Il giudice e lo storico Riflessioni dell’avvocato Cardona sulla diversità tra l’indagine storiografica e quella giudiziaria
E’ sempre più attuale e rafforzato da coeve pronunce l’istintivo scetticismo verso elucubrazioni di cronisti e commentatori giudiziari, allorché definiscono come “storici” taluni processi comprese le sentenze che li concludono.
Tali soloni, per gran parte improvvisati esegeti della complessività del fenomeno giudiziario, fanno assurgere indifferentemente al grado storico, sia la sentenza sul maxi-processo di mafia che quella di Cassazione sul “misurino” della responsabilità del medico o sul gioco delle tre carte.
Il grande giurista Piero Calamandrei nel 1939 nel saggio “Il giudice e lo storico” sottolineava la diversità sostanziale tra l’indagine storiografica e quella giudiziaria, asserendo come le regole probatorie e metodologiche dello storico sono affrancate da limiti ontologici, essendo l’indagine del giudice, per converso, vincolata ad una limitata e ristretta porzione di realtà aneddotica.
Allo storico permane lo scettro della facoltà di scelta e di iniziativa, movimentata da poche regole procedimentali e suffragata dalla continua e mutevole ricerca, al giudice rimane la limitata passività quale recettore e non selettore dei fenomeni.
Questa “illusione di eternità” altro non è che il frutto di ingenue credenze nella palingenesi della società attraverso il giudizio e la pena, ricorrenti nei periodi convulsi, di transizione e di caduta di autorità dei parlamentari e dei governi che dovrebbero costituire l’essenza primaria e di basilare garanzia democratica.
La caduta di credibilità politica pone alla ribalta nuovi poteri, che si arrogano responsabilità di garanti, sull’onda emotiva suscitata da folle in tumulto e da campagne di stampa faziosamente strumentali.
Nelle democrazie deboli l’illusione di “speciali salvezze” induce il vólgo ad affidarsi a corpi separati, militari o civili, che si assumono compiti “speciali” di risanamento istituzionale, con esiti costituzionalmente confliggenti con la gerarchia delle fonti del diritto e rischiosi per le sorti della vita democratica.
La realtà è che la storia degli Stati e delle Nazioni non si fonda sulla storiografia giudiziaria, anche se una parte trascurabile di essa ha inciso con nefaste conseguenze, oggigiorno riscontrabili, a seguito della sommovimentazione politica determinata da processi politici.
Il significato assegnato dalla storiografia ufficiale ad alcuni processi di portata storica, – dal processo a Gesù a quello a Galileo Galilei, a Giovanna D’Arco, a Sacco e Vanzetti, ai criminali di guerra a Norimberga -, non scalfisce il ragionamento dello studioso, il quale nella sua erudita ricerca, pur vagliandone il dato giudiziario non consente l’entratura a gonfiature ed enfatizzazioni di fatti sintomatici di mutamenti e svolte.
Nella nostra Repubblica inflazionata da fatti di corruttela, l’annellarsi di pletore processuali se da un lato influenza temporaneamente il limaccioso alveo della storia, dall’altro non incide sulle vere svolte del regime politico futuro.
Le riserve di metodo sulla valenza di una storiografia giudiziaria, trovano l’humus sostanziale nelle velleità demiurgiche della nuova magistratura e del correlativo bisogno spasmodico di far rifluire tutto nel fenomeno giudiziario a discapito di un producente contrasto della reale criminalità.
Di siffatti araldi giudicanti e dei giudizi “esemplari” diffidiamo per istinto, prima che per esigenze di ragione.