Il nulla e la Democrazia (prima parte) Dalla resistenza alla desistenza democratica narrata dal giurista blogger Giovanni Cardona
La democrazia nei paesi dell’occidente è in crisi da molti anni, da quando cioè sorsero i partiti di massa e si creò una coscienza di classe. Da allora è stato un susseguirsi di agitazioni anarchiche, di convulsioni, di denunce e di compromessi. E non poteva essere diversamente perché i movimenti politici a sfondo socialistico, hanno risollevato un’infinità di rivendicazioni politiche, sociali ed economiche, che hanno trovato il loro naturale sbocco nel comunismo.
Marx aveva diviso la società in due blocchi: liberi e schiavi, oppressori e oppressi, sfruttatori e sfruttati e da questa divisione è scaturita una lotta manichea: da una parte il bene e dall’altra il male. In Italia la democrazia ha raggiunto il colmo del disfacimento, una vera patologia sociale, che, in tanti anni di Governo, ha accumulato errori su errori, sino a creare tre gravi danni: il vuoto di potere, un vento di fronda e un’atarassia morale.
La crisi della democrazia è dovuta a varie cause, ma soprattutto alla crisi degli uomini politici, che ha poi generato la crisi del sistema, divenuto ormai un incomposto ribellismo, tendente a soffocare i valori tradizionali e quelli dello spirito.
Qualche politologo, rievocando il concetto del Vico, ha persino parlato di un nuovo medioevo e di una rinnovata barbarie. E’ vero.
I nostri uomini politici sono, come dice Panfilo Gentile, nella maggior parte, piccoli borghesi, di mediocre istruzione, generalmente disoccupati, con una pietosa preparazione politica, pieni di dilettantismo, ma non professionisti della politica.
Essi hanno creato un’epoca di eversione e di ribellismo, di criminalità politica e di criminalità comune.
Il potere legislativo, dominato com’è dai partiti e dai sindacati, si è rivelato incapace di legiferare, soprattutto per quanto riguarda l’ordine pubblico e l’economia, ed anche quando legifera, lo fa assai male.
L’esecutivo è rantolante, assolutamente impotente difronte alla piazza ed ai sindacati, dinanzi ai quali lo Stato trema.
Il potere giudiziario, prima così in auge, ha subito un crollo spaventoso a causa dei giudici politicizzati, i quali hanno lasciato il paese senza il presidio della giustizia, in balia di un’infinità di associazioni di malfattori. Con magistrati che rinnegano la certezza dei diritto, spesso privi di preparazione professionale e di capacità di discernimento, si è arrivati al punto che una minoranza di magistrati abbia persino fatto pubblicamente apologia di reato ed esaltazione alla violenza, tenendo un contegno lesivo della stessa magistratura.
In queste condizioni la democrazia altro non esprime che nequizia e corruzione, perché è evidente che da azioni perverse non possono aversi che conseguenze perverse.
In sostanza la crisi profonda che ci travaglia, non è solo del sistema, ma soprattutto degli uomini.
Il discredito degli uomini rappresentativi è enorme, e quindi anche il discredito degli istituti da essi creati. Se si dovesse giudicare la nostra democrazia dagli uomini che la rappresentano e dagli istituti che la compongono, bisognerebbe dire che il «tempo» incalza inesorabilmente verso l’abisso.
Vero è che la democrazia è sempre costruita su un terreno Vulcanico, perché è legata alla selezione dei migliori in tutti i campi della vita, ma conoscere l’uomo è cosa tremendamente difficile, e quindi tremendamente difficile la selezione dei migliori. Senza grandi uomini non si può avere una vera democrazia, il cui ideale limite dovrebbe essere la libertà ed il progresso civile, ove il liberalismo si congiunga e confluisce nella democrazia e formi un blocco unico. Ma per ottenere ciò, bisogna combattere strenue battaglie, bisogna insegnare a vivere la vita associativa, a rispettare i diritti e i sentimenti altrui, a sostituire la discussione alla violenza, a selezionare i migliori. Una volta raggiunto l’ideale democratico bisogna difenderlo con la forza della disperazione, bisogna salvarlo combattendo con coraggio, tenacia ed ardimento, tenendo sempre presente che la vera democrazia si basa su tre fattori indispensabili: la teoria pluralistica dei valori, il metodo agonistico della verità e la convinzione che l’uomo sia perfettibile attraverso la verità. Questi tre fattori mancano completamente al comunismo, il quale non è, come vuole far credere, un sistema democratico, perché basato sul monoideismo, inteso ad asservire tutto: politica, arte, scienza, filosofia, spettacolo, attività ricreativa, ecc.
Esso progredisce avvalendosi della povertà e dello scontento, che sono fenomeni ineliminabili della società umana, e soprattutto avvalendosi del terrorismo ideologico, della disonestà polemica e dell‘uso sistematico della diffamazione e della calunnia.
