ti chiamano dall’ostetricia per qualcosa di serio di solito sono guai serissimi. Per tutti. Per fortuna, la maggior parte delle volte si tratta di quadri banalissimi: lipotimie, tachicardie, un lieve affanno che viene dal portarsi dietro quei venti chili in più. Insomma, un corteo di sintomi che appartengono a questa condizione del tutto unica e di cui tutte le donne, negli anni, hanno fatto esperienza, ma che, in un’ era dove la medicina difensiva ha preso il sopravvento su ogni forma di logica e buon senso, vengono avvolte da un’aura di terrore e allarmismo. Del resto i ginecologi sono da capire: sulle loro teste aleggia perennemente la spada di Damocle della denuncia. Però così si rischia di trasformare un momento che esiste da quand’è nato il mondo in una maratona ansiogena di divieti, esami e prelievi che continuano ad assillare la povera gravida pure nel momento in cui sta per tagliare il traguardo. Poi ci credo che le nuove generazioni vengono su già isteriche. I nascituri sono stressati ancor prima di nascere.

– “Può refertarci subito questo Ecg?”
– “Può aspettare cinque minuti che ci diamo le consegne?”
– “No, è urgente: la signora sta partorendo”

Quindi fatemi capire: se io non referto l’elettrocardiogramma il bambino non nasce? Cioè si mette buono buono nel canale del parto – come il mio gatto nell’armadio – e pensa: “Ma questa scema quando si sbriga che io devo uscire?”. Bambino, sono lusingata. Ma avrai una vita davanti per aspettare le donne, per stavolta potresti anche andare da solo. (Potresti essere anche bambina, è vero: in tal caso avrai una vita di attese davanti alla porta del bagno). Però lo ammetto: è bello aggirarsi per i corridoi di quello che una volta veniva chiamato Reparto Maternità. Quando attraverso quella soglia mi trovo catapultata in un luogo del tutto diverso rispetto al mio habitat. Mi sento un po’ Alice nel Paese delle Meraviglie. Intanto gli odori. Prima di diventare così piccola da passare dal buco della serratura vivevo in un mondo di over 80, con relative problematiche olfattive annesse. Qui invece è tutto così pulito e profumoso. Potrei restare ore a perdermi tra i colori, le deliziose stampe di Anne Geddes, il respiro della vita e l’aria di felicità. Come Alice, non posso fare a meno di guardarmi intorno con curiosità e allora passo in rassegna le varie coccarde di benvenuto esposte in bella mostra sulle porte delle stanzette, alcune di foggia graziosissima, altre di eclatante cattivo gusto. Su quel tripudio di merletti e punto a croce campeggiano i nomi dei nuovi arrivati. Già, i nomi. Vi siete accorti che non ci sono più i nomi di una volta? Mi basta vedere un Sasha, un Kevin o una Chantal, per farmi venire il dubbio di essere finita in una puntata di qualche reality americano piuttosto che in un ospedale della periferia salentina. Scusate, che fine hanno fatto le Maria e i Francesco? Cosa vi hanno fatto di male?

Persa in questo dubbio sociologico non mi sono accorta che qualcuno, con piglio autoritario, mi sta sbarrando la strada. É la Regina di Cuori: la caposala, ovviamente. Perché in tutti i reparti di Ostetricia che si rispettino, la figura che incarna perfettamente gli attributi di autorità ed autorevolezza non è il primario, ma l’Ostetrica. Nel mio immaginario fantastico ha sempre assunto le sembianze di una cosa a metà tra la Signorina Rottermeier e le suore della scuola infermiere di Candy Candy. Uno di quei personaggi che, se per caso volessi provare l’azzardo di attraversare il corridoio mentre è in corso il giro visite, ti farebbe finire in ginocchio sui ceci. Bene che ti vada. Altrimenti faresti prima ad arruolarti nell’Isis. Prendo dal distributore una bevanda con su scritto “Bevimi” e mi faccio ancora più piccola. Così piccola da poter sgattaiolare via senza dare troppo nell’occhio. Quando finalmente si apre la porta dell’ascensore trovo ad aspettarmi il cappellaio matto sotto le mentite spoglie di un Oss che sta distribuendo il vitto. Fa il gesto di togliere un orologio dal taschino e io temo che sia quel fantomatico orologio biologico di cui tutti parlano. “Oh no, anche lui con questa storia!”. Ma poi realizzo che l’orologio biologico non esiste. Le donne non sono yogurt con una data di scadenza e, comunque, anche le date di scadenza sono un concetto aleatorio. Ma al tipo non interessa molto dei miei deliri antropologico-alimentari: sta guardando quanto manca alla fine del suo turno e vuole solo offrirmi una tazza di tè.

Tempi duri per cavoli e cicogne. Per trovare un cavolo a chilometro zero che non sia contaminato da antiparassitari, o che non contenga ogm, devi rivolgerti al contadino di fiducia o, se non ce l’hai, staccare un assegno in qualche bel negozio “bio”. E la cicogna? Le rotte aeree sono sempre più complicate, le scie chimiche disturbano il volo e i graziosi uccelli dal becco allungato e dal candido piumaggio si sono rivolti alla Lipu per denunciare la situazione di stress a cui sono sottoposti. A dispetto delle notizie sul calo delle nascite, pare che il lavoro sia troppo e il personale troppo poco e loro non ce la fanno proprio più. Parti in acqua, parti in casa, parti cesarei, epidurale solo se paghi o conosci l’anestesista, il parto indolore che è ancora un tabù. E alla fine una testolina bluastra che spunta da dove la vita ha inizio, un pianto che è un’affermazione della sua presenza al mondo, un’emozione che si ripete ogni giorno in angoli diversi del pianeta, migliaia di volte. Una forza travolgente e potente come solo l’amore sa esserlo.

E all’Amore, di tutto il resto, non è mai fregato niente.