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TAURIANOVA (RC), SABATO 09 NOVEMBRE 2024

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Il mondo non va avanti se non si mette al centro la persona

| Il 29, Ago 2010

Quel capitale prezioso per l’economia è l’uomo

Il mondo non va avanti se non si mette al centro la persona

Quel capitale prezioso per l’economia è l’uomo

 

Un nuovo pensiero per l’economia mondiale? A conclusione dell’edizione 2009 del Meeting di Rimini Oscar Giannino al termine di una toccante testimonianza sul suo personale cammino di riavvicinamento alla fede poneva tre questioni rispettivamente all’economista cattolico, al banchiere cattolico e al finanziare cattolico. Ma – ci perdoni Giannino – queste domande sono valide per ogni operatore economico che abbia la forza e il coraggio di non evitare alcune questioni decisive.

 

Cosa aspetta l’economista cattolico a elaborare una nuova teoria economica che restituisca al capitale umano la sua centralità? Cosa aspetta il banchiere cattolico a mettere il capitale umano al centro della sua decisione in sede di concessione del credito? E, in ultimo, perché il finanziere cattolico non pone al centro del proprio operare sul mercato la persona? Perché – e Giannino lo indicava con un filo di polemica – va bene ricordare che la Caritas in Veritate di Benedetto XVI è il documento più importante per leggere la crisi che stiamo osservando, ma basta?

 

Certamente non basta. A distanza di un anno poco o nulla è cambiato. In queste giornate riminesi si sono avvicendate sul palco diverse personalità che con passione hanno portato la loro testimonianza di uomini operanti nel mondo economico-finanziario. Corrado Passera, Paolo Scaroni, Emma Marcegaglia, Cesare Geronzi, Giulio Tremonti e Sergio Marchionne. Nessuno ha mancato di far riferimento a visioni e a prospettive che possano mettere al centro la persona umana, il capitale umano nell’agire economico. Ma non basta.

 

L’intervento di Sergio Marchionne è stato essenziale, partecipato, di una chiarezza disarmante. Ha rimarcato il perché di certe prese di posizioni assunte da Fiat, ha dimostrato ancora una volta il coraggio di una linea, di un ideale che attualmente il gruppo torinese sta perseguendo. Diciamolo: un cambio di mentalità, di passo che dimostra come l’Italia non sia ancora capace di pienamente accoglierlo.

 

Il problema drammatico oggigiorno è che tutti gli operatori economico-finanziari, nonché quanti sono chiamati a elaborare un pensiero, paiono muoversi a vista, incapaci di cogliere tutti i segnali, di radunarli e di proporre una nuova visione economica. Si viaggia ancora sulla scorta di teorie che mantengono il loro inalterato fascino e la loro importanza, ma che devono necessariamente essere riviste, ristudiate.

 

Porre al centro l’uomo, il capitale umano può essere la nuova via, in particolare liberale. Chiamiamolo individuo, chiamiamolo soggetto, chiamiamolo unità, chiamiamolo come vogliamo, ma il mondo non può andare avanti senza porre al centro questo obiettivo che è esattamente il contrario dell’individualismo, dell’arroccamento su se stessi, dell’egoismo posto agli eccessi.

 

Questo riconoscimento porta con sé altri valori: la libertà (vera, non a parole), la dignità), il diritto a una crescita sia in termini economici, ma più ancora “umani” (formazione,  valorizzazione piena della propria personalità). Porta con sé il rispetto del lavoratore giovane contro i rischi di essere considerato carne da macello per interminabili stage o precariati umilianti. Di conseguenza un costo del lavoro umano sia per i datori di lavoro che per i lavoratori stessi, con i giusti riconoscimenti e premi, con il necessario crescere comune di azienda e lavoratori. Capitale umano sono sia gli imprenditori che i lavoratori i quali insieme ogni giorno lottano per sopravvivere. E allora le banche devono cambiare mentalità ed uscire da una facile e asettica valutazione aritmetica e ragioneristica dell’azienda andando incontro agli obiettivi, agli sforzi che quegli uomini stanno compiendo, sapendo cogliere chi è un imbroglione e chi invece sta lavorando con il sudore della sua fronte per raggiungere risultati di crescita e prosperità per sé e per i propri collaboratorii.

 

Porre al centro l’uomo vuol dire comprendere che la leva finanziaria slegata dalla produzione è un artificio che nulla ha di contatto con la realtà, un castello di carta che può creare perversi danni le cui conseguenze le stiamo vivendo oggigiorno.