Secondo la storica definizione di Abramo Lincoln la democrazia moderna è il governo del popolo per mezzo del popolo, per il popolo. Questa definizione è stata smentita dal Duverger, il quale dice che non si è mai visto un popolo governarsi da solo, né mai lo si vedrà; è una formula irreale che non significa niente, è solamente atta a suscitare l’entusiasmo e ad ornare i discorsi politici.
Certo la democrazia non è mai completamente attuabile, ma il concetto del Duverger sa di sofisma. Il principio della democrazia, dice Fromm, è che il popolo, nel suo insieme, determina il proprio destino e prende decisioni riguardo alle faccende di comune interesse. Il suo valore sta nel tentativo della sua attuabilità, anche se, poi, la realtà democratica non si raggiunge mai.
Nessun regime risponde esaustivamente a tutte le aspirazioni umane e a tutte le esigenze, ma il regime democratico è quello che si avvicina di più per soddisfare l’uomo nelle sue multiformi esigenze. Del resto lo stesso Rousseau lasciò scritto che «una vera democrazia non è mai esistita, né esisterà mai. Se vi fosse un popolo di Dei, si governerebbe democraticamente, ma un governo così perfetto non conviene agli uomini. Gli uomini in quanto uomini non sono angeli e ogni democrazia è fatta di uomini e non di angeli». Nell’antica Grecia si diceva che la democrazia è una forma di governo, fondata quasi sempre sull’errore.
Ma, nonostante i difetti e le idee contrarie, che sono molte, bisogna riconoscere che la democrazia è un evento di prima grandezza nell’evoluzione storica dell’umanità.
La nostra epoca, purtroppo, è intrisa di errori, e la democrazia odierna non regge alle istanze della società di massa, che si va costituendo con ritmo sempre più celere.
Il nostro tempo è un tempo di travaglio, di aspettazioni, di transizione, ma con tutto ciò, non credo assolutamente che la democrazia sia destinata al tramonto. Le nuove tendenze politiche, giuridiche, economiche, preludono ad un ampio rinnovamento sociale, tendente ad incrementare il progresso, la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, ma queste sono virtù fondamentalmente cristiane, quindi se si vuole attuare la democrazia non si può assolutamente prescindere dal cristianesimo, il quale, oltre che sull’amore del prossimo, si basa anche sulle predette virtù. Ed è per questo che Maritain dice che la democrazia è legata al cristianesimo come manifestazione temporale dell’ispirazione evangelica; combattere contro di essa significa combattere contro Dio.
La democrazia sarà cristiana o non sarà, dice Bergson, ma per essere una democrazia accettabile, occorrono tante cose e soprattutto occorre, dice egli, un “supplemento di anima”.
Il regime che abbiamo avuto in questi ultimi decenni, è stato quello di una pseudo democrazia, perché sono venute a mancare una serie di fattori che sono i suoi componenti essenziali. Anzitutto gli uomini, i quali più che preparazione e genialità politica, hanno rivelato incompetenza, mancanza di carattere e assenza di coscienza morale.
Con l’eclisse dell’intelletto, la vita diventa neurotizzante, l’intelligenza non ha più capacità di penetrazione e di sintesi, e allora viene a mancare tutto, e l’alienazione e la frustrazione assumono aspetti patologici.
L’uomo politico che non vive a pieno la sua responsabilità, che non ha più fede in Dio, in sé, che non ha spirito combattivo, che non è educato al martirio, che non ha vocazione alla sofferenza, è un uomo politico fallito, perché in lui trionfa il mollismo e l’alienazione. E purtroppo la maggior parte dei politici, non sono sorretti da una carica interiore di moralità e di amore, non sanno guardarsi dentro, e quindi sono incapaci di attuare quel bene comune che la società reclama da tempo. Oggi, chi medita sulla situazione politica, non può non avvertire un senso di tristezza, quando non è di angoscia e di disgusto. E ciò perché? Perché non vi è corrispondenza fra il comportamento dei politici e le esigenze, talvolta impellenti, della società.
Mentre il pensiero moderno si incentra sull’uomo, e la voce della coscienza reclama la legge, la legge viene negata; mentre la società reclama la verità, si offre la menzogna; mentre i cittadini reclamano la redenzione si offre l’oppressione; mentre si reclama l’Assoluto si nega la trascendenza; e cosi di negazione in negazione si arriva alla disintegrazione.
Oggi noi assistiamo allo scatenamento della potenza emotiva dell’irrazionale, la cui caratteristica fondamentale è la contestazione selvaggia, indiscriminata, la rivalità, il contrasto.
La contestazione è la base della nostra società, si contesta Dio, la famiglia, la società, la religione, la Chiesa, i partiti politici, la democrazia, il socialismo, il comunismo, la dittatura. Oggi, come dice Marcuse, è sorta una nuova sinistra quella degli ultrà, a caratterizzata da una profonda diffidenza nei confronti di tutte le ideologie.
Non c’è nulla che non sia oggetto di contestazione, perché il nostro secolo è il secolo della negazione, della forza nientificante, del pensiero negativo, che scardina tutto.
(Fine prima parte)