Il “pennacchio” istituzionale degli aspiranti tromboni Levarselo è un dramma, ambirlo è una malattia a tutti i livelli, anche condominiali
L’Italia è il paese che ha bisogno di piedistalli più che di monumenti. È il paese degli aspiranti “pennacchi”, della corsa disperata al “trono” e del suo mantenimento una volta raggiunto, fino alla fine e a discapito di tutti e tutto. D’altronde sono attimi di parvenza che consentono, momenti di vanto e qualcuno per tali momenti, si inventa finanche (pseudo) discendenze di titoli nobiliari (mai esistiti).
Il “pennacchio” è un vessillo ambito da tanti, dai grandi ai piccini (di cervello), da quelli che assaliti dalla sindrome dell’oblio, ovvero la paura di essere dimenticati e quindi finire in quell’anonimato irreversibile. E vivaddio che oggi ci sono i social, altrimenti erano esseri simili a desaparecidos.
Li vedi scapicollarsi, genuflettersi in qualsiasi posizione con dei movimenti, e sussultori e ondulatori. Tutti alla ricerca sia del “palo” che della “frasca” e raggiungere i loro obiettivi di velleità (non prescritti dal medico, ma dalla loro patologia genetica “fissativa”).
Ci sono vari tipi di “pennacchio”, si va alla sindrome della gestazione da sindaco della città, molto spesso vittima di “coito interrotto” e quindi le ripercussioni dovute alla nascita di un “rinculo” rancoroso, tanto acuto da sparare a zero contro ogni moscerino che non la pensi come lui, ma che al contrario è riuscito nell’impresa a esso proibiti perché a causa del “coito interrotto” e del “seme” non fecondo perché affetto di “disabilità da imbecillità acuta”, e quindi tra i soci del “Club del rancore per frustrazione da rifiuto”.
Poi ci sono quelli più “grossi”, quelli che si sentono più intellettuali sol perché hanno uno scranno regionale, politico, ma che poi due righe in italiano non li sanno scrivere nemmeno a pagamento. E comunque, al di là di tutto, questi siamo e questi ci meritiamo.
A proposito di scranni, il 23 novembre prossimo scade il mandato del consiglio regionale della Calabria, e quindi dovremmo ritornare alle urne per decidere chi sarà il prossimo (dis)governatore della Calabria, e chi sarà il successore di Mario Oliverio, il quale sembra non ben visto nemmeno dal suo stesso partito, ma lui imperterrito si candiderà lo stesso, tanto di mettere le scarpe al chiodo non se ne parla proprio, pur avendo appesa una spada di Damocle per la richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri per “abuso d’ufficio e corruzione”. Ma tanto a lui non gliene importa nulla, e figuriamoci a noi!
Il problema oggi, è quello della data delle elezioni, a proposito di pennacchi e troni da conservare il più a lungo possibile. Ed è stato il tema che nell’ultimo consiglio regionale, si è affrontato con non poche polemiche. Chi asseriva che sarebbe il caso di votare alla scadenza naturale e quindi la domenica utile dopo il 23 novembre e che cadrebbe il 24, cosa che sarebbe buona, giusta e dignitosa. In quanto mandare avanti un’agonia regionale visto che già compromessa di suo per tanti eventi, e che oggi ha nel suo interno anche dei cambi di casacca da maggioranza a minoranza, appunto perché non si vuole perdere di vista il potere, in quanto sembra accreditata alla vittoria finale la coalizione di centrodestra con un candidato (Mario Occhiuto) che allo stato attuale non è molto ben visto.
Adesso il problema si pone sulla data, chi dice a gennaio, chi addirittura a febbraio, ma che poi alla fine chi lo dice? Di solito sono i vari collaboratori (i cosiddetti parassiti istituzionali), quelli che sentendosi come “Gesù nel tempio”, millantano vanti di sapere tutto e di più, ma che alla fine l’unica cosa che sanno fare è solo aria che esce dalla bocca per respirare.
Facciamo un pochino di ordine, le elezioni regionali sono regolate da una legge nazionale, e quindi il voto si deve tenere “non oltre il sessantesimo giorno successivo al termine del quinquennio”, quindi, nei fatti, il termine ultimo per indire le elezioni sarebbe il 26 gennaio 2020. Tutto il resto è noia. Anche la leggenda che si dovrebbero tenere a febbraio, e che forse c’è una richiesta di un parere all’avvocatura regionale affinché si esprima in tal senso. Cosa del tutto inesistente, confermata anche dal governatore Oliverio stesso. Anzi, lo stesso afferma che vorrebbe “concertare” la stessa data che avrà la Regione Emilia Romagna in quanto anch’essa con la medesima scadenza. Da indiscrezioni sembra che in Emilia, il governatore si è espresso favorevolmente a indire le elezioni alla scadenza naturale, quini novembre 2019. Come la mettiamo con i “pennacchi” istituzionali? Alla fine quello che il pennacchio lo portò senza “senza piega né macchia”, fu solo uno, Cyrano de Bergerac.