Questa rubrica si era occupata del caso dell’imprenditrice agricola di Laureana di Borrello Maria Chindamo, a giugno del 2016, quasi un mese dopo la sua scomparsa avvenuta in circostanze misteriose il 6 maggio 2016. La donna esce di casa per recarsi a Limbadi dove sono ubicati alcuni terreni di sua proprietà, ma farà più ritorno a casa. Sono trascorsi oltre tre anni e di quel giorno restano le immagini della sua auto, ritrovata ancora con il motore acceso e tracce di sangue nella sua vettura. Segni tangibili che c’è stata una colluttazione e che dei “balordi” l’hanno portata via con la forza, e aggiungo anche, vigliacchi, visto che si trattava di una donna solo e indifesa. Ed è per tali motivi che su Maria Chindamo, si teme il drammatico epilogo, dove ahimè, c’è l’attesa per una conferma e di conseguenza il ritrovamento del corpo della donna. L’anno prima il marito Ferdinando si era suicidato perché era stato lasciato dalla donna e non accettava la fine della relazione.
Ieri sera la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, è tornata nuovamente ad occuparsi del caso, e l’ha fatto rileggendo quella lettera anonima formata da ventiquattro righe e spedita alla Procura della Repubblica di Vibo ed a l’avvocato Nicodemo Gentile, uno dei legali di Maria Chindamo.
Già nel marzo del 2019 come aveva riferito il settimanale specializzato “Giallo”, aveva dato notizia che c’erano almeno tre persone indagate, tra cui il cognato della donna con accuse pesanti che andavano dal sequestro di persona all’occultamento di cadavere. E che in quei giorni c’era la notizia di quella lettera anonima in cui venivano descritte alcune persone che avrebbero avuto un ruolo nella drammatica vicenda e il luogo in cui scavare per il ritrovamento del corpo. Ricerche che nei fatti non hanno avuto alcun esito.
Ieri sera la trasmissione della Sciarelli si è occupata nuovamente del caso di Maria Chindamo e della lettera anonima resa nota dal settimanale “Giallo” in cui vengono descritti alcuni particolari come, “Scrivere una lettera anonima non significa (come dice la Sciarelli), non avere coraggio ma significa essere consapevoli di poter trovare dall’altra parte chi legge, persone come la Sciarelli. E poi, “Chi l’ha uccisa sono persone del posto, le stesse che hanno tormentato il marito, le stesse persone che frequentavano la proprietà della famiglia”. “Era tutto organizzato. Avevano una copia della chiave del cancello della proprietà. Era tutto organizzato anche la messinscena. Conoscevano la proprietà di fronte, le sue abitudini e quello che dovevano fare quel giorno”.
Secondo il fratello in studio dalla Sciarelli quel foglio è “attendibile a sufficienza” e magari “scritto da qualcuno a lei vicino”.
Sembra assurdo, “medievale” che una donna che ha deciso di intraprendere una “strada di libertà” sia lavorativa che sentimentale, debba pagare con la vita e soprattutto oltraggiata in morte, visto che se fosse davvero morta, non ha diritto a una degna sepoltura. La storia di Maria Chindamo dovrebbe farci riflettere su quanto possa essere dura la realtà in alcuni contesti, gli stessi che in Calabria ancora sono vivi e vegeti come concetto di “onore”, ma che poi di questa parola tanti si riempiono la bocca, ma nessuno realmente conosce il nobile significato. Che non è quello della criminalità organizzata né dei vigliacchi che hanno sequestrato e forse ucciso Maria Chindamo sol perché ha deciso della sua sacrosanta libertà. È una storia a tinte fosche, piena di ombre, ma soprattutto assurda. Per non dire drammatica e torturante, specie per i familiari, per i figli che giovanissimi si ritrovano in un anno senza padre e poi la madre.
Ho conosciuto questa storia in maniera approfondita seguendo i pezzi della brava Angela Corica, così come altri episodi simili, in quanto i “gialli” non mi appassionano tanto. Ma questa volta è dovere di ognuno farsi portavoce all’appello che la Sciarelli, concludendo il servizio su Maria, ha fatto allo scrivente anonimo, “Dicci qualcosa di più, aiutaci a ritrovarla”.