 

L’uomo economico del futuro non può far a meno di fare i conti – realmente – con il capitale umano. Se questo obiettivo si usasse anche nel mercato mondiale si andrebbero a compensare sicuramente tanti squilibri oggigiorno esistenti recuperando la dignità di popoli e nazioni dimenticate (vedi Africa) oppure riportando a ragione aree economiche che forse sono troppo cresciute calpestando –spesso e volentieri- la dignità umana Se l’economia mondiale non evolverà riscoprendo l’importanza del capitale umano da questa crisi non si uscirà né nel breve termine né tanto facilmente. È una riforma, un cambiamento di mentalità di cui i principali organismi internazionali devono discutere (Europa batti un colpo). Perché va oltre l’ottica sussidiaria – seppur importante –. È un cambiamento di visione non più rimandabile. Un nuovo pensiero per l’economia mondiale? A conclusione dell’edizione 2009 del Meeting di Rimini Oscar Giannino al termine di una toccante testimonianza sul suo personale cammino di riavvicinamento alla fede poneva tre questioni rispettivamente all’economista cattolico, al banchiere cattolico e al finanziare cattolico. Ma – ci perdoni Giannino – queste domande sono valide per ogni operatore economico che abbia la forza e il coraggio di non evitare alcune questioni decisive.

 

Cosa aspetta l’economista cattolico a elaborare una nuova teoria economica che restituisca al capitale umano la sua centralità? Cosa aspetta il banchiere cattolico a mettere il capitale umano al centro della sua decisione in sede di concessione del credito? E, in ultimo, perché il finanziere cattolico non pone al centro del proprio operare sul mercato la persona? Perché – e Giannino lo indicava con un filo di polemica – va bene ricordare che la Caritas in Veritate di Benedetto XVI è il documento più importante per leggere la crisi che stiamo osservando, ma basta?

 

Certamente non basta. A distanza di un anno poco o nulla è cambiato. In queste giornate riminesi si sono avvicendate sul palco diverse personalità che con passione hanno portato la loro testimonianza di uomini operanti nel mondo economico-finanziario. Corrado Passera, Paolo Scaroni, Emma Marcegaglia, Cesare Geronzi, Giulio Tremonti e Sergio Marchionne. Nessuno ha mancato di far riferimento a visioni e a prospettive che possano mettere al centro la persona umana, il capitale umano nell’agire economico. Ma non basta.

 

L’intervento di Sergio Marchionne è stato essenziale, partecipato, di una chiarezza disarmante. Ha rimarcato il perché di certe prese di posizioni assunte da Fiat, ha dimostrato ancora una volta il coraggio di una linea, di un ideale che attualmente il gruppo torinese sta perseguendo. Diciamolo: un cambio di mentalità, di passo che dimostra come l’Italia non sia ancora capace di pienamente accoglierlo.

 

Il problema drammatico oggigiorno è che tutti gli operatori economico-finanziari, nonché quanti sono chiamati a elaborare un pensiero, paiono muoversi a vista, incapaci di cogliere tutti i segnali, di radunarli e di proporre una nuova visione economica. Si viaggia ancora sulla scorta di teorie che mantengono il loro inalterato fascino e la loro importanza, ma che devono necessariamente essere riviste, ristudiate.

 

Porre al centro l’uomo, il capitale umano può essere la nuova via, in particolare liberale. Chiamiamolo individuo, chiamiamolo soggetto, chiamiamolo unità, chiamiamolo come vogliamo, ma il mondo non può andare avanti senza porre al centro questo obiettivo che è esattamente il contrario dell’individualismo, dell’arroccamento su se stessi, dell’egoismo posto agli eccessi.

 

Questo riconoscimento porta con sé altri valori: la libertà (vera, non a parole), la dignità), il diritto a una crescita sia in termini economici, ma più ancora “umani” (formazione,  valorizzazione piena della propria personalità). Porta con sé il rispetto del lavoratore giovane contro i rischi di essere considerato carne da macello per interminabili stage o precariati umilianti. Di conseguenza un costo del lavoro umano sia per i datori di lavoro che per i lavoratori stessi, con i giusti riconoscimenti e premi, con il necessario crescere comune di azienda e lavoratori. Capitale umano sono sia gli imprenditori che i lavoratori i quali insieme ogni giorno lottano per sopravvivere. E allora le banche devono cambiare mentalità ed uscire da una facile e asettica valutazione aritmetica e ragioneristica dell’azienda andando incontro agli obiettivi, agli sforzi che quegli uomini stanno compiendo, sapendo cogliere chi è un imbroglione e chi invece sta lavorando con il sudore della sua fronte per raggiungere risultati di crescita e prosperità per sé e per i propri collaboratorii.

 

Porre al centro l’uomo vuol dire comprendere che la leva finanziaria slegata dalla produzione è un artificio che nulla ha di contatto con la realtà, un castello di carta che può creare perversi danni le cui conseguenze le stiamo vivendo oggigiorno.

 

L’uomo economico del futuro non può far a meno di fare i conti – realmente – con il capitale umano. Se questo obiettivo si usasse anche nel mercato mondiale si andrebbero a compensare sicuramente tanti squilibri oggigiorno esistenti recuperando la dignità di popoli e nazioni dimenticate (vedi Africa) oppure riportando a ragione aree economiche che forse sono troppo cresciute calpestando –spesso e volentieri- la dignità umana Se l’economia mondiale non evolverà riscoprendo l’importanza del capitale umano da questa crisi non si uscirà né nel breve termine né tanto facilmente. È una riforma, un cambiamento di mentalità di cui i principali organismi internazionali devono discutere (Europa batti un colpo). Perché va oltre l’ottica sussidiaria – seppur importante –. È un cambiamento di visione non più rimandabile